Sabin ultimo scienziato romantico di Piero Bianucci

M Scompare l'uomo che ha debellato la poliomielite, un protagonista della storia di questo secolo Sabin, ultimo scienziato romantico Ma l'America non voleva credere al suo vaccino CIHISSA se anche oggi, dando la notizia della morte di Albert Sabin, qualche giornalista si —I sbaglierà, attribuendogli il Nobel, un premio che non ha mai avuto dagli accademici di Stoccolma ma che, evidentemente, quasi per acclamazione, gli ha attribuito la gente, tutti quelli che, dalla metà degli Anni 50, con il suo vaccino si sono messi al sicuro dalla poliomielite. Sabin, stroncato ieri a 87 anni da un collasso cardiaco al Georgetown Hospital di Washington, era tra i pochi scienziati davvero popolari. Per buoni motivi. Certo, ha sconfitto uno dei grandi flagelli dell'umanità, una malattia che nel 1952, alla vigilia del vaccino, soltanto negli Stati Uniti, aveva colpito 57 mila bambini, uccidendone molti e lasciando gli altri paralizzati. Ma questo forse non basta a spiegare la leggenda che lo circondava, il fatto di essere noto anche tra le popolazioni più povere, incolte ed emarginate del Terzo Mondo. Il fatto è che Sabin è stato per certi versi uno scienziato d'altri tempi, una figura segnata da connotati romantici oggi divenuti quasi introvabili, con le équipes di centinaia di ricercatori, le superspecializzazioni, l'esasperazione delle tecnologie, gli interessi voraci delle multinazionali farmaceutiche. Dal suo vaccino Sabin non ha mai voluto guadagnare neppure un dollaro, si è rifiutato di brevettarlo. «Non voglio - diceva che il mio contributo al benessere dell'umanità sia pagato con della moneta». E quel vaccino, di cui tutti all'inizio avevano paura, lo ha sperimentato prima su di sé, per vincere lo scetticismo e la diffidenza, forse l'invidia dei colleghi; e le cavie successive sono state sua moglie le le sue due figlie. Anche le difficoltà incontrate nel suo Paese d'adozione, gli Stati Uniti, da lui, ebreo polacco, hanno contribuito a disegnare il personaggio e a dargli una dimensione mitica. Il vaccino di Sabin è costituito da un virus della poliomielite vivo, anche se attenuato. Contemporaneamente però un altro grande ricercatore, Salk, era riuscito a mettere a punto un vaccino con virus morto. Bene: negli Stati Uniti la grande macchina industriale preferì impadronirsi del vaccino di Salk, benché richiedesse trequattro iniezioni di richiamo, anziché del vaccino di Sabin, somministrato per via orale, come uno zuccherino. Fu così che l'antipolio Sabin si affermò prima nei Paesi comunisti (Cecoslovacchia, Polonia, Unione Sovietica) e solo più tar- di negli Stati Uniti. I dati statistici hanno poi dato ragione a Sabin. E' vero che l'America fu il primo Paese a debellare al 90 per cento la polio con la vaccinazione Salk, ma la Germania Est, la Russia, la Polonia e la Cecoslovacchia già nel 1961-62 portavano a zero i nuovi casi grazie allo «zuccherino» di Sabin. Una vita avventurosa. Nato il 26 agosto 1906 a Byalistock, riesce a lasciare la Polonia nel 1921, quando la famiglia, dopo vari tentativi di fuga, ottiene finalmente il visto di espatrio. Arriva negli Stati Uniti quindicenne, povero, senza prospettive. Uno zio, che era riuscito a emigrare qualche tempo prima, nota la sua intelligenza e lo fa studiare da medico dentista, immagina di farsene un collaboratore nel proprio studio odontoiatrico. Nel 1931 Sabin è laureato, ma non è il trapano la sua passione. Gli interessa la microbiologia, scoperta leggendo un libro divulgativo, «Cacciatori di microbi» di Paul de Kruff. Lo attraggono poi la virologia e l'immunologia, scienze allora ai primi passi. Chiede e ottiene dal celebre microbiologo William Park un posto di terz'ordine nel suo laboratorio dell'Università di New York. E incomincia a occuparsi della polio. Il primo successo è del 1936: il virus è isolato e allevato in vitro. Tre anni dopo individua nell'intestino il punto di partenza da cui il virus va all'attacco del sistema nervoso. Di qui passa a individuare tutti i ceppi virali della poliomielite. Ne cataloga 2700, tutti riportabili a tre ceppi principali. Poi la guerra interrompe il suo lavoro. E' richiamato alle armi, fa il medico militare nel Pacifico, in Africa e anche in Italia. Di passaggio in Palestina, mette a punto tre vaccini contro l'encefalite. Finalmente nel 1951, con sovvenzioni del Rockefeller Institute e della Fondazione nazionale per la paralisi infantile, ma anche con offerte ricavate dalla «March of Dimes», la «marcia dei soldini» promossa da Roosevelt, torna alla ricerca sulla polio, e due anni dopo arriva al vaccino. Nel 1962 l'antipolio-zuccherrno si è ormai affermata nel mondo e cade l'ostracismo statunitense. Sabin, che ha incominciato a occuparsi di tumori, ottiene un buon posto all'Università di Cincinnati. Nel 1969, mentre gli americani sbarcavano sulla Luna, lascia gli Stati Uniti per andare a dirigere a Tel Aviv l'Istituto Weizmann, un centro di ricerca che gli israeliani hanno costituito a imitazione del Princeton Institute. Torna negli Stati Uniti nel 1973, accetta un invito del National Institute of Health di Bethesda. Ha già un «bypass» alle coronarie, è uscito da una paralisi causata da un infarto. Ma continua a lavorare contro il cancro, seguendo la strada che gli sembra più promettente: rinforzare le difese naturali, quindi agire sul sistema immunologico perché sia l'organismo stesso del malato a eliminare le cellule maligne. Senza Nobel, ma con quaranta lauree ad honorem di altrettante università di tutto il mondo, Sabin ha speso gli ultimi anni occupandosi dell'Aids. Qui però prende una posizione controcorrente: questo virus - dice - non è la «peste» del nostro secolo, l'allarmismo è eccessivo, ci sono decine di malattie che uccidono molto di più. Un discorso che non può piacere alle multinazionali né alle centinaia di équipes a caccia di fondi. Ma non era quello il consenso che cercava. Tornando al Nobel mancato, possiamo considerarlo un incidente di percorso dell'Accademia svedese. Un Nobel collegato alla lotta antipolio è andato a John F. Enders, Università di Harvard, che trovò una tecnica per allevare il virus su tessuti non nervosi prelevati da scimmie. Un po' poco, rispetto a quanto ha fatto Sabin. Piero Bianucci Per la sua scoperta non ha mai avuto il premio Nobel M Albert Sabin riceve la cittadinanza onoraria di Torino nei 1984 Qui sopra Albert Sabin ricevuto da Paolo VI nel 1971