è la frontiera l'incubo di como

Il massacro di tre spacciatori squarcia il velo su una città apparentemente «pulita» Il massacro di tre spacciatori squarcia il velo su una città apparentemente «pulita» W la frontiera l'incubo di tomo Droga e violenza sulla strada per la Svizzera I DUE VOLTI DELLA PADANIA FELIX COMO DAL NOSTRO INVIATO Tutto pulito qua sotto il cielo blu del lungo lago di Como, tra ville svizzere, traffico lento e tepori italiani. Solo una brutta macchia nera sventola dall'edicola: la prima pagina della «Provincia», quotidiano locale, che strilla «Strage!». I tre morti ammazzati, lasciati nel fango del bosco di Varenna, fucilati con una lanciarazzi a pallettoni per un debito di eroina, qui hanno un'eco incidentale, sono cronaca di un altro mondo, anche se distante appena una trentina di chilometri. Se il cielo, come voleva il fantastico Ariosto, è specchio degli eventi, vale confrontare quello tutto grigio e palta che pesava l'altra mattina sulla piazza bagnata di Figino - poche ore dopo l'arresto e la confessione dei fratelli Forcellini - e questo, ventoso e chiaro, che illumina la città di frontiera, fabbrica di benessere, luogo con il minor numero di disoccupati d'Italia e quasi nessuna tensione sociale. «Sì, tutto pulito alla prima occhiata - dice uno dei vecchi marescialli dei carabinieri, sulle scale del palazzo di giustizia -, ma bisogna alzare il tappeto per veder bene». E lì (sotto al tappeto) nelle carte che il procuratore della Repubblica Mario Del Franco si rigira tra le mani, di inchiostro nero ce n'è un bel po'. Dice: «Questo è un territorio strano e, all'apparenza, ingannatore. Como è un corridoio aperto sulla Svizzera. Le grandi organizzazioni criminali hanno interesse a tenerlo pulito, ma solo perché qui, da sempre, passano armi e droga, viaggiano i soldi da riciclare, è un buon posto per fare investimenti. No, non voglio dire che siamo una succursale di Palermo o Reggip o della malavita milanese, ma una pedina del loro scacchiere, sì». La strage dell'altro giorno consumata tra balordi da niente, ma capaci di una crudeltà che spaventa - è un'eccezione. E Como, nella sua quiete, nel suo riserbo protestante che tanto piace al professor Gianfranco Miglio, guarda più con distacco che con apprensione. «I balordi ci sono dappertutto, temo anche in paradiso - dice il senatore della Lega che abita a due passi da qui, paese di Domaso -, e Como non fa eccezione. L'idea che la Padania sia felice anzi "felix", termine che mi hanno erroneamente attribuito, è una balla. E' vero che il suo tessuto sociale è sano. E' altrettanto vero che dietro le apparenze Como è sempre stata un porto di mare, con i suoi traffici, il suo contrabbando». La strage fa paura, ma non smuove più di tanto. Del resto quel bagno di sangue che ha allagato le cronache le tre vittime denudate, sfigurate dai colpi, abbandonate ai cani randagi del bosco - è già tutto radiografato: il padre dei due Forcellini, Antonio, 50 anni, si è costituito ieri alle 18 nella caserma dei carabinieri di Cantù e ingabbiato con l'accusa di «concorso in triplice omicidio». E' lui il terzo uomo - latitante per un giorno solo - che gli investigatori cercavano per far quadrare quella sequenza di sangue. Sono stati ritrovati i vestiti delle vittime. E' stata recuperata la lanciarazzi di fabbricazione tedesca - 1940, tre svastiche incise sul manico - modificata per sparare cartucce a pallettoni. E' stata ultimata l'autopsia sui corpi di Antonio Borgoni, 32 anni, Ottavio D'Onofrio, 29, e Silvia Puorro, 19: un colpo per imo, mortale. «E' un evento terribile, inspiegabile e per fortuna isolato» dice Renzo Pigni, il «sindaco onesto», l'ex segretario di Sandro Pertini, chiamato a guidare la giunta comunale di Como (pds, de, psi, verdi-sole-che-ride) che fino allo scorso ottobre ha zoppicato per ordinari scandali miliardari. n guaio di questa zona, spiega il sindaco, è l'esercito diffuso, capillare, insonne, dei tossici in caccia di soldi e buste. Quanti sono? Nessuno sa dirlo con precisione, ma a spanne dovrebbe¬ ro essere 2 mila a Como, città di 88 mila abitanti, cinque volte di più nel territorio della provincia, tra i 450 mila che hanno riempito questo pezzo di Padania di mobilifici seriali, capannoni metalmeccanici, laboratori tessili e redditi da Nord Europa. «Sì c'è una microcriminalità diffusa che sfugge persino al controllo della malavita vera», dicono alla caserma dei carabinieri di Cantù. E in questi giorni basta girare per i paesi toccati dalla strage - Figino, Vighizzolo, Canniate - per accorgersi di quanta insofferenza, quanta □aura alligni nelle piazze e nei bar, dove la gente ti dice: «Meno male che si ammazzano tra loro», ti racconta dello scippo subito, della rapina con siringa, del chiudersi in casa «appena viene buio». Tutto vero, ma tutto in superficie. Se si torna a ragionare sullo scacchiere, di cui accennava il procuratore Del Franco, si trova dell'altro. Per esempio che il primo «sequestro antimafia» di Lombardia - sei miliardi tra beni, ville, terreni e contanti - è stato fatto qui, nel paese di Bregnano, ai fratelli Paviglianiti, esponenti di un clan legato alla 'ndrangheta e a Cosa Nostra. Per esempio che uno dei soci del futuro superpentito Leonardo Messina, tale Calogero Marcerò, arrestato lo scorso aprile, abitava qui e che la preclara «operazione Leopardo» (250 presunti mafiosi arrestati in tutta Italia grazie alle confessioni di Messina) è stata coordinata non solo dalla procura di Caltanissetta, ma pure da questa, che scava sotto il cielo blu di Como. Basta? Non basta. Tra le carte di questa procura c'è il supersequestro di droga e armi scovate a Cermenate, in un rifugio del clan Borzachiello: 20 chilogrammi di eroina, e un arsenale da guerra pronto per essere spedito agli eserciti malavitosi del Sud. Armi dappertutto, da queste parti. Lungo il confine che corre a tre chilometri da Como, costeggia il lago e sale sugli speroni, ci sono varchi dove transitano i rifornimenti per la malavita milanese: pistole, mitragliatori, esplosivo comprati sul facile mercato di Svizzera e Germania, destinazione Quarto Oggiaro o tutti i Bronx del Nord Italia. Quando la Guardia di finanza, la scorsa estate, ha tirato le somme della sua caccia quotidiana, si è ritrovata questo Ustorie: 1500 armi sequestrate, 65 mila munizioni, 460 persone denunciate. «Questo è imo snodo centrale», disse il capo di stato maggiore Luciano Luciani. «Siamo un sorta di base logistica» dice oggi il procuratore . Del Franco. Ricorda: «Perfino durante il terrorismo le bande armate hanno cercato in tutti i modi di tutelare questo territorio, per lasciare il corridoio aperto». Corridoio buono anche per le braccia clandestine degli extracomunitari che passano il confine, accompagnati dai vecchi spalloni, quelli delle sigarette. Tariffa di 300 franchi svizzeri per uno slavo o un albanese. Mille franchi se hai la pelle scura. Tutto ha il suo prezzo. Compresa la politica, come dimostra la mezza dozzina di inchieste sparse qua e là tra Como (appalti per il teleriscaldamento e per le aree edificabili) e la plurinquisita Campione (scandalo delle pensioni d'oro, scandalo dell'autosilos con giunta dimezzata dagli arresti). «Le tangenti avvelenano» dice Del Franco. «La corruzione tiene la gente distante dalla cosa pubblica e questo è male» dice il sindaco Pigni. La strage (invece) è solo un soprassalto. Fa paura, ma poi passa. Come fanno le piccole onde del lago. PinoCorrias Il procuratore «E' come un tappeto e alla mala conviene tenerlo pulito» Miglio: «I balordi sono ovunque anche in paradiso» A fianco Villa d'Este sul lago di Como, sotto il luogo della strage nel bosco tra spacciatori di eroina A destra Angelo Forcellini, uno dei killer, sotto il senatore leghista Miglio