Il cadavere dei tre misteri

Le ultime ore dell'ex direttore delle Partecipazioni statali, indagato per l'Enimont Le ultime ore dell'ex direttore delle Partecipazioni statali, indagato per l'Enimont Il cadavere dei tre misteri Porta in Iran il giallo della morte di Castellari UN DRAMMA BORGHESE MROMA A che cos'ha quel signore, perché è così scontroso?», chiese la cuoca rientrando in cucina. «Avrà litigato con la moglie. Lascialo stare, è un cliente», le rispose il marito. Il signore era arrivato al ristorante da più di un'ora e ancora non aveva ordinato. S'era presentato alle 11,45. «Si può?», domandò l'uomo, alto e ben vestito. «Prego, ma la cucina apre tra un quarto d'ora», disse la cuoca. «Va bè, intanto mi siedo e scrivo». Si sistemò al tavolo d'angolo, sotto i menù astronomici appesi al muro, da una borsa di cuoio marrone tirò fuori un blocco di fogli bianchi, si fece spazio e cominciò a riempirli di righe fitte fitte. Dopo un po' si avvicinò la cuoca: «Vuole che le prepari qualcosa?». «No grazie, più tardi». Passata un'altra mezz'ora, la signora si rifece sotto, e l'uomo sbottò: «Insomma, glielo dico io quando voglio mangiare». Rimase a scrivere fin verso le 14, poi ordinò tutto insieme: tortelli di zucca, cicorietta di campo con insalata fresca, acqua minerale. Anche in questo scarno menù è nascosto qualcosa che può far luce sulla morte di Sergio Castellari, 61 anni, ex-direttore generale delle Partecipazioni statali in pensione, indagato in due diverse inchieste giudiziarie, scomparso quel giorno - giovedì 18 febbraio - e ritrovato cadavere il 25, ucciso da un colpo di pistola. Un suicidio annunciato da qualche lettera lasciata ai familiari e agli amici, sul quale però pesano molti dubbi, che gli investigatori non sono riusciti a sciogliere. Sono almeno tre i misteri che avvolgono la morte di Sergio Castellari, seminati lungo quel chilometro in linea d'aria che separa la villa di Sacrofano dove viveva e lavorava dal prato in cui è stato trovato con il cranio trapassato da una pallottola e il corpo aggredito dagli animali selvatici. Il primo'riguarda le cause del decesso e il ritrovamento del cadavere: se davvero Castellari s'è ucciso, perché la pistola che impugnava - e che pure ha sparato un colpo è rimasta con il cane alzato, la punta della canna infilata nella cintola? £ se il corpo è stato lì una settimana, perché non l'hanno trovato nei primi due giorni di ricerche? Perché i vestiti erano in buono stato, nonostante il maltempo? Come mai gli animali non l'hanno sbranato? E come è possibile che la bottiglia di whisky semivuota sia rimasta in piedi, nonostante le violente raffiche di vento che hanno spazzato quel pezzo di campagna romana? Secondo mistero: le carte tra vate dalla Guardia di Finanza nella villa dell'ex-manager di Stato. E le sue paure. Il 1° febbraio, nell'ambito dell'inchiesta sull'affare Enimont, gli uomini delle Fiamme Gialle entrano nel la lussuosa villa di Sacrofano con un ordine di perquisizione, portano via quattro scatoloni di do cumenti. Tra questi ce n'è qualcuno che fa scattare per l'alto burocrate l'accusa di «violazione della pubblica custodia di cose», articolo 351 del codice penale, pena prevista da uno a cinque anni di carcere. Ci sono tracce di un contratto per la fornitura di materiale nucleare all'Iran, fogli intestati del ministero delle Partecipazioni statali in cui è scritto come superare il problema dell'embargo, altri documenti di probabile pi evenienza del Sismi, il servizio segreto militare. Perché Castellari aveva quelle carte? Che cosa doveva farne una volta uscito dal ministero? Che ruolo svolgeva dopo essere andato in pensione? Nelle lettere che ha lasciato, Castellari ha scritto di temere l'onta dell'arresto, ma per ammazzarsi ci vuole altro." Infine il terzo mistero, gli ultimi incontri del manager prima di spararsi quel colpo di pistola;..0 prima che gli sparassero. La mattina del 18 febbraio ha lasciato la casa dell'amico nella quale ha passato la notte, al quartiere Aurelio, ed è andato nell'ufficio di Giulio Andreotti, dietro Montecitorio. Un incontro di pochi minuti programmato dalla settimana precedente, ha detto l'ex-presidente del Consiglio. Più tardi qualcuno l'ha visto nei pressi del tribunale: un avvocato civilista che è già stato interrogato dalla polizia. Poi ha ripreso la strada di Sacrofano. Il guardiano della villa l'ha visto risalire in casa per pochi minuti, come se dovesse prendere qualcosa: probabilmente la pistola calibro 38 che teneva nel cassetto del comodino accanto al letto, insieme ai fazzolettini Kleenex. Nel frattempo aveva telefonato ad uno dei suoi avvocati, Carlo Marcinolo: «All'interrogatorio col giudice Savia non vengo, ormai è troppo tardi. Voi non fate niente, vedremo quello che succede». Gli ultimi ad averlo incontrato, ufficialmente, sono i coniugi Silvana e Silvio Botta, a Formelle ai quali Castellari ha lasciato le lettere da recapitare ai familiari, intorno alle 17. Dopo quella consegna, sem- pre secondo la ricostruzione ufficiale sulla quale però non giurano memmeno i magistrati, è tornato in macchina verso Sacrofano, ha parcheggiato e chiuso a chiave l'auto in una stradina di campagna, ha camminato per circa un chilometro e s'è sparato, nel prato in cui è stato ritrovato sette giorni più tardi. Oppure, se non è andata così, ha incontrato il suo assassino (o i suoi assassini), che dopo averlo ucciso ha (o hanno) inscenato il suicidio. Al ristorante dove l'abbiamo lasciato - «Il Castagneto», località Castelli, metà strada tra Formello e Sacrofano - Sergio Castellari era solo. L'insalata se l'è voluta condire lui, alla fine ha chiesto due caffè. Nelle sale arredate con tovaglie bianche, bottiglie e quadri non c'era nessuno oltre il manager: capita spesso nei giorni in mezzo alla settimana. L'uomo non smise di scrivere nemmeno mentre mangiava. Alle 15 l'hanno avvisato, con garbo, che prima aveva risposto un po' bruscamente: «Signore noi dobbiamo chiudere». «Va bene, mi metto fuori», ha pagato il conto ed è uscito. S'è infilato nella macchina ed è rimasto a scrivere per quasi un'altra ora. L'ha visto il gestore del bar accanto al ristorante, che apre alle 15,30. Poi ha acceso il motore e se n'è andato. Grazie all'autopsia nello stomaco di Castellari, oltre ad abbondanti tracce di alcol, sono stati trovati i resti di verdure compatibili con il menù del «Castagneto». Questo vuol dire che il manager è morto lo stesso pomeriggio del 18 febbraio, ed è uno dei pochi punti fermi dell'inchiesta. Un altro punto fermo è che le lettere «d'addio» ai familiari e d'accusa a un paio di giornalisti amici («intendo denunciare l'ingiustizia e respingere il ricatto del dott. Savia»), l'ex-direttore generale le ha scritte senza alcuna pistola puntata alla tempia: chi dice che si tratta di omicidio sostiene che quelle considerazioni (tra cui anche una sorta di testamento), sono state scritte sotto costrizione. Agli atti dell'inchiesta risulta il contrario. Sergio Castellari abitava a Sacrofano da quando s'era separato dalla moglie, una decina d'anni fa. Aveva costruito questa villa su tre piani in pietra d'Assisi, con annessi piscina e maneggio per cavalli, in aperta campagna, fra le collinette che fanno da pascolo per equini e bovini. Un posto isolato ma bello, anche adesso che i prati sono un po' ingialliti e gli alberi spogli. Da quando aveva lasciato il ministero delle Partecipazioni statali sbattendo la porta - «me ne vado prima che mi caccino», aveva detto dopo aver capito che non gli avrebbero assicurato alcun posto, nemmeno la carica di commissario liquidatore dell'Efim alla quale aspirava -, questa villa arredata ai limiti del lusso non era più solo un rifugio, ma anche il luogo di lavoro. E' qui che la Finanza ha sequestrato le «carte che scottano», la grande preoccupazione di cui Castellari ha parlato ad Andreotti nel suo ultimo giorno di vita. Un rifugio borghese, quello di Sacrofano, come borghese è stata gran parte dell'esistenza di questo alto burocrate affermatosi in un mondo fatto di grisaglie e auto blu, un passato in polizia, amante del volo e dei cavalli, un uomo sportivo che da ragazzo giocava a calcio, in porta. La casa di Roma che divideva con la moglie Miranda e i figli Giovanni e Mario è in uno dei quartieri alti di Roma, i Parioli, tre stanze, sa¬ lone, servizi e giardino in palazzo del 1923, fatto costruire da Mussolini per i dipendenti del ministero del Tesoro. La portiera dello stabile l'ha visto l'ultima volta un mese e mezzo fa. «E' venuto a salutarmi - dice -, cordiale come sempre. La signora fa vita riservata, pensi che per consegnarle i telegrammi arrivati in questi giorni ho dovuto telefonarle, perché non apre a nessuno». Anche la portiera, aspirante Miss Murple, non crede alla tesi del suicidio: «Gli animali in una settimana l'avrebbe squartato, e poi quella bottiglia dritta... In quei giorni c'era un vento che avrebbe portato via anche me, che pure sono grossa». Al bar della piazza di Sacrofano Sergio Castellari era di casa. Veniva ogni domenica mattina, verso le dieci, e la signora Pina gli preparava il caffè. Spesso compariva col figlio o i nipoti, a volte con gli stivali da cavallerizzo. Si sedeva e discuteva con gli amici, accanto al ristorante «Il Grattino», di qualunque argomento. «Martedì, due giorni prima che scomparisse, abbiamo chiacchierato per una buona mezz'ora», ricorda il signor Innamorati. Di che cosa? «Dei debiti della Cassa rurale ed artigiana, la banca locale. Sergio era assolutamente tranquillo, io non ci credo che s'è ammazzato. L'hanno cercato con gli elicotteri per due giorni, e nel punto dove poi l'hanno trovato era impossibile non vederlo, gliel' assicuro». E chi l'avrebbe fatto fuori? «Qualcuno che non voleva che lui parlasse coi giudici». Interviene Annibale, un agricoltore: «Ma io sono stato lì, e sotto al cavadevere c'era il sangue penetrato nel terreno». Ribatte Innamorati: «Che ci vuole ad andare al mattatoio, prendere un secchio di sangue e versarlo lì?». Se in piazza e al bar Castellari appariva tranquillo, altrove sem- brava invece preoccupato, eccome. Una delle sue ultime apparizioni pubbliche fu a Londra, a gennaio, in occasione di una visita del ministro del Tesoro Barucci. C'era andato come consulente della Deutsche Bank, uno dei due incarichi che gli erano rimasti. L'altro l'aveva ricevuto dall'Eni qualche mese fa per la durata di un anno, 100 milioni lordi di retribuzione. In quella trasferta chi l'ha visto l'ha trovato teso, avvilito e al tempo stesso risentito contro chi, in Italia, l'aveva messo in disparte mentre la più importante banca tedesca - diceva si fidava di lui. Forse ad ucciderlo è stata la paura di finire in carcere: avrebbe perso anche le due consulenze che gli erano rimaste. O ancor di più U timore che nel corso dell'inchiesta fosse costretto a confessare, o a vedersi scoprire, un passato non tutto limpido. L'altro ieri è saltato fuori un dipendente del ministero che nel 1981 aveva denunciato Castellari per traffico d'armi, a sua volta querelato per calunnia. E negli archivi della Procura si sta spulciando tra le vecchie carte per verificare se in passato abbia avuto a che fare con la giustizia anche Vittorio Cavallari, l'amico ingegnere da cui Castellari ha trascorso l'ultima sera, in una bella casa di un'altra via placida e borghese, due passi da villa Pamphili. Cavallari, oggi in pensione, ha lavorato per anni in Finmeccanica e proprio negli uffici della finanziaria dell'Ili Castellari era andato il pomeriggio del 17 febbraio. Secondo un'interrogazione parlamentare il manager consegnò in quella visita ai vertici della Finmeccanica «un dossier relativo ad un carteggio su una fornitura di materiale nucleare da parte della società Ansaldo 'all'Iran, avvenuta tra il 1987 e il 1988». Sempre in Procura, si ricorda il nome di Castellari fin dai tempi delle inchieste sul Super-Sismi del gen. Santovito. «S'è ucciso perché non voleva fare il capro espiatorio», dice oggi il figlio Giovanni, che ha avuto il presentimento del suicidio subito dopo aver letto la lettera scrittagli dal padre, la sera del 18 febbraio. Ai magistrati questa risposta non basta. Da lunedi, nell'ufficio del sostituto procuratore Davide lori, comincerà la sfilata dei testimoni. Magistrati e poliziotti cercheranno altre certezze sulle ultime ore di Castellari, anche attraverso le chiamate fatte con il telefonino cellulare, trovato nella borsa lasciata in macchina insieme ad altri documenti. L'inchiesta intitolata «atti relativi al decesso di Castellari Sergio» è all'inizio, mentre la vittima è già sottoterra, nel cimitero di Sacrofano, prima tomba a sinistra. Il nome sul marmo non c'è, il loculo l'hanno messo a disposizione gli amici. E' rimasta una corona di fiori ad indicare chi è sepolto in quel pezzo di terra ri coperto di rose, gladioli, margherite, gigli e orchidee. Sul nastro, la firma: «I colleghi della Direzio ne generale Affari economici». Giovanni Bianconi Sono in molti a scartare la tesi del suicidio «L'hanno ucciso» Perché si era portato a casa quei documenti scottanti? A Nella foto sopra: Sergio Castellari A destra: il luogo dove è stato ritrovato il corpo dell'ex funzionario A sinistra: il generale Santovito Da sinistra: Giulio Andreotti e l'ex ministro Franco Piga poi deceduto