«Ma per noi resta l'eroe del '56» di Pierluigi Battista

«Ma per noi resta l'eroe del '56» «Ma per noi resta l'eroe del '56» Caprara, Canfora, De Giovanni: comunque s'è riscattato ROMA AI documenti emerge che molti dei compagni da lui personalmente spiati, denunciati, "compromessi", sono stati uccisi o sono spariti nei gorghi del gulag sovietico». Il «lui» cui si allude nel brano di Giulietto Chiesa sulla Stampa di ieri è Imre Nagy. Una scoperta sconvolgente: il simbolo della nuova Ungheria descritto come un agente «di grande dedizione e iniziativa» al servizio di Stalin. Basta questo per buttare Nagy giù dal piedistallo e considerarlo un complice dei carnefici, un criminale politico che negli Anni Trenta si è macchiato di delitti politici efferati? Massimo Caprara, giornalista e braccio destro di Palmiro Togliatti nei tempi di ferro dello stalinismo, invita prima di tutto a non dimenticare che, comunque, «Nagy è stato senza alcun dubbio dalla parte dell'insurrezione operaia in Ungheria». E poi Caprara ricorda il passo in cui Bertolt Brecht sosteneva che «colui che lotta per il comunismo» di «tutte le virtù non ne possiede che una sola: di lottare per il comunismo». Vuol dire che Nagy, nell'epoca in cui era un comunista intransigente, non poteva che subordinare ogni altra «virtù» al compimento della «causa»? «Bisogna capire - risponde Caprara -, però non certo per giustificare errori criminali, che per gli uomini che aderivano all'Internazionale comunista la missione politica cui consacravano la vita intera era il prius assoluto». Una cosa però Caprara tiene a precisare: «L'ex presidente del Kgb Kriuchkov è un uomo ambiguo che ha svolto un ruolo altrettanto ambiguo. Dagli archivi di Mosca può uscire di tutto. Chi è disposto a giurare sull'autenticità dei documenti che escono da lì?». Per lo stòrico Luciano Canfora, i documenti su Nagy dimostrano ancora una volta che «bisognerebbe smetterla di parlare come di un crimine del reclutamento dei comunisti di tutto il mondo "al servizio" dell'Urss». «La loro - precisa Canfora - era una scelta di vita totalizzante. Bisogna mettersi dal punto di vista di chi allora percepiva l'Unione Sovietica come l'ultima trincea contro il fascismo e che considerava assolutamente ovvio offrire il proprio contributo alla causa del comunismo». Ma con questo argomento non si rischia di giustificare ogni nefandezza? L'«arruolamento» di un uomo come Nagy, risponde Canfora, conferma la «drammaticità di una scelta» simile a quella messa in luce «dalla lettera di Bukharin a Stalin pubblicata giovedì dalla Stampa: Bukharin sa che il suo destino è segnato, ma crede ancora fino in fondo alla causa tanto da mettersi dalla parte del suo carnefice. Ci crede tanto da mettere in discussione la sua stessa vita, non solo quella degli altri». I documenti su Nagy? «La conferma estrema che nel movimento comunista gli Anni 30 proprio questo furono e non al¬ tro», commenta il filosofo Biagio De Giovanni, autore di una delle prime autocritiche su Togliatti nel pei che si avviava a diventare pds. «La prova ulteriore del carattere totalizzante e integralista di quel sistema continua De Giovanni -, ma questo non significa che noi oggi possiamo non sentire il bisogno di un sempre più radicale ripensamento critico su quell'esperienza e sulla storia complessiva del movimento comunista». «E non significa nemmeno conclude il filosofo napoletano - che il Nagy del '56 sia distrutto dal Nagy che opera dal '30 al '41. Non comporta, cioè, che un individuo non possa, anche sul terreno personale, conquistare nel tempo un altro rapporto con la realtà, modificarsi, cambiare profondamente. Il '56 fu per Nagy un atto di ripensamento radicale del suo passato. Se si vuole una catarsi, visto che da lui fu affrontata al prezzo della vita». , Pierluigi Battista

Luoghi citati: Mosca, Roma, Ungheria, Unione Sovietica, Urss