MASCHERE E FETICCI, IL REGISTA RICORDA

MASCHERE E FETICCI, IL REGISTA RICORDA MASCHERE E FETICCI, IL REGISTA RICORDA «Da piccolo mi piaceva indossare i vestiti di mia madre e a quattordici anni andavo per strada travestito da prete» Un cane andaluso Nel 1927 o 1928, ero sempre più attirato dal cinema. Ero a Madrid per presentare una rassegna di film d'avanguardia francese. Nel programma c'erano Rien que les heures di Cavalcanti e Entr'acte di René Clair. La conferenza ebbe un enorme successo, tanto che il giorno dopo Ortega y Gasset mi chiamò e mi disse: «Se fossi stato un po' più giovane, mi sarei convertito al cinema». Un cane andaluso nacque dall'incontro fra due sogni. Avevo passato il Natale in casa di Salvador Dali a Figueras. Gli proposi di scrivere un film insieme. Lui allora mi raccontò che la notte prima aveva sognato una mano piena di formiche. A mia volta gli svelai che anch'io avevo fatto uno strano sogno, e gli dissi: «Una lama di rasoio spaccava un occhio». La sceneggiatura fu scritta in meno di una settimana seguendo una semplice regola adottata di comune accordo: non accettare nessuna idea, nessuna immagine che ci potesse condurre a una spiegazione razionale, psicologica e culturale. Eravamo talmente indentificati e convinti di quanto stavamo facendo che non avemmo discussioni. Tra noi non ci fu la più piccola contestazione. Fu una settimana d'identificazine totale. Chiedevo a Dali: «Cosa vedi?», «Un rospo che vola», «Non va bene», «Allora due corde» «Bene, però cosa viene dopo le corde?». «Un uomo che tirandole cade perché trasporta qualcosa di molto pesante». «Ah, bene, e cosa trascina?» «Due zucche rinsecchite», «E che altro ancora?», «Un cannone», «No, meglio una poltrona di lusso». «No, un piano a coda», «Benissimo, e sopra il piano un asino». «No, due asini in putrefazione». «Magnifico!». E sia. Accoglievamo soltanto immagini che ci potevano colpire, senza capirne il perché. Dalla regina a Viridiana L'inizio del film nasce da un ricordo dell'infanzia o dell'adolescenza. Da piccolo ero molto attratto dalla regina di Spagna, Vittoria Eugenia. La regina era una bionda bellissima. Una delle situazioni che immaginavo era quella di introdurmi, di nascosto, nella camera dove la regina dormiva separata dal re. Vittoria beveva un bicchiere di latte nel quale avevo versato un narcotico potentissimo. La regina beveva il latte, si spogliava e si avvicinava a me. Sognavo che lei si ad¬ dormentasse profondamente fra le mie braccia. Una fantasia di un collegiale di quattordici anni. L'assurdo e lo stupefacente era la gran differenza sociale, e la differenza di età: un ragazzino di Saragozza e una regina d'origine inglese. In Viridiana la differenza di classe non esiste, resta solo quella dell'età e il fatto che lei è una novizia e lui è suo zio. Comunque in tutti e due i casi ci sono grandi ostacoli che fanno aumentare il desiderio. L'idea di disporre di una donna addormentata è molto erotizzante, posso realizzarla con l'immaginazione, ma ovviamente nella pratica è meglio. Il feticismo del personaggio interpretato da Fernando Rey è un altro dei miei sogni infantili. Si trattava di un travestimento per feticisti, e non di un travestimento omosessuale. Da piccolo mi piaceva indossare i vestiti di mia madre, e di combinarli con qualcosa di mio padre: stivaletti di lei e il cappello di lui eccetera. Mia madre si accorgeva che qualcuno aveva toccato il suo guardaroba e si arrabbiava gridando: «Chi è stato qui?». Avevo sei o sette anni. Tale vezzo lo tenni per un po' di tempo, ho sempre adorato il travestimento feticista e anche le maschere. Ho più volte raccontato che a 14 anni camminavo per la strada vestito da prete con la sottana e il mantello di un mio zio, che effettivamente era un curato. L'oscuro oggetto del desiderio Avevo creduto che Maria Schneider fosse adatta per quella parte. Mi rendevo conto che non fosse una bellezza stre! pitosa, ma questo avrebbe giustificato il mistero di quell'attrazione che Fernando Rey sentiva per lei. Credo che la ragazza sia molto brava in altri film, però durante la lavorazione del mio non riuscivamo a capirci. Giravamo una ripresa dietro l'altra e si trattava di scene facilissime. Finalmente trovai il coraggio per parlarne con Silberman (il produttore). Dissi: «Mi sono sbagliato con questa bambina, |non mi serve per la parte». Silberman era desolato, insieme non riuscivamo a trovare una | soluzione. Il fatto era molto grave, e poi il film stava costando moltissimo. A un certo punto dissi: «Potremmo impiegare due attrici». Subito mi resi conto di aver detto una grossa schiocchezza. Ma questo non sembrò a Silberman, anzi l'idea gli parve magnifica. «No - disse -, mi sembra buona, facciamolo». Avete visto, sono cose che non si possono spiegare razionalmente, ed è anche curioso il fatto che il pubblico abbia accettato il costante alternarsi delle due attrici. All'inizio pensavo: «Crederanno che siano due persone diverse, non capiranno». Non fu così. Le due attrici furono accolte come se si trattasse di un solo personaggio. Lo potete verificare da soli : il cinema ipnotizza. Nella vita di tutti i giorni nessuno scambierebbe due donne con dei lineamenti così diversi. Copyright «El Pais» e per l'Italia «La Stampa»

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