Brusati, l'aristocratico che indagava con la cinepresa

Brasati, l'aristocratico che indagava con la cinepresa Morto ieri a Roma a 73 anni. Regista, sceneggiatore e autore teatrale, intransigente con una realtà che lo indignava Brasati, l'aristocratico che indagava con la cinepresa Fra i suoi film «Il benessere», «Pane e cioccolata», «Dimenticare Venezia» i ROMA L regista Franco Brasati è morto ieri a 73 anni nella sua casa nei pressi di piazzale delle Muse. Due mesi fa era stato colpito da leucemia acuta. Nato a Milano nel 1922, dopo una laurea in Scienze politiche a Ginevra e una in Legge a Milano, cominciò a lavorare come giornalista a Corrente e all'Europeo. Approdò a Roma alla fine degli anni 40 come aiuto regista di Rossellini e Camerini, e sceneggiatore per Lattuada, Monicelli e altri. In seguito si è sempre diviso fra cinema e teatro. Funerali domani mattina a Roma nella chiern di Santa Maria del Popolo. JNCHE nel panorama per definizione variopinto dello «show business» Franco Brasati era un personaggio anomalo, con la sua estrazione nordica e altoborghese, con il suo moralismo di stampo protestante, perfino con i suoi trascorsi sportivi di ottimo tennista, mancino, forse inferiore a Gillo Fon te corvo, ma più forte di Antonioni. Nel cinema aveva esordito prestissimo, come aiuto volontario di Renato Castellani per Sotto il sole di Roma (1948); avrebbe continuato come sceneggiatore molto richiesto, in attesa di poter parlare in prima persona. Sette anni dopo aver diretto un film di confezione, Il padrone sono me dal romanzo di Panzini, si fece notare con II disordine (1963), quasi una Dolce vita lombarda e arrabbiata, grottesca e a tratti irritante, con omaggi all'espressionismo e a Ingmar Bergman. Nel frattempo, di nuovo ati¬ picamente rispetto al cliché del cineasta di quegli anni, scriveva anche per il teatro, dove esplorava un certo ambiente sociale di cui il pur onnivoro cinema nostrano non si sapeva occupare. La sua commedia La Fastidiosa, scritta con Fabio Mauri verso la fine degli Anni Cinquanta, fu la prima e forse l'unica sugli intrighi dei salotti romani con infiltrazioni milanesi; sarebbe curioso rivisitarla oggi dopo il craxismo e Tangentopoli. < Seguì, sempre • sulla classe medio-alta e sul boom, 21 benessere ( 1959), cui tenne dietro, dopo un lungo intervallo - «per sé» Brusati non faceva mai nulla che non sentisse come necessario, e quindi sapeva aspettare l'appassionata e forse oggi recuperabile Pietà di novembre (1966), ispirata dall'assassinio di Kennedy. Ci fu quindi un ri¬ torno al cinema, con Tenderly e I tulipani di Haarlem, due film, soprattutto il secondo (con una storia di amore come dominazione) che aspiravano a differenziarsi dalla produzione nazionale, e non solo perché gli attori erano di importazione. Brusati si sentì sempre autore europeo ed è forse ironico che il suo massimo successo commerciale si avesse con Pane e cioccolata (1974), tardivo e sarcastico omaggio alla commedia all'italiana sulle disavventure di Nino Manfredi operaio emigrato in Svizzera. Dello stesso anno è Le rose del lago, commedia ripresa di recente con regia di Antonio Calenda, riflettente il senso di confusione e di irritazione tanto diffuso in quegli anni: prima di far morire in modi strambi buona parte dei tipi eterogenei che ha riunito in un condominio, l'autore insiste sulla farsa assurda che sta attraversando l'Italia dei disservizi, degli scioperi immotivati e dell'arroganza cafonesca del denaro (il titolo è il nome di un complesso residenziale nato dalla più cinica speculazione edilizia). L'abilità di dialoghista e l'ironia sardonica dello sceneggiatore consumato tennero in piedi questo testo come i successivi La donna sul letto (1984) e Conversazione galante (1987), esercizio su commissione per la coppia Proclemer-Ferzetti, a benefìcio della quale Brasati aveva tradotto da par suo Chi ha paura di Virginia Woolf? Così come era riuscito a dare una naturalezza italiana al parlato americano di Albee, superando estrosamente i logori cliché ereditati dai doppiaggi, ora proponeva un esercizio per vecchie volpi del palcoscenico che sembrava tradotto dall'inglese. Nel cinema aveva prodotto ancora, con Dimenticare Venezia (1979), il suo sforzo più bergmaniano: è una riunione di famiglia percorsa da sottili tensioni e rimpianti, che sconcertò a Hollywood i votanti dell'Oscar al quale fu candidata, in quanto appunto ben poco folkloristica. L'ultimo lungometraggio, Il buon soldato, con una Melato madre Courage moderna e metropolitana, deluse, ma non certo per mancanza di ambizione né di carne al fuoco: l'aristocratica intransigenza di Brusati cominciava a perdere quel contatto con il mondo reale che la indignava e la fantasia dell'artista tendeva sempre più verso una deformazione delle cose, che il pubblico trovò respingente. Masoli no d'Amico Italiano anomalo si sentì sempre autore europeo Franco Brusati: il suo ultimo film è stato «Il buon soldato»