Pintor se ne va Manifesto in crisi di Lucio Magri

Il quotidiano è alla ricerca di una nuova identità: chi è adesso il nemico? Il quotidiano è alla ricerca di una nuova identità: chi è adesso il nemico? Pintor se ne va, Manifesto in crisi «Cari compagni, è una fatica inconcludente» ROMA. «Cari compagni, la mia direzione è diventata una fatica inconcludente e sgradevole che non reggo più». Inizia così, con parole che trasudano disincanto e sconforto, la lettera con cui Luigi Pintor, anima e corpo del manifesto, annuncia al «collettivo» del giornale la sua decisione di dimettersi da direttore del «quotidiano comunista». Dimissioni «definitive», annuncia Pintor. Un'epoca si chiude nella vita del giornale di via Tomacelli. Il padre-padrone lascia che siano i suoi allievi ad occuparsi del timone. Senza ira, ma con amarezza. Senza sbattere la porta con fragore, ma con la malinconia di lasciare negli affanni di una lacerante crisi esistenziale il giornale partorito ventidue anni fa. Non se l'aspettava nessuno, nel «collettivo» del manifesto, il precipitare così rapido di una malattia che attanaglia da mesi il giornale. Prima erano mugugni, malumori, disillusioni, stanchezze. Ma soltanto ora, come dice il direttore dimissionario, si presenta «l'occasione per ridiscutere tutto». Assieme a Pintor, lasciano anche i vicedirettori Rina Gagliardi e Pierluigi Sullo. Si apre per il manifesto l'ennesimo dramma con relativo contorno di interrogativi primari del tipo «chi siamo» e «perché stiamo al mondo». Se la porta nel suo patrimonio genetico, il giornale di via Tomacelli, questa propensione all'incessante interrogarsi sulla propria identità. Crolla il comunismo e nel «quotidiano comunista», accanto a fiammate d'orgoglio d'appartenenza, comincia a serpeggiare persino la tentazione di abbandonarla, quella testatina sempre più invadente. Con Tangentopoli, crolla il sistema, e il giornale «antisistema» perde la bussola, incerto se compiacersi dello sfascio che semina il panico nel campo nemi¬ co, oppure se aggrapparsi alle vestigia della Prima Repubblica, paralizzati dal timore dell'ignoto. Circola nel manifesto la sensazione che il «nuovo» porti un segno «di destra». Tanto che qualche mese fa il giornale ha aperto con un titolo sorprendente: «Ha ragione Craxi». Circola pure la tentazione di legarsi al carro di Rifondazione comunista, di reci¬ tare il ruolo dell'anti-Unità, di replicare l'esperimento del giornale-partito, magari ospitando con frequenza sempre maggiore lunghi articoli di Pietro Ingrao, il santone mai ripudiato. Ma ci sono anche i «clintoniani», quelli che vorrebbero un giornale più spigliato e moderno. Quel che è certo è che le due tendenze non potranno più contare sull'appoggio dei grandi vec¬ chi. Pintor lascia per non tornare. Valentino Parlato mostra segnali sempre più evidenti di insofferenza e disimpegno. Rossana Rossanda ha spedito una ventina di giorni fa una lettera in cui si elencavano i motivi di disappunto sulla condotta del giornale. Tre anni fa i grandi vecchi bloccarono sul nascere l'insubordinazione dei più giovani, tanto che Pintor finì per paragonarsi al terribile capitano Bligh del Bounty alle prese con una ciurma riottosa e mugugnante. Oggi, mentre il giornale è soffocato dai debiti, tocca ai giovani «ridiscutere tutto» e attuare una «svolta». Già, ma svoltare verso quali lidi? I dimissionari Rina Gagliardi e Pierluigi Sullo hanno condiviso la sorte di Pintor. Per evitare la solita non-soluzione di compromesso si profilano le candidature di due «giovani»: Guido Moltedo e Stefano Menichini. E non si esclude il ritorno del «transfuga» Carmine Fotia, oggi alla direzione di «Italia Radio», ma che potrebbe diventare il Cincinnato del giornale di via Tomacelli. [p. bat.] Luigi Pintor Dalle 4 pagine uscite nel 71 alla decisione di violare il tabù pubblicità nel 78.1 corsivi di Eco, la lista alle elezioni ;• i>'<:uii;ia-.-u«(|,. ia„j|., f,v Foto grande: la redazione A fianco: Parlato Sotto: Rossanda (a sinistra) Lucio Magri (a destra)

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