«Quelli del liceo classico» lo stile che ha fatto l'Italia

«Quelli del liceo classico» lo stile che ha fatto l'Italia Scuola d'elite fra gli Anni 20 e i 70, quasi un abito mentale. Molti la rimpiangono: si riaccende il dibattito «Quelli del liceo classico» lo stile che ha fatto l'Italia 11 riconoscevano subito, L ' erano sulla stessa lunm ghezza d'onda, leggevano il gli stessi libri, avevano in bJ 1 comune gusti, curiosità, tensioni ideali, un legame invisibile e tenacissimo: erano «quelli del liceo classico», la grande scuola dell'Italia tra gli Anni Venti e i Settanta; la scuola, non bisogna dimenticarlo, di Gentile e, nella sostanza, di Croce. Spesso fucina di anticonformismo, come afferma Galli della Loggia sull'Espresso, l'unica vera possibilità di formazione per la classe dirìgente di un Paese con ambizioni europee; la scuola che ha prodotto i Bobbio e i Foa, i Mila, i Galante Garrone e tutta l'intellighenzia che spesso, dalle aule scolastiche, è partita direttamente per la Resistenza, la clandestinità, non raramente la morte. Ma, prima di ogni altra cosa, era uno stile di vita. Ormai lontano? Finito? O solo trasformato? Che dicono testimoni e protagonisti? «Certo - afferma Lucio Colletti - non ci si formava all'Università; i concetti fondamentali ci venivano rivelati al liceo, entravamo in possesso di quelle figure "prototipe" che costituivano il dato permanente nel bagaglio culturale di una persona per il resto della vita, per continuare. E certo il liceo è stato anche una scuola di antifascismo. Ricordo la lettura che si faceva nella mia classe degli Annali di Tacito, un modo indiretto per spiegare, o meglio smascherare, la dittatura. Quella era la scuola di una nazione che aveva ancora una sua identità, sia pure in tono minore, sia pure di non alto profilo. Nel concerto europeo l'Italia era un Paese di secondo piano però con la capacità di presentarsi non solo come assembramento di popolazione, ma con una coscienza, un'identità molto precisa». Luciano Canfora ha molti dubbi. «Non so se si sia trattato di anticonformismo. Molto è dipeso dalle persone. Ci sono stati uomini che hanno per così dire "fatto notizia", che hanno interpretato al massimo livello il loro impegno di "educazione civile": il grande esempio è quello di Augusto Monti. Però se il fascismo ha potuto organizzare a suo tempo i "littoriali della cultura" vuol dire che la gioventù era quasi totalmente dalla sua parte. Naturalmente nell'insegnamento si infiltravano voci controcorrente. Ricordo Tommaso Fiore, un insegnante pugliese di Altamura: usava Platone come elemento ' 'destabilizzante' '». Non è una novità quella che Canfora sia un - molto pacato per il vero - avversario di Gentile e della sua riforma: è stato prò- tagonista di un acceso dibattito nelle scorse settimane. «Una riforma che è l'espressione della borghesia conservatrice italiana attraverso le più eminenti personalità dell'epoca, una riforma che ha dato vita a una scuola frutto di quel ceto sociale, di quella classe. Questa, si badi, non è una critica di per sé, è semplicemente un'osservazione relativizzante. Io sono, per esempio, un difensore dell'altro liceo, quello scientifico che, non a caso, ha sempre prosperato nella parte più produttiva dell'Italia, il Nord, dove si è capito che la grande conoscenza viene dalle scienze, che così si aprono le menti. Platone sosteneva che per capire il mondo bisogna conoscere prima di tutto la matematica e la musica...». «Io, figlio di operai, sentivo molto la differenza con i miei compagni, al liceo. Una differenza di educazione, di letture, di cultura. Una differenza che si era già profilata con i primi anni di scuola media, ai miei tempi non c'erano ancora i tre anni dell'obbligo, e la scelta di vita avveniva prestissimo, spesso senza protezione psicologica, senza vera consapevolezza»: Giordano Bruno Guerri ha «patito» la scuo¬ la di «élite», ma oggi lo ritiene un momento di grande crescita, indispensabile dopo una iniziale rivolta. «Sono contento di aver avuto quella esperienza. Il disagio si è trasformato in un vantaggio sociale. Ho cercato di approfittare il più possibile degli "agi culturali" dei miei compagni, le case raffinate, le biblioteche di famiglia, i rapporti. Non ho accuse da fare al liceo come club, come luogo privilegiato. Ma ritengo che più di una coscienza civile o antifascista, questa scuola ha tentato di formare una classe dirigente omogenea». Il nostro più grande poeta, Mario Luzi, vede nel suo vecchio liceo qualcosa di estremamente affascinante: «Il luogo in cui si potevano concepire grandi desideri, in cui la cupidigia del sapere cresceva senza limiti... Sono riconoscente al liceo non tanto per quel che ho imparato ma per quel che avrei cercato di sapere nel resto della mia vita. E' vero però che la scuola di Gentile era (o è ancora?) costruita su un'ideologia implicita di tipo totalitario, la storicizzazione assoluta conduce a una sorta di megalomania, può creare mostri». Una «frattura» era inevitabile tra l'universo elitario della scuola nata per creare e servire la grande borghesia e la nuova scuola di massa: quel momento sembra aver preceduto di parecchi anni il '68, si potrebbe far coincidere con l'arrivo di un mo¬ vimento dirompente come il «Gruppo '63». Un fenomeno nato, in fondo, dalla costola del bemenerito liceo classico, perché, come ricorda Edoardo Sanguineti: «Eravamo una conventicola di letterati e molta della nostra esperienza veniva dal legame con quel tipo di scuola. Che avremmo voluto cambiare, si capisce». All'epoca, tra i banchi del d'Azeglio di Torino o del Parini di Milano, i segni del degrado erano già evidenti. «Ma noi - continua l'aedo del '63 - avevamo studiato nel primo dopoguerra, nell'epoca della riscoperta del mondo, di un grande e perenne eccitamento culturale: quella linfa ci ha nutrito». Un club di «geniacci di cattivo umore» di questo tipo, nuovi Eco, nuovi Sanguineti, potrebbe trovare nell'Italia di oggi altre ma egualmente forti radici? Lucio Colletti tocca il massimo del pessimismo: «La nostra scuola è assolutamente diroccata, le conseguenze sono evidenti». E Giordano Bruno Guerri: «Il liceo dei nostri figli, oggi, è una scuola all'estero. Duole dirlo. Ma non c'è scelta. Forse, poi, non è un gran male. Bisogna prendere atto dei mutamenti della storia. I nuovi clan, le nuove consorterie, si formeranno sullo sfondo di un orizzonte più ampio. E gli adepti continueranno a riconoscersi...». Per civiltà o per snobismo? Mirella Appiatti Canfora: «Meglio lo scientifico, il Nord lo ha capito da tempo». Sanguineti-. «la nostra linfa» Colletti: «Ma ora è tutto finito» Mario Luzi: «Era un luogo di grandi desideri» ti L'ingresso del liceo d'Azeglio di Torino, fucina di intellettuali come Monti, Bobbio e Mila Sotto Canfora, a destra Colletti Sopra, Edoardo Sanguineti

Luoghi citati: Altamura, Italia, Milano, Torino