Viva la solitudine purché in due

Condanna, ma anche occasione per conoscersi e progettare. Convegno a Venezia Condanna, ma anche occasione per conoscersi e progettare. Convegno a Venezia Viva la solitudine, purché in due Cacciari: «I filosofi la lodano, però mentono» VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO La solitudine può essere anche un'occasione positiva, non solo una condanna. E' il messaggio lanciato dagli psicoanalisti raccolti nella splendida Biblioteca San Domenico dell'Ospedale Civile. «La solitudine: un sentimento», questo il tema bombardato su più fronti ieri e oggi. L'appuntamento era organizzato da «Psicoterapia critica», l'associazione fondata negli Anni 70 da Enzo Morpurgo. Le solitudini sono parecchie: quelle dell'adolescente e del vecchio, del drogato e dell'innamorato... e quella dello stesso analista, che fin dal risveglio deve far spazio dentro di sé, deve quasi mettere il mondo fra parentesi per diventare poroso e accogliere le sofferenze del paziente. Ne ha parlato con finezza Morpurgo. Ma c'è una solitudine primaria, che ci marchia per sempre, collegata con la nascita e con il pianto: nei primi mesi di vita, così impotenti come siamo e dipendenti in tutto dall'esterno, siamo chiusi in noi stessi, siamo avvolti dal piacere di una quiete che ci ricorda la vita dentro la madre. «Ogni apertura, ogni slancio verso gli altri serve per chiedere, per soddisfare un bisogno e poterci così chiudere di nuovo», ci spiega la psicoanalista Laura Bellisario. Chiedere, aprirci, costa e costerà sempre fatica, ansia, pericolo. Così da adulti molti rinunciano ad aprirsi, preferiscono rannicchiarsi in se stessi: scelgono la solitudine e questo suo strano piacere anche senza saperlo. «Sano e ideale - dice ancora la Bellisario - è alternare i due momenti, di chiusura e apertura, di soddisfazione di sé e di richiesta agli altri». E certo, nel sentire comune la solitudine è percepita come abbandono e mancanza. Nelle famiglie fluttuanti e slegate spesso si annaspa; mancano o si sono indeboliti i tradizionali agganci con gli altri che ci venivano dalla religione e dall'ideologia. Gli stessi media, che a prima vista sembrano solo portare euforia e notizie valide per partecipare alla vita in comune, in realtà ci isolano pure, perché ci invadono, ci distraggono facendoci perdere di vista a noi stessi. Così la solitudine fa paura; non siamo attrezzati per viverla al meglio. «Una forma di sofferenza viene dal sempre più diffuso narcisismo - ci dice Valeria Egidi, ispiratrice del convegno -. Non siamo più capaci di fare a meno di approvazioni e gratificazioni continue che solo gli altri possono darci». Non tutto però è negativo, insistono gli psicoanalisti. La solitudine può diventare ritiro, ascolto di sé. In quel vuoto che ci si spalanca davanti e dentro di noi qualcosa può affiorare. L'appartarsi serve per conoscersi, per accettarsi, per elaborare progetti. La pausa, l'isolamento possono diventare una tecnica, una risorsa: lo si predica anche alle persone più indaffarate, i manager. E' nata da poco una collana editoriale proprio con questo scopo (edizioni Olivares). Nella solitudine affiora insomma e si afferma l'inconscio, la creatività. La solitudine è la condizione necessaria per fare arte, poesia. «Bisogna sprofondare dentro di sé - avverte Alberto Schòn, psicoanalista padovano -. Il poeta Zanzotto l'ha confidato. Lo scrittore portoghese Pessoa conferma: "Essere poeta è la mia maniera di stare solo". Sprofondare può essere pericoloso perché si vedono parti di noi che preferiamo nascondere, come i difetti e le fantasie cattive. Ma è l'esperienza decisiva». L'elogio della solitudine, o almeno l'accettarla tentando di spremerne succhi benefici, ha una ben collaudata tradizione. Gli antichi intellettuali ne hanno sempre parlato bene, a cominciare da Seneca e Petrarca. Qui sono risuonati i metaforici ceffoni che Massimo Cacciari ha allungato a filosofi e poeti: «Mentono! Mentono tutti spudoratamente - ha detto forte -. Si potrebbe fare ima storia della filosofia, e oggi della psicoanali si, facendo la storia di questo luogo obbligato che è la solimeli ne». Due sono le posizioni-chiave. C'è quella epicurea, che vuole una solitudine assoluta: via per sempre dalla società, dalla città, e dalla sua educazione e cultura. Il saggio sta bene solo, sforzandosi di somigliare al suo dio separato e remoto, dalla corporeità perfetta cioè isolata. E c'è la posizione stoica, più flessibile e astuta: la solitudine è tattica, funzionale, va vissuta per capire e per ricaricarsi, per poi tornare in mezzo agli altri. Ciò che accomuna le due solitudini è un distaccarsi, un guadagnar forza. Da Platone a Nietzsche, «senza l'azzurra solitudine non splende il sole della conoscenza». Storie: «E' impossibile essere soli», assicura Cacciari. E chiama due testimoni. Uno è Montaigne, che si ritira per starsene in pace e scopre invece che gli ozi gli danno «una molteplicità incontrollabile di preoccupazioni». Sono i suoi fantasmi, i suoi sogni. E' lui stesso. Continua a pendergli nel fianco una freccia di immagini e ricordi. L'altro testimone è Leopardi: «Chi è ricco di immaginazione fugga la solitudine, perché nella solitudine sarà solo con le sue immaginazioni, schiavo delle sue pene. Se vuole fuggire davvero, fugga nelle occupazioni esteriori». Le beghe del mondo si possono almeno controllare. Dunque la solitudine è votata allo scacco. «E' abitatissima insiste il filosofo -. La ricerca di solitudine si converte nella disperazione di poterla mai trovare. Di qui l'angoscia, la depressione». Come se ne esce? Cacciari ribalta Cartesio: «Bisogna aprirsi al destino di essere parlati. Non cogito, ma cogitar, sono pensato». Da chi? «Dall'altro, cioè il mio prossimo. Oppure, per il credente, anche dall'Altro, cioè Dio». Solo così è possibile trovare una solitudine plurale, un esser soli insieme. Neanche l'amore cancella la solitudine: occorre rivedere sia il mito dell'amore come fusione, dove trionfa l'io imperialistico, che si .espande e si annette, il partner, già l'amore intellettuale e poetico, che contempla da lontano. «Si è soli in due - conclude Cacciari -. E' la sfida che ci attende». Claudio Alta rocca La solitudine ha molti volti: c'è quella dell'adolescente e del vecchio, del drogato e dell'innamorato. E quella dell'analista

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