Dalle miniere protesta al tritolo

Sconfessato il gesto «Ma siamo allo stremo» E gli operai pubblicano annunci con Sos IL CASO LA GUERRA DEL SULCIS Palle miniere protesta al tritolo In Sardegna, fatto esplodere un traliccio dell'Enel CAGLIARI __ DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Il tempo degli avvertimenti, delle proteste in tv, degli assedi di folle di manifestanti ai palazzi del potere è finito. Nel Sulcis Iglesiente, il bacino minerario della Sardegna, il malessere di migliaia di persone che si battono per difendere il posto di lavoro ha sposato, purtroppo, la strategia del tritolo. Una ventina di minuti dopo la mezzanotte, qualche chilo di gelatina (forse quattro, ma c'è anche chi dice di più) ha tranciato ieri alla base un traliccio dell'Enel. Un boato e il gigante di ferro si è abbattuto su un campo chiazzato di neve, trascinandosi dietro i fili sui quali corre energia elettrica a 220 mila volts. Li ha notati, una mezz'ora più tardi, alla luce dei fari, l'autista di un camion che percorreva la provinciale tra Carbonia e Villamassargia. Una telefonata alla polizia di Carbonia ha lanciato l'allarme, che si è incrociato con quello contenuto in una comunicazione anonima giunta poco prima al centralino del commissariato di Iglesias. Forze dell'ordine e tecnici dell'Enel sono arrivati in massa. Il traffico sulla strada è stato bloccato per ore, fino alla serata. I danni non sono ingenti. Polizia carabinieri e magistratura indagano. Ma tra la gente il botto ha fatto rumore. Segna un pericolosissimo innalzarsi del livello della battaglia ingaggiata da chi vuol continuare a scendere centinaia di metri nelle viscere della terra per estrarre carbone, piombo, zinco e guadagnarsi un salario da sopravvivenza. E' probabile che l'attentato sia stato organizzato da una frangia estrema dei minatori in rivolta. Ma anche gli altri, che continuano a credere alla dialettica sindacale, hanno calcato la mano. In un lugubre avviso, pubblicato ieri sull'Unità, hanno lanciato un messaggio duro, violento: «Meglio sotto terra che su un'Italia di merda. A 395 metri sotto il livello del mare continueremo ad aspettare uno spiraglio di luce per le nostre trattative». E hanno chiesto, a chiunque voglia schierarsi con loro, un contributo economico, mettendo a disposizione un conto corrente (9241) nella sede di Iglesias della Banca Nazionale del Lavoro. I lavoratori che da una decina di giorni si sono asserragliati nelle gallerie degli impianti di Campo Pisano e di San Giovanni non hanno esitato a condan- nare il gesto dell'altra notte. Due portavoce hanno denunciato il pericolo di «infiltrazioni di terroristi. L'attentato è opera di gente estranea. Noi - hanno ribadito - siamo democratici nella lotta». Poche parole, asciutte, severe. Come il carattere degli operai da tre generazioni in lotta per un domani meno incerto. E che avevano lanciato nel recente passato un preciso segnale: «La situazione è grave. Dalle polveriere della miniera di Monteponi qualcuno ha portato via 400 chih di esplosivo, con miccia e detonatori». Esplosivo identico a quello utilizzato l'altra notte per abbattere il traliccio dell'Enel. E che già era riapparso, in dosi, sotto altre due torri che sostengono le linee elettriche e di fianco alle colonnine di un distributore di carburante. Atti solo dimostrativi, segnalati prima dell'esplosione a polizia e carabinieri. E tutti, come al solito, hanno creduto che ancora una volta si gridasse alla luna. Ma il lupo è arrivato davvero. E il clima si fa nero in una regione afflitta da una gravissima crisi economica e che vanta tristi primati nei livelli di disoccupazione. Non c'è, o almeno non sembra essercene, nelle parole di tutti giustificazione per l'attentato. Ma tanti denunciano i rischi di un ulteriore aggravarsi del conflitto. Una storia di promesse tradite, il cui ultimo capitolo si è aperto nel 1985. Quando - ricorda Sergio Mazzuzzi, segretario della Fulc dell'Iglesiente - Roma promise 505 miliardi per il rilancio delle miniere del carbone sardo. E poi progetti di gassificazione per eliminare lo zolfo del minerale perché potesse bruciare nella centrale Enel di Portoscuso. E ancora 1909 posti di lavoro. Invece non si è fatto nulla. I fondi sono spariti. E le notizie dell'ultima ora annunciano la chiusura delle miniere. Ripetono la comunicazione arrivata sabato scorso sullo smantellamento degli impianti della Sim, la società mineraria dell'Eni ormai in liquidazione. Niente più carbone, piombo e zinco, niente lavoro, niente stipendi. «Stanno uccidendo un intero territorio», commenta Gino Armosini, vecchio minatore, sindacalista degli Anni 70. Non vuol tornare in prima linea («ormai non ho più l'età»), ma desidera portare il suo contributo «di cittadino». Il fronte è compatto. Tutto il movimento sindacale giudica l'attentato un «atto sconsiderato, una vera e propria provocazione contro le lotte che i lavoratori del Sulcis conducono in difesa dell'apparato produttivo e dell'occupazione». C'è un invito alla mobilitazione democratica. Anche il sindacato autonomo della polizia è sceso a fianco dei minatori. E chiunque timbri un cartellino o sia alla caccia di un posto di lavoro in Sardegna contribuisce alla pressione che viene operata sulla giunta regionale sarda perché si imponga al governo centrale e pretenda il rispetto dei patti sul rilancio dei cantieri e il varo di nuove iniziative. Ma l'amministrazione regionale sembra avere poche armi, e per di più spuntate, a disposizione. Il presidente Antonello Cabras ha detto di sentirsi «il capo di una giunta di guerra», ha denunciato l'atteggiamento liquidatorio del governo e ha trovato alleati in Achille Occhetto e nei deputati sardi del pds che hanno sollecitato la revoca del provvedimento di chiusura delle miniere. Il sindacato ha proclamato una giornata di sciopero generale nell'isola. Oggi il leader di Rifondazione comunista Garavini si incontrerà con i lavoratori del Sulcis. Sembra un rituale. Ancor più inutile ora che ha cominciato a parlare il tritolo. Corrado Grandesso Sconfessato il gesto «Ma siamo allo stremo» E gli operai pubblicano annunci con Sos t meglio .che su Sopra, minatori in corteo; e a destra l'annuncio apparso su l'Unità. Sotto, da sinistra, una galleria del Sulcis; a fianco, il traliccio abbattuto