Ucciso a botte dai compagni a S. Patrignano

Ucciso a botte dai compagni a S. Patrignano Punito perché violava le regole della comunità. Il corpo ritrovato a 600 chilometri di distanza Ucciso a botte dai compagni a S. Patrignano // delitto tre anni fa, sette in cella RIMINI dal Nostro inviato No, non è il solito Vincenzo Muccioli - combattivo, irascibile, icuro di sé - quello che si rigira il foglietto con i sette nomi dei «suoi» ragazzi arrestati in mattinata, accusati di avere ammazzato di botte, il 5 maggio del 1989, un loro compagno, Roberto Maranzano, 36 anni, tossico senza storia, di averlo trasportato fino alle campagne di Terzigno (falde del Vesuvio, 600 chilometri da qui) e di essersi tenuti il segreto per tre anni. Un segreto che due mesi fa, uno dei sette ragazzi, Stefano Grulli, 32 anni, («buono, dolce, non molto responsabile, scappato molte volte dalla comunità») ha deciso di confessare. A chi? Ai carabinieri di Guastalla, provincia di Reggio Emilia, anche se i giudici non vogliono confermare. «Stiamo verificando i riscontri. No, per ora Muccioli non è indagato» dice il procuratore Franco Battaglino che ha ottenuto i sette mandati di cattura per «omicidio preterintenzionale» e ne ha chiesto un ottavo. «Ha confessato per un rimorso di coscienza - dice solo -. Per togliersi un peso». E prima di tutto ha confessato le ragioni di quel pestaggio: una punizione, per quel ragazzo palermitano, pieno di guai, facile alle fughe, insensibile alle regole della comunità, insofferente al lavoro. Due mesi di indagine, dunque per scoprire che quel Roberto Maranzano, ritrovato il 7 maggio a Terzigno da un contadino, massacrato di botte, irriconoscibile per le fratture e le ferite, non era stato ammazzato lì, per una storia di droga, per uno sgarro alla malavita locale, come avevano concluso i carabinieri di Napoli. E ancora che lui, Roberto Maranzano non era affatto scappato dalla comunità «il giorno 5 maggio 1989», come recita la sua scheda personale. Ci era uscito, sì, forse quel giorno stesso, forse la mattina dopo, ma dentro al portabagagli di una delle auto della comunità, avvolto in una coperta, sfigurato e stecchito. Muccioli ha la faccia tesa, la voce lenta: «Sono sbalordito. Possibile che in tutto questo tempo nessuno, tra i ragazzi, abbia parlato, abbia sospettato e non si sia confidato con me?». Già, è possibile? Anche perché uno dei responsabile del pestaggio, Alfio Russo, 37 anni («malato di fegato, responsabile del settore macelleria, irascibile, poco affidabile»), è stato arrestato proprio qui, ieri mattina. Gli altri, in giro per l'Italia, ognuno a inseguire le proprie storie di disintossicazione, eroina, fughe. Giuseppe Lupo, 31 anni, pescato nel carcere di Palermo («malato, da anni nessun rapporto con la comunità»), là dentro per le solite storie di droga. Ezio Persico, 40 anni, («malato, estroverso») nella comunità di Trento. Stefano Grulli, il pentito, a Guastalla. Alessandro Fiorini, 28 anni, («carattere forte, autosufficiente») a casa sua a Viareggio. Fabio Mazzetto, 29 anni («disponibile a confrontarsi, fuori dalla comunità dal 1990») a Imola. Mariano Grillo, 28 anni («uscito dal giro, autosufficiente»), a Siracusa. «Gli deve essere morto tra le mani durante il pestaggio», dicono gli investigatori. E la dinamica è chiara, ricostruita nei suoi dettagli di sangue. Resta da capire il trasporto del corpo per 600 chilometri. «Qualcuno di loro evidentemente sapeva che il Maranzano aveva conti in sospeso con la malavita di Terzigno», dice il vicequestore Gennaro Arena. Evidentemente. Ma è curioso che sette ragazzi complici di un «omicidio involontario», compiuto in una delle tante stanze dietro alle cucine (quelle usate per i nuovi arrivati in crisi di astinenza), abbiano avuto la prontezza di organizzare un viaggio così lungo e la scal¬ trezza di scegliere il posto giusto, quel paesello, dove la morte della vittima poteva avere un movente plausibile. Quante ore è durato quel viaggio di andata e ritorno? Dodici ore? Quindici? In quanti erano sulla macchina? Due? Tre persone? E possibile che la scomparsa di Maranzano sia stata subito notata nella comunità (e annotata nelle schede), ma non ci sia traccia della lunga assenza di chi ha organizzato il depistaggio? Oggi, arrivando a San Patrignano, sulla collina da cui si vede la striscia grigia del mare, bisogna superare la sbarra della portineria e di ogni persona che entra o esce viene segnato nome e orario. Sì, è plausibile che l'uscita di quell'automobile di servizio sia stata segnata, ma, dicono gli addetti ai controlli, «sono schede che buttiamo via di mese in mese». E' una brutta storia di sangue e omertà quella che si è consumata qui, tra le .casette di pietra, il galoppatoio, # piscina, gli ate¬ lier e i prati perfetti della più celebre e misteriosa comunità per tossicodipendenti d'Europa: 2100 ospiti, una città autosufficiente (orti, macelleria, mensa da 3 mila posti, lavanderia, servizio di vigilanza), una vita scandita da orari e regole cronometriche, un fatturato sconosciuto, ma fatto di molte decine di miliardi. Muccioli sa benissimo che questo omicidio riaprirà le molte polemiche, che in questi anni hanno segnato la vita di San Patrignano. Darà fiato a chi ha denunciato il rigore eccessivo che regola la sua vita interna, facendola assomigliare a una setta. A chi ne mette in dubbio l'efficacia terapeutica, ma non l'efficienza aziendale. Dietro al doppio cancello che protegge la sua villa, Vincenzo Muccioli dice: «Questa notizia è stata un uragano a ciel sereno. Stasera parlerò ai ragazzi». Sì, parlerà lui, visto che nessun altro (per ora) può farlo. Pino Corrias Uno degli autori ha confessato l'omicidio che fu attribuito alla camorra A fianco Vincenzo Muccioli tra i ragazzi della sua comunità, a destra un raduno di giovani a San Patrignano