Soldati prima del nazismo di Osvaldo Guerrieri

Soldati prima del nazismo All'Adua il dramma di Marieluise Fleisser, regia di Adriana Martino Soldati prima del nazismo Occasione per scoprire una scrittrice che Brecht portò alla disperazione La vita in una piccola città della Baviera tra sesso e piccole vessazioni TORINO. «Soldati a Ingolstadt», che con la regia di Adriana Martino si rappresenta all'Adua fino a oggi, è un'occasione preziosa per conoscere o ritrovare Marieluise Fleisser. Scrittrice dell'entourage di Bertolt Brecht, la Fleisser ebbe vita tormentatissima. Era nata a Ingoi stadt nel 1901, quindi era una provinciale dell'Alta Baviera, ed aveva trovato un solo luogo in cui sognare: il teatro. Quando Brecht la conobbe, era una ragazza dalle forme superbe. Figuriamoci se quel fauno cinico e opportunista se la fece scappare. Tra loro nacque una relazione che univa il sesso all'arte. Grazie a Brecht, la Fleisser riuscì a far rappresentare la sua prima opera teatrale, «Purgatorio a Ingolstadt», e ancora grazie a lui compose il suo secondo dramma, «Soldati a Ingolstadt», altrimenti noto come «Genieri a Ingolstadt» e «Pionieri in Ingolstadt». Ma il lavoro ebbe sorte drammatica. Brecht diceva che «il testo non aveva alcun interesse», raccomandava alla Fleisser di scrivere in modo infantile, «anche rischiando di commettere errori». Affidò la regia a Jacob Geis, ma intervenne pesantemente sull'opera. Commenta Ronald Hayman in «Brecht - A Biography» (Weidenfeld & Nicolson): «Marieluise gli si era concessa e lui trattò la sua commedia come il suo corpo, cioè come qualcosa che si poteva usare». Nel caso di «Soldati» lo stravolgimento produsse uno scandalo che segnò la vita della Fleisser. Il dramma rappresentava la vita di provincia nella sua sordida grettezza, nelle piccole violenze quotidiane. Dinanzi a tanto disfacimento, insorse tutta la Germania. La destra ci vide un attentato alla santità del focolare e della patria. Lo stesso signor Fleisser raccomandò alla figlia di non farsi più rivedere. Serviva l'appoggio di Brecht, ma il furbacchione si guardò bene dall'intervenire: quel putiferio gli faceva gioco. La ragazza tornò a Ingolstadt, sposò un tabaccaio ex campione di nuoto che, folle d'amore, la chiese in moglie puntandole un coltello alla gola. Perseguitata dal nazismo, la Fleisser finì in una casa di cura e soltanto dopo la morte del marito riprese a coltivare una tenue vena narrativa, che non mancò di susci¬ tare l'ammirazione di tanti giovani, fra cui Fassbinder. E' storicamente importante vedere oggi in scena «Soldati a Ingolstadt» non solo per chiarire il rapporto artistico tra la Fleisser e Brecht, ma soprattutto per verificare la dipendenza dell'una dall'altro. Più che con Brecht, la Fleisser appare vicina a Odon von Horvath e a Bùchner. Ha un dialogato secco, essenziale al limite della povertà; adopera un linguaggio oggettivo; sviluppa il suo dramma per scene brevi e staccate. Alcuni soldati arrivano a Ingolstadt per costruire un ponte. Incontrano ragazze, offrono e ricevono amore, mostrano i loro conflitti, le piccole oppressioni di cui sono vittime: quei conflitti e quelle oppressioni che, con segno diverso, troviamo anche fra i civili divisi in classi, dominati dal bisogno di sesso o dalla misoginia. Tutto qui. Ma con una forza espressiva straordinaria. Tradotto dalla Stessa Martino e da Valentina Emeri, il dramma ha il sentore della birra e della segatura sporca. La bella scena di Lorenzo Ghiglia 10 scandisce in sezioni visive geometricamente essenziali, e gli attori danno anima e voce a queste creature disperate che, di lì a poco, vedranno nascere 11 nazismo. Sono tutti ben amalgamati, e vorremmo almeno ricordare Piero Caretto, Ursula von Baecler, Valentina Martino Ghiglia e Marco Marelli. In sala molta attenzione e applausi quasi liberatori. Osvaldo Guerrieri Una scena di «Soldati a Ingolstadt»

Luoghi citati: Baviera, Germania, Torino