Tutti assolti ma già fucilati

La giustizia militare d'Italia 1 La giustizia militare d'Italia 1 Tutti assolti ma già fucilati IN questi giorni di disfatta per questioni morali si rimane quasi sgomenti, si guarda indietro nella storia, si confronta e si ripensa alle proprie esperienze, a quanto nella nostra vita abbiamo visto e provato. Alla fine ci viene da concludere: passerà anche questa, si ritornerà a camminare e risolleveremo la bandiera di questa nostra scalcinata patria. Come nel 1945. Ma come nel giudicare le intemperanze, le deviazioni e i reati diverse, squilibrate e soggettive sono le interpretazioni! Questo mi viene spontaneo pensare anche leggendo certe asserzioni di storici revisionisti che vorrebbero far capire i fatti della recente storia secondo lavoro inclinazione ideologica. j Fatti particolarmente drammatici mi sono comparsi davanti leggendo sul n. 4 della Rivista di storia contemporanea un intervento di Giorgio Rochat su La giustizia militare nella guerra italiana 194043. Primi dati e spunti di analisi. Leggendo questo breve saggio, che meriterebbe ampio studio da parte degli storici, ci si rende subito conto delle disparità di giudizio e di trattamento applicate dalla nostra giustizia militare nelle due guerre mondiali che hanno dissanguato l'Europa. Se prendiamo il noto libro Plotone d'esecuzione (Universale Laterza) c i Forcella e Moncone, si vede corte erano più sbrigativi, severi e c >me bastava molto poco a quei tribunali per emettere sentenze anche di morte. ,,La giustizia militare alla fine della prima guerra mondiale aveva definito 350 mila processi proli Linciando 140 mila assoluzioni e 210 mila condanne. Insomma c rea il 15% dei cittadini italiani n ìobilitati e il 6% di quelli che ris posero all'appello furono oggetti j di denunzia. «... Di loro sappiano soltanto ciò che i giudici ci hanno voluto far sapere», ci dice I nzo Forcella, ma «... si tratta peraltro di una testimonianza preziosa, sino ad oggi pressoché ignorata». E' insomma l'altro aspetto della guerra: di quelli che la fanno imprecando, che non vogliono morire per dovere, o che provano paura, quella paura tremenda e grande che non fa più ragionare e fa commettere cose che mai si vorrebbero fare, ma che poi comunque sono oggetto di processo e di condanna. Un esercito di esonerati Dal saggio di Rochat leggiamo che tra il 1940 e il 1943, il momento del massimo sforzo che avveniva proprio nell'inverno di cinquantanni fa, l'esercito italiano aveva un milione e 200 mila uomini sui fronti di guerra e circa due milioni in Italia; ma risulta anche che gli esonerati, più di 900 mila, erano molti di più che nella prima guerra mondiale. I procedimenti aperti per reati compiuti da militari, da civili ita liani e dalla resistenza balcanica furono circa 200 mila ma, osser va Rochat, non ci fu nessuna de cimazione, rare le fucilazioni di militari italiani e generalmente per reati di evidente gravità. Forse questo comportamento dei tri bunali militari è «una relativa mitezza che può essere interpretata come consapevolezza dei limiti di consenso della guerra fa scista». Esaminando disposizioni e bandi impartiti dal duce, mini stro della Guerra, ci si rende pure conto che le pene detentive fino a dieci anni venivano differite per chi apparteneva a reparti mobilitati. Ma quello che risulta complessivamente dai dati raccolti da Rochat è che i processi della se cqnda guerra mondiale, per quanto riguarda i militari, furono inferiori di quattro volte rispetto alla prima, mentre risultano un po' superiori quelli che riguardano i civili (quasi tutti, questi ultimi, nei territori occupati). Certo che di tutta la guerra il caso più drammatico, spietato e precipitoso della giustizia militare fu la fucilazione di un capitano, di un sottotenente e di ventisei alpini. Il 5 agosto 1943 un presidio italiano nell'isola dalmata di B razza fu colto di sorpresa dai partigiani e settanta alpini furono disarmati e catturati. Gli abitanti del luogo, che con gli alpini aveva fraternizzato, intervennero decisi verso i comandanti partigiani e questi rilasciarono tutti gli alpini. La storia dice che non era il primo caso di un presidio italiano sopraffatto, ma il comando del XVIII corpo d'armata di Sebenico decise di dare un esempio per tutti. Il processo fu immediato e rapido e vennero condannati a morte per «resa in campo» il capitano Leo Banzi e il sottotenente Renzo Raffo e, per «sbandamento in campo aperto» ventisei alpini; altri ventidue alpini furono condannati a quindici anni di reclusione e assolto solamente chi aveva ferite. Le condanne furono eseguite. Si pensi ciò che si voglia, si dica ciò che si vuole, ma con il metro di questo giudizio quanti, nei momenti più drammatici (campagna contro la Grecia, ritirate di Russia e in Africa Settentrionale, 8 settembre 1943) avrebbero dovuto subire processi? Il padre del capitano Banzi, a guerra finita, ottenne la revisione del processo e nel 1953 il tribunale militare di Bari assolse tutti i condannati. Ma intanto loro erano morti! 9 La condanna più assurda Se questo dell'isola di Brazza è un fatto che fa raggricciare il cuore, ci appare invece assurda la condanna a un anno e sei mesi a un vecchio richiamato sardo (classe 1897!) soldato nelle salmerie, accusato di rifiuto d'obbedienza per non aver eseguito un ordine impartitogli da un capo squadra della milizia ferroviaria: aveva rifiutato di scendere dal vagone nel quale aveva preso posto e di salire invece su quello riservato ai militari. «Nulla giustifica tale disobbedienza, neppure il fatto che il V.A. fosse malato e non avesse trovato posto negli altri vagoni. Tale circostanza non lo esimeva affatto dall'obbligo militare e giuridico di obbedire senza discutere l'ordine del superiore». Tribunale militare del XIII corpo d'armata, Sardegna, 4 luglio 1941. Ma leggendo una sentenza del tribunale militare territoriale di Bologna del 17 luglio 1943 mi sono reso conto come anch'io avtei potuto essere deferito e poi giudicato per busca, non per una gallina soltanto, ma anche per una capra e un vitello. R.M., soldato presso il 4° battaglione anticarro della divisione Cuneense, viene imputato di concorso in busca perché il 17 settembre 1943 sul fronte russo si impossessava senza necessità di una gallina, sottraendola a una cittadina russa. R.M. ammette di aver pre so la gallina costretto dalla fame «perché da tre giorni avevamo solo mezza razione di pane e per una intera giornata eravamo rimasti senza». Grcostanza confermata dal comandante la batteria «Non si figura, quindi, reato di busca, cioè di furto senza necessità». Nessun cenno viene fatto del coimputato B.C., verosimilmente disperso su quel fronte Ma, da vecchio sergente di truppa, mi domando: chi è stato quef «superiore» che ha avuto il buon tempo di denunciare questi due «sottoposti»? Mario Rigoni Sterri

Persone citate: Banzi, Forcella, Giorgio Rochat, Leo Banzi, Mario Rigoni, Renzo Raffo, Rochat

Luoghi citati: Africa Settentrionale, Bari, Bologna, Europa, Grecia, Italia, Russia, Sardegna