Quando il vip finisce alla gogna

Quando il vip finisce alla gogna Quando il vip finisce alla gogna Da Tortora a Mani pulite dieci anni di polemiche LA STORIA I FERRI ROMA. Il medioevo elettronico ha colpito di nuovo, al telegiornale, e prima ancora, forse, evocato dalla prosa essenziale delle agenzie. Voglia e paura e turbamento di manette. Quei due anelli di acciaio lucido sulla copertina bianchissima di Panorama. Le immagini di Carra. E poi, senza collegamento mentale che non sia quello delle manette, un ricordo vecchio di dieci anni. Tortora, il personaggio che uno non si sarebbe mai sognato di vedere, appunto, in manette. E' da lì, da quei trenta metri sotto le telecamera, da quei 15 interminabili secondi televisivi che si deve partire. Perché prima di allora, quando la parola «garantismo» aveva un suono persino misterioso, tutto sommato le catenelle facevano parte delle regole del gioco. E in politica c'era ancora chi, come si vede in quelle vecchie foto di antifascisti ripresi nelle stazioni prima di essere tradotti nelle isole, negli anni di piombo c'era chi le manette le esibiva con orgoglio, e i fotografi li guardava dritti negli occhi. E ci deve essere un qualche Curdo che alza tutte e due le mani, con un mezzo sorriso, e stringe il pugno. Più serio, anche se anche lui con il braccio alzato e ammanettato, qualche neofascista. Forse Concutelli. Altrimenti, per i primi imputati presunti ladri della politica, erano pietosi cappotti a nascondere i ferri, o giornali spiegazzati, e teste e occhi bassi sotto qualche flash. Poi Tortora, ed oggi il bombardamento catodico ed emotivo per i polsi di Carra. In mezzo c'è una decina d'anni di proteste intermittenti e quasi sempre pelose, cioè interessate, di casta spaventata, a rischio. Un'interrogazione, una lettera, una circolare, un'intervista, una proposta di legge, e poi chi s'è visto s'è visto. Più passava il tempo e più i toni si facevano al- ti. Più lo spettacolo mortificante delle manette riguardava imputati politici e più c'era la speranza che qualcosa, prima o poi, si sarebbe fatta. E infatti una legge l'hanno approvata piuttosto in là, in extremis, cioè nel dicembre del 1992, quando già Di Pietro e gli altri giudici non scherzavano per niente. Quando parecchi tangentomani erano già appaisi in ceppi, e uno, il vicesindaco di Firenze, perfino ammanettato e davanti alle telecamere era riuscito a scagliare una grossa borsa addosso a un'operatore. Una legge, tuttavia, che non è che funzioni poi così bene. Curiosamente pochissimo richiamata nel dìes trae di ieri. E che comunque non riesce a cancellare il sospetto che su questa particolarissima materia - «manette, ferri, catene e lucchetti» come recita sini¬ stramente il testo, primo benemerito firmatario l'onorevole socialista Mastrantuono - la classe politica persegua istintivamente, e magari senza poterlo dire, una specie di ideale, inconfessabile doppio criterio: le manette per noi e le manette per gli altri (esclusi noi). Un residuo, ormai, della antica arroganza che si sposa con la paura di oggi. Paura alimentata da quel che sentono sempre più spesso intorno a loro, sotto forma di urla e sibili: «Manette», «Ma-nette!». E dire che in fondo uno dei primi a porre la questione, l'allora ministro della Giustizia Martina/zoli, nel 1984, oltre che da Tortora era rimasto colpito dagli arresti in diretta degli impiegati assenteisti (e parecchi risultarono innocenti). Anche Craxi, presidente del Consiglio, si diede da fare: no agli «abusi», sì alla «dignità umana». Ottime parole. Anche Martelli, vicesegretario del psi. Anche Spadolini, ministro della Difesa. Anche Scalfaro, ministro dell'Interno. Anche l'opposizione. Tutti, insomma. Ma non succedeva nulla. Poi, alla stazione Termini, riprendevano l'ex vicepresidente della Regione Sicilia Stornello, in manette e distrutto dal viaggio. E riscoppiava la questione: «abusi», «dignità», «violati i diritti della persona», «esposizione alla gogna». Un paio di interviste, una circolare, i giornali che ci tornavano per tre giorni e arrivederci alla prossima. Tanto, sulla questione, aveva voce in capitolo anche il Csm, bisognava tener conto del regolamento generale dell'Arma dei Carabinieri, il singolo giudice era abilitato a dire la sua, e via. Salvo poi riaccendersi e di nuovo impietosirsi. Senza troppo capire, però, quanto è difficile da governare un Paese che ha tanta voglia di manette. Con l'arresto «spettacolare» del presentatore esplose il problema del garantismo Sopra Stornello, ex vice presidente della Regione siciliana, a destra il presentatore Enzo Tortora Sopra Martelli, a sinistra Spadolini

Luoghi citati: Firenze, Roma, Sicilia