«Noi politici abbiamo perso ora sono i giudici a governare»

«Noi politici abbiamo perso ora sono i giudici a governare» «Noi politici abbiamo perso ora sono i giudici a governare» L'ESERCITO ROMA >£flMB A che parliamo a ▼ ▼■WBfare? Ormai abbiamo già perso, ieri c'è stata la disfatta del potere politico nei confronti dei magistrati...». In un Transatlantico deserto Mario Raffaelli, socialista e fedelissimo di Claudio Martelli, parla senza enfasi, quasi si trattasse di storia vecchia, della fine del sistema. E non è il solo a dire in un palazzo pieno di disperati e di rassegnati che la giornata di domenica sarà da ricordare, una di quelle che cambiano la storia. La cronaca di questo cambio d'epoca nei fatti è semplice: c'è stata la presa di posizione dei magistrati di «Tangentopoli» contro i decreti del governo, il «diktat di Borrelli» come lo ha già ribattezzato qualcuno, e, immediatamente dopo, il capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, ha annunciato che non avrebbe firmato quei provvedimenti. Due momenti che nella cronaca di 24 ore hanno cadenzato la sconfìtta del potere politico: «Quel comunicato letto da Borrelli in televisione senza che nessuno si ribellasse - spiega ai quattro venti un Rino Formica scandalizzato - ha ratificato la supremazia dei giudici». «Bisogna prenderne atto ammette Claudio Signorile - c'è stata una svolta. Ora un solo potere conta, il loro». Così quei pochi parlamentari della maggioranza che si aggirano sperduti a Montecitorio, non possono far altro che leccarsi le ferite della sconfitta. E, al massimo, recriminare sui comportamenti dei «traditori» o su quello che doveva essere e che non è stato. Gli altri, quelli dell'opposizione, sparano sul governo e chiedono le elezioni anticipate. Ma, in realtà, neanche il pds è nell'elenco dei vincitori: «Anche se si arriverà alle elezioni - dice Raffaelli - dobbiamo aver chiaro in testa che le hanno volute soprattutto i giudici e quelli che in questo Parlamento rappresentano il partito dei magistrati, i vari Orlando e Dalla Chiesa. Gli altri hanno perso tutti, a cominciare dal pds che, con quel che. è successo, avrebbe anche potuto chiedere la guida del governo, vi¬ sto che, a cominciare da me, molti preferirebbero D'Alema a Di Pietro». Sì, nel Palazzo tutti hanno perso e hanno perso, soprattutto, quelli che dovevano fare la battaglia e si sono ritirati senza combattere, in maniera quasi maldestra. E mentre da fuori arrivano le notizie dei cori contro Amato, delle «spugne» lanciate a Conso e dei trionfi di folla di Di Pietro e colleghi, nel Palazzo si recrimina, si parla di tradimenti, si discute di debolezze. ' Lo fanno tutti, i grandi e i piccoli, i protagonisti e gli spettatori. Lo fa il presidente Amato che a chi gli domanda se in questi ultimi frangenti si è sentito abbandonato, risponde con un laconico: «Condivido...». E se il capo del governo ormai si è abituato, chi non è avvezzo, come il ministro Conso, a navigare in un mare tanto tormentato ha paura di quel che succede. «Sto pensando ammette - di dimettermi, così non si può lavorare». Ma non di meno il ministro, da persona per bene qual è, copre tutti e risponde con un rispettoso «... sono d'accordo...», alla decisione del capo dello Stato di non firmare il decreto che porta la sua firma. Poveretto, deve farlo proprio lui, passato in 24 ore dall'altare alla polvere, lui che è stato l'unico a fare di tutto per evitare che si utilizzasse l'istituto del «decreto» in una materia tanto delicata. «In Consiglio dei ministri - ricorda un altro ministro, Costa - Conso è arrivato a dire una frase che mi ha davvero colpito: "Mi stanno lapidando"». «Sì - conferma Stefano Rodotà -, a degli amici comuni che abbiamo a Torino, lui stesso ha raccontato che è stato Scalfaro a convincerlo a firmare il decreto». Già, Scalfaro? Nel giorno della resa del potere politico a quello giudiziario il Capo dello Stato è criticato da molti. Cossiga, come al solito, usa l'ironia : chiede le dimissioni di Amato e Conso, anche se quest'ultimo è un personaggio che «stima», questo perché non può pensare, dice, che un personaggio come Scalfaro abbia potuto cambiare due volte opinione in 24 ore. Ma se l'ex Presidente della Repubblica lo fa in maniera indiretta, sono in molti a sostenere che Scalfaro del decreto sapeva tutto, eccome. C'è chi racconta degli innumerevoli incontri tra Conso e il segretario generale del Quirinale, Gifuni, e chi giura di aver trovato Amato sempre sicuro dell'appoggio di Scalfaro. «Ma siamo seri - se la prende Enrico Manca - ma se lo sapevo io che sarebbe stato un decreto, come faceva a non saperlo Scalfaro! Il Capo dello Stato sapeva tutto, questa è la verità». E parlando di questo, non sono pochi quelli che nel Transatlantico di Montecitorio vanno anche oltre. «Scalfaro - spiega Paris Dell'Unto - non ha potuto far niente perché era un ostaggio nelle mani dei magistrati: è almeno un mese che fanno circolare voci su di lui per metterlo in mezzo». «Sì - ammette il de Coloni - o è così, o Amato e Scalfaro erano fin dall'i¬ nizio d'accordo nel non fare il decreto. Ma allora perché hanno fatto tutto questo?». «Se si affronta il problema dei finanziamenti ai partiti in questa maniera - conferma il vicepresidente della Camera, Biondi - allora non c'è nessuno tra gli eletti, dal più rappresentativo al più oscuro, che non possa essere condannato dai magistrati. Ecco perché bisogna alzare la voce quando sbagliano. Chi pensa che stando zitto ci si assicura indulgenza fa un grave errore. Io continuerò a parlare a costo di fare la fine di Custer con gli indiani». Arrivano anche ad incavolarsi i deputati, ma lo fanno come chi parla di una pagina di storia: ormai non c'è nessuno che non consideri la sconfìtta quasi inelutta¬ bile. Lo si legge negli occhi di Giorgio Benvenuto, che appena dieci giorni fa aveva concordato tutto, ma proprio tutto, con Martinazzoli a casa di Rino Formica e adesso, invece, ammette che forse è meglio lasciar cadere il decreto senza trasformarlo neanche in un disegno di legge. Lo si capisce nei discorsi di Cossiga, che chiede un nuovo Parlamento per fare una nuova Repubblica. E lo si intuisce nelle battute di Franco Bassanini sui nuovi eroi: «Siamo arrivati al punto che Ripa di Meana fa vedere le palle, lui che non mi ha invitato neanche al suo matrimonio per non dispiacere a Craxi che gli faceva da testimone. Che tristezza!». Augusto Minzoiini

Luoghi citati: Roma, Torino