L'ex surrealista riscopre la fede
L'ex surrealista riscopre la fede Manessier, dopo trent'anni L'ex surrealista riscopre la fede "7^1 ROMA l'I son voluti trent'anni I per riproporre in Italia 1 i l'opera singolare di Al-V4Jfred Manessier, oggi ottantaduenne. Dopo la sua prima personale alla galleria Lattes di Torino, nel 1953, e il Premio internazionale della Biennale di Venezia nel 1962, nonostante qualche tela ospitata nei Musei Vaticani, di lui sembravano perse le tracce. «Il caso Manessier andava riaperto già da tempo», dice Jean-Marie Drot, direttore dell'Accademia di Francia, che ospita fino al 4 aprile una parte delle centotrenta opere del pittore provenienti dalla retrospettiva dedicatagli dal Grand Palais di Parigi. Anche Manessier s'è formato alla grande scuola del surrealismo. Lo testimoniano le opere del periodo 1938-1942 che aprono la mostra. Inquadrature, figure oniriche, scale e labirinti, volti deformati da sguardi e urla strazianti, cavalli atterrati da un cavaliere a forma di croce uncinata, e catene, fiamme, come in Le dernier cheval, in Les lunatiqu.es o in L'escalier, fanno pensare, oltre che al Picasso di Guernica, a Mirò, Ernst e al Duchamp di Nudo che scende la scala. «Vedere Picasso dipingere Guernica mi ha dato una grandissima emozione - ricorda oggi Manessier -. A quell'epoca lavoravo nell'equipe di Delaunay e frequentavo i surrealisti, che nella sostanza mi hanno influenzato. Ma la loro posizione estetica mi respingeva, io amavo troppo la pittura per negarla». A confermarlo è la scansione assai contrastata di gialli, rosso-arancio, blu-viola e tonalità bruciate, che fin da allora denotavano uno spiccato gusto della pennellata e del colore. La svolta la provoca la guerra. L'ateo che nel 1943 accompagna un amico per una breve visita al convento trappista di Soligny, vi resta in ritiro per tre giorni e ne esce illuminato dalla fede. Il pittore, che allontanandosi da Parigi s'è rifugiato in campagna, liquida il surrealismo per tornare alla natura e al paesaggio. Resta però legato alla lezione cubista: cattedrali e soggetti religiosi, ma anche albe, notturni e stagioni, mare e porti, pesci e campi di grano sono ora suggeriti da architetture che ingrigliano i colori, caldi e urlati, freddi é aciduli o diafani ed evanescenti, comunque espressione di un'emozione spirituale e di una sensazione soggettiva. Progressivamente sfumano i contorni, la visione si espande fino a sfilacciare la griglia e confondere gradualmente i colori in grumi che suggeriscono l'intensità di sensazioni violente quali il calore o il rumore, soprattutto a partire da opere degli Anni 60 come La faille, Terre Espagnole au torrent vert. Di questo ritrovato rapporto con la realtà e la natura, Manessier dà una straordinaria prova anche negli inchiostri delle Sables, a cavallo degli Anni Ottanta, in cui sembrano catturate increspature del vento, orme e sensazioni di contatto. Intanto, tele come Hommage à Luther King, Pour la mère d'un condamné à mort e Procès de Burgos, dove a gridare lo sdegno e a esprimere l'indicibile è l'irruenza del nero sulla superficie rosso sangue, rivelano che non s'è spento il suo impegno di testimonianza. Le suggestive Favellas, in varie versioni che fanno pensare alle fasi del giorno e della notte, lo confermano: enormi reticolati-alveari abbarbicati a spaccati di montagne che sembrano paesaggi sotterranei, o comunque luoghi di • claustrazione, tenuta in ostaggio, crocifissione. «Dopo il Premio della Biennale di Venezia, se avessi scelto la mondanità avrei avuto più successo - dice Manessier -. Ma il silenzio della critica, di cui non ho affatto sofferto, mi ha permesso di lavorare con grande concentrazione». Il risultato è visibile e lo dimostra la riacquistata e meritata audience. Paola Decina Lombardi «La danse bretonne», del 1938, olio di Alfred Manessier del periodo cubista
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