Zampini dieci anni fa
Parla il pm Vitari che avviò le indagini sulla tangenti story Parla il pm Vitari che avviò le indagini sulla tangenti story Zampini, dieci anni fa «Oggi nessuno si stupisce se arrestano un politico, nell'83fu scandalo Davanti all'ufficio di Di Pietro c'è la fila, allora era impensabile» «Sì, dieci anni fa tutto era diverso. L'opinione pubblica, l'ambiente politico, noi stessi, noi magistrati che ci siamo trovati per le mani quella storia». «Quella storia» è lo scandalo Zampini: Giorgio Vitari, sostituto procuratore presso la pretura, nel 1983 era uno dei tre pm di quell'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Marzachì. Dottor Vitari, che cosa è cambiato? «Le faccio un esempio. Allora nessuno di noi pensò mai di fare intercettazioni sui telefoni delle sedi dei partiti, o di perquisire le grosse imprese. C'era in noi un atteggiamento di rispetto: il mondo della politica era tutto sommato credibile. Oggi è diverso. Certi rapporti equivoci tra politica e imprese sono entrati nella nostra cultura. Oggi nessuno si stupisce più, alla notizia di un politico arrestato. Nel 1983 fu un vero scandalo». Che cosa ricorda, di quel giorno di marzo? «Avevamo portato in caserma a Venaria diverse persone. Tra queste c'era Adriano Zampini. Chiese lui di parlare, a mezzanotte. Sembrava doverci dire chissà cosa, e lo accontentammo. Finimmo di verbalizzare alle cinque di mattina. Una paginetta di roba, i punti essenziali, ma di colpo tutto era cambiato». Quali difficoltà incontrò in quelle indagini? «Si interrogava per ore e ore, solo per ottenere una mezza ammissione. Oggi davanti all'ufficio di Di Pietro c'è la fila di persone che vogliono raccontare: nel 1983 era impensabile. Tutto più rarefatto: chi ammetteva, tendeva subito a circoscrivere i fatti. C'era una generale tendenza a delimitare la cosa. Un fenomeno di implosio- ne: tutto veniva immediatamente arginato. Per noi, una corsa in salita». E poi? «Poi avvenne un fatto che ci sconvolse tutti. Eravamo nel pieno delle indagini, la sera del 26 giugno 1983 Bruno Caccia, procuratore capo di Torino, il nostro capo, fu ucciso sotto casa. Di quel fatto tremendo mi è rimasta un'inquietudine: il nostro era l'unico processo importante che la procura della Repubblica gestiva in quel momento. C'è una coincidenza, se non logica, almeno cronologica, che io non ho mai sottovalutato. Le indagini puntarono immediatamente al terrorismo. Solo successivamente, con le rivelazioni dei primi pentiti, si pensò alla mafia. Ma i moventi di quel delitto, le stesse motivazioni delle condanne in Cassazione, non convinsero nessuno». Poi ci fu il processo «E tutto si complicò ulteriormente. Il clima era insopportabile: alcuni pentiti coinvolsero i magistrati del collegio giudicante in fatti di corruzione. E ci fu una politica di disinformazione: Zampini, principale fonte d'accusa, venne fatto passare per un millantatore, uno che vedeva tutto attraverso la lente deformante delle tangenti. All'ultima udienza saltò tutto, tutto da rifare». E il processo d'appello? «Io rispetto quella sentenza, ma rimango fermo sulle idee che ho espresso nella mia requisitoria. Sono state assolte persone che hanno confessato. Ricordo una di queste, aveva già preparato una specie di comunicato che stracciò dopo la sentenza di assoluzione. E diceva: "Mi sembra tutto incredibile..."». Brunella Giovara Dieci anni fa, il 2 marzo 1983, scoppiava a Torino lo scandalo delle tangenti: il primo, grande scandalo che affossò le «giunte rosse» subalpine e mostrò uno spaccato del sistema scoperchiato ora dalle inchieste di Mani Pulite. Il dott. Giorgio Vitari fu uno dei tre magistrati della Procura torinese che avviò e condusse le indagini di quella che venne poi chiamata «inchiesta Zampini» dal nome del principale imputato, Adriano Zampini. I dott. Giorgio Vitari
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