Eastwood violenta nostalgia fra le macerie del western

«Gli spietati», splendido film-simbolo del crepuscolo americano PRIME CINEMA «Gli spietati», splendido film-simbolo del crepuscolo americano Eastwood, violenta nostalgia fra le macerie del western UN film molto bello (candidato a nove Oscar) sulla violenza americana illegale e legale, sulla mistificazione nelle leggende western, sulla giustizia degli uomini inaccettabile per le donne, sulla vecchiaia e la gioventù assassina, sulla morte, sul destino. Resurrezione, smentita e requiem del classico western fine Ottocento, ne contiene tutti gli amati luoghi comuni romantici, violenti, ironici, e insieme li demistifica e li rifiuta, nell'aura d'una nostalgia anche cinematografica resa struggente dalla memoria e dall'età. In un bordello due cowboys ubriachi hanno sfregiato a coltellate una giovane prostituta. Lo sceriffo stabilisce un risarcimento in cavalli da versare al padrone del bordello, quindi padrone della ragazza rovinata. Indignate, le compagne della ragazza promettono invece mille dollari a chi ucciderà i colpevoli. La caccia (soprattutto ai soldi) coinvolge un ragazzo e quattro anziani, quattro magnifici attori: Clint Eastwood, killer un tempo celebre per freddezza e abilità, divenuto sfortunato agricoltore e allevatore di maiali, padre di due bambini piccoli, vedovo sconsolato d'una donna che lo aveva disintossicato dall'alcol e dall'omicidio; Morgan Freeman, pistolero nero suo amico, pure lui trasformatosi in coltivatore; Richard Harris, killer inglese suo rivale, elegante e letale, scortato da un biografo che ne romanza le imprese; Gene Hackman, suo vecchio antagonista, sceriffo-killer pronto a usare ogni violenza pur di mantenere la pace in città. Poi c'è il ragazzo, che si è promosso killer senza aver mai ucciso nessuno, è ammirato e invidioso della terribile fama di Eastwood, desidera imitarlo: ma è semicieco. Il giovane velleitario che non vede quasi nulla, i due anziani stanchi che hanno perduto la mira e la voglia di ammazzare, cominciano a fare il loro lavoro di operai della morte. Lo compiono, ma con rimorso e strazio: il nero non riesce a uccidere per ripugnanza, e finirà massacrato; il ragazzo uccide e se ne pente, «E' una cosa grossa ammazzare un uomo... Non voglio ammazzare più nessuno». Clint Eastwood ha nel delirio della febbre i suoi momenti di dubbio («Io non sono più come allora, non sono più un ammazzacristiani»): ma fa una strage e vince, il suo destino ineluttabile pare esprimere la rinuncia ragionevole ai miti americani violenti della Frontiera e insieme l'impossibUità di sottrarsene. Alla fine lo sceriffo morente sul pavimento del saloon saluta: «Ci vediamo all'inferno»; «Già», risponde asciutto Eastwood, e se ne va sul suo cavallo grigio, sotto la pioggia. Sotto la pioggia (elemento costante nel cinema di Eastwood, emblema d'ansia e di fine) il film era pure cominciato: vincitore sconfitto, il cavaliere solo che aveva tentato di liberarsi del proprio passato di sangue e vi è irresistibilmente tornato, gravato d' un altro crudele spreco umano sta nel tramonto rosso sulla tomba della moglie, quasi in confessione o in preghiera, simbolo di un'America crepuscolare. Eastwood, con la sua faccia logora e immota di sessantatreenne, di reduce condannato alla guerra, è bravissimo; lo stile semplice del film accosta lo splendore del paesaggio al dolore degradato dei personaggi; i dialoghi sentenziosi, esagerati di David Webb Peoples sono perfetti. Pathos, azione, neoromanticismo, smarrimento morale: gran divertimento. Lietta Tornabuoni GLI SPIETATI (Unforglven) di Clint Eastwood con Clint Eastwood Morgan Freeman, Gene Hackman Richard Harris, Jaimz Woolvett Western. Usa 1992. Cinema Lux di Torino Mediolanum, Splendor di Milano Ambassade, Arlston di Roma Due candidati all'Oscar. Da sinistra: Clint Eastwood in «Gli spietati», western di grande forza, e Denzel Washington in «Malcolm X»

Luoghi citati: America, Milano, Roma, Torino