Macchia balcanica nel mappamondo di Aldo Rizzo

Canfora: vecchie prediche Cardini: è bene ripeterle OSSERVATORIO Macchia balcanica nel mappamondo MA davvero va tutto male nel mondo? Siamo sopraffatti dalla tragedia jugoslava, alle porte di casa, e naturalmente questo appanna la vista. Ma, se mettiamo a fuoco lo sguardo al di là dell'Europa, scorgiamo un panorama meno disperante e più composito di quanto si dica. Segnali di progresso, o di speranza, sono giunti questa settimana da varie parti del mondo. Per esempio dal Sud Africa, dove la Conferenza multipartitica e interrazziale ha raggiunto un accordo per la ripresa, entro il 5 aprile, dei negoziati sul futuro assetto costituzionale del Paese. Il Sud Africa dell'«apartheid» è stato un lungo incubo per l'Occidente: come caso morale e come polveriera politica. Ora è solo un problema, certo molto difficile, ma del quale s'intravede una soluzione. Ho letto sul «Giornale» una lunga intervista, molto lucida, molto serena, del presidente De Klerk (l'uomo della svolta, arrivato al potere anche lui nel fatidico 1989). Un governo di coalizione per cinque anni, poi «un uomo, un voto», il sogno che sembrava impossibile della maggioranza nera. Naturalmente con delle garanzie costituzionali per le minoranze. De Klerk sa di doversi battere contro gli «ultras» bianchi e neri, ma sa anche di poter contare su circostanze favorevoli: la fi,ne del comunismo e dell'Urss (che soffiavano sul fuoco), la maturazione e la moderazione della nuova «leadership» nera (Mandela e i suoi), la lezione di altri Paesi africani che hanno creduto che tutto si risolvesse cacciando i bianchi. Un altro segnale è giunto dalla Somalia, dove non certo tutto va bene, anzi, ma dove è innegabile il miglioramento rispetto a quando i marines sbarcarono a Mogadiscio, e mezzo mondo disse che era un'operazione preelettorale del solito Bush, amplificata dalle televisioni (o fatta addirittura per loro). Ora il «Washington Post», giornale non certo legato ai repubblicani, dà atto all'inviato diplomatico di Bush, Oakley, di un lavoro compiuto («Job Done»), mentre il segretario generale Boutros Ghali fissa al 1° maggio la data in cui una forza interna¬ li Ghal I data zionale dell'Onu può dare il cambio agli americani per un conclusivo ritorno della Somalia a una qualche normalità. Notizie incoraggianti, tutto sommato, arrivano anche dal Medio Oriente. L'episodio dell'espulsione, da parte di Israele, degli estremisti di Hamas, nonostante ancora molte proteste, sarebbe in via di soluzione, e non intralcerebbe più la ripresa delle trattative di pace. Secondo Leslie Gelb, analista del «New York Times», con molte entrature nel dipartimento di Stato, il fatto nuovo, accertato dal segretario Christopher, è l'inedita disponibilità della Siria a un accordo «graduale», senza più termini ultimativi, sul ritiro israeliano dal Golan, premessa di un trattato di pace. Si può sbagliare, ma l'impressione è che il negoziato arabo-israeliano, pur tra alti e bassi, sia diventato irreversibile. E poi (dico un po' alla rinfusa) l'annuncio indiano della convertibilità della rupìa, connessa a un piano di modernizzazione e di liberalizzazione dell'economia e del commercio, che fa dire all'«Economist» che «è accaduto l'impensabile», un progresso che, se correttamente gestito, «potrà sbalordire il mondo», ricordando quello che era un mito della povertà. E quanto alle uscite dal sottosviluppo, ce n'è almeno una, abbastanza clamorosa, nell'America Latina, ed è quella del Messico. Naturalmente non si tratta di fare professione di ottimismo. Sarebbe sciocco. Tornando a noi, la tragedia balcanica pesa, eccome. E bisogna aggiungere tutte le incognite della situazione russa. Ma il mondo, complessivamente, non è inchiodato alla crisi, sono numerosi i tentativi di uscirne. Sarebbe assai grave e sconsolante se l'Europa centro-orientale, ancora una volta, rovinasse tutto. Aldo Rizzo tzo^J

Persone citate: Boutros Ghali, Bush, De Klerk, Golan, Leslie Gelb, Oakley