Capi mafiosi alla sbarra di Alberto Gaino

S'inizia in un'aula bunker il quarto processo ai «catanesi» S'inizia in un'aula bunker il quarto processo ai «catanesi» Capi mafiosi alla sbarra Dopo le assoluzioni di Carnevale «A Torino, nel 1984-'86, sono stato accusato da un certo Parisi, uno della delinquenza comune catanese. Lui sosteneva di conoscermi, ma non avevo la minima idea di chi fosse. Eppure questo soggetto era un rapinatore di professione, uno che aveva già 17 omicidi sulle spalle. Pur vivendo a Catania dalla nascita, e pur essendo diventato uomo d'onore a 27 anni, non avevo mai sentito parlare di lui». Salvo Lo Greco, avvocato di alcuni imputati di spicco del quarto processo al «clan dei catanesi», l'ha già annunciato: porterà in aula anche le memorie di Antonino Calderone, grande pentito di Cosa nostra, per dimostrare l'infondatezza dell'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso a carico dei Cursoti. Un anno fa, la prima sezione penale della Cassazione, allora presieduta dal discusso Corrado Carnevale, annullò la condanna di 37 imputati, capi e gregari dei «catanesi», per questo grave reato. Fu una revisione solo parziale della precedente sentenza, ma ugualmente clamorosa: i Cursoti e i loro alleati calabresi avevano sì spadroneggiato con il sangue e la paura nella Torino nera degli Anni 70, ma non potevano essere considerati «un'organizzazione mafiosa». Il processo si apre stamane nell'aula B del bunker delle Vallette anche per la revisione di 13 casi di omicidio, per alcune rapine e reati minori. Dei 166 imputati del primo giudizio d'appello ne sono rimasti 46. E fra questi Domenico Belfiore, condannato altrove all'ergastolo per il delitto del procuratore Caccia; Mario Ursini, un esponente della 'ndrangheta che conta ancora molto nel Torinese; Giuseppe Garozzo, ultimo capo dei Cursoti; Gimmi Miano e Ignazio Bonaccorsi, che aveva gestito prima di Giovanni Salesi, per conto di quel Miano, l'autoparco milanese della mafia imbottito di armi, droga e documentazione sull'inchiesta del giudice Di Pietro. Gente tornata alla ribalta criminale di recente, e questa volta nel quadro di un'alleanza fra i Cursoti (dai quali l'uomo d'onore Calderone rimarcava una siderale distanza) e il gotha di Cosa Nostra, Nitto Santapaola e i Corleonesi. Garozzo, poi, è stato riarrestato in Germania, dove la mafia ha costruito nuove basi per i suoi killer «da esportazione». Le tante gabbie dell'immensa e fredda aula di giustizia saranno semivuote: degli imputati solo 20 sono detenuti, ma per altre cause. Uno è latitante (Coppola). Tutti gli altri sono tornati da anni in libertà per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva. Completano l'elenco quattro pentiti che in Cassazione hanno perso i benefici previsti per i mafiosi «collaboratori di giustizia»: il superkiller ignorato da Calderone, Salvatore Parisi; Carmelo Giuffrida e Salvatore Costanza. E, in posizione nuovamente differenziata, Antonino Saia, che, riacquistata la libertà, tornò a rapinare banche con Pietro Randelli, altro pentito, da lui freddato al tavolo di un cascinale sulle colline albesi. Dovevano spartirsi un bottino. Storia infinita, quella dei maxi-processi ai catanesi: 37 ergastoli in primo grado, ridotti di due terzi dopo il primo appello; la concessione delle attenuanti generiche a uomini come Belfiore e Ursini in quella sede perché ritenuti «non socialmente pericolosi». E poi l'ultima discussa sentenza di Carnevale. In Cassazione furono fra l'altro annullate le condanne di Garozzo a 30 anni e di Ursini a 28. Ora c'è nuovo allarme sociale attorno a quest'ennesimo difficile processo alla malavita. Alberto Gaino Alcuni degli imputati al processo contro i «catanesi» di due anni fa

Luoghi citati: Catania, Germania, Torino