«Imre Nagy spia sovietica Abbiamo taciuto per paura» di Tito Sansa

Dopo le rivelazioni della «Stampa», parla l'ex segretario del partito comunista ungherese Grosz Dopo le rivelazioni della «Stampa», parla l'ex segretario del partito comunista ungherese Grosz «Imre Nagy spia sovietica Abbiamo taciuto per paura» EBUDAPEST RAVAMO in molti a sapere che Imre Nagy era stato negli Anni 30 un agente al servizio della Nkdv, il Kgb di allora, sotto il nome fittizio di Volodia. Dirò di più: Nagy ha servito anche con altri due nomi di battaglia, che adesso non ricordo. Quel che è venuto fuori dagli archivi del Politburo del pcus è soltanto la punta di un iceberg». Dopo le rivelazioni della Stampa di ieri sul passato imbarazzante dell'eroe ungherese dell'insurrezione antisovietica del '56, siamo andati a sentire un testimone chiave: Kàroly Grosz, 62 anni, primo ministro e segretario del posu ungherese nell'89, quando Imre Nagy fu riabilitato e solennemente sepolto a Budapest. E' a lui che all'epoca il presidente del Kgb Vladimir Kriuchkov inviò la documentazione di accusa contro Imre Nagy. Raggiunto nella sua dacia presso Godono a una quarantina di chilometri da Budapest, dove vive senza telefono come un novello Cincinnato (l'abbiamo trovato intento a nutrire i polli), l'ex numero uno del partito racconta la «vera storia» dei documenti di accusa contro Imre Nagy. E subito mette in chiaro che l'invio delle fotocopie non fu una iniziativa dei sovietici ma avvenne «su mia precisa richiesta». Per averle ne parlò personalmente con Gorbaciov il quale, in sua presenza, convocò Kriuchkov incaricandolo cercare negli archivi e di mandare i documenti a Budapest. «Dovevamo riabilitare Nagy racconta Grosz - e fargli un funerale solenne il 16 giugno, nell'anniversario della sua impiccagione. Ma c'era malumore nel partito. All'inizio di aprile un compagno, membro del comitato centrale, si alzò e disse: "Si mormora tanto sul conto di Nagy, esigiamo chiarezza". A me fu dato l'incarico di parlarne con Gorbaciov». , Un pacco di fotocopie dei documenti di accusa arrivò a Grosz un mese dopo, pochi giorni prima del 16 giugno, e Grosz ne ri¬ ferì al Comitato Centrale. In sala - presenti 250-300 persone - si diffuse lo sbigottimento. Il segretario decise che i documenti non sarebbero stati resi pubblici. «Perché avremmo dovuto farlo? - ci dice Grosz -. Per fare un piacere all'opposizione? C'era poi una considerazione di ordine etico: nell'antivigilia del funerale sarebbe stato immorale gettare fango sul morto». Ma come è stato possibile che quasi 300 persone abbiano mantenuto il segreto? «Hanno taciuto per paura di questo regime che non ha nulla da esibire se non insuccessi e sbandiera Nagy, che non gli appartiene, come se fosse un "suo" eroe». Grosz non ha peli sulla lingua, il giudizio che dà su Imre Nagy è schietto, diverso da quello di coloro che osannano all'eroe del '56. «Il suo curriculum - dice - è negativo. Non solo negli Anni 30, quando era delatore della Nkdv, ma anche dopo il '45, quando si mise al servizio dello stalinista Ràkosi, a cui poi si oppose non per motivi politici ma personali. Non nego tuttavia il suo ruolo positivo dopo il '50, quando si batté per non adottare il sistema agrario sovietico in Ungheria e quando si oppose all'occupazione dell'Armata Rossa. In una vita tutta negativa Nagy ha fatto cose positive. Bisognava punirlo, ma non impiccarlo. E' stato un errore gravissimo, si è fatto di lui un martire, mentre era solo una vittima del sistema, del "suo" sistema. Difficile stabilire il suo ruolo. Sarà la storia a farlo. Per ora non mi sento di assolverlo né dal punto di vista politico né da quello morale». Grosz rivela che la morte di Nagy pesò per anni sulla coscienza di Jànos Ràdar. Non erano stati i sovietici, ma i tedeschi orientali (Ulbricht) e i romeni (Gheorghiu Dej) a insistere perché venisse inflitta la pena capitale a «almeno 20 mila persone». Krusciov, anzi, aveva proposto che Nagy fosse condannato a lavori in campagna (come avvenne poi per lo slovacco Dub- cek). Ma Nagy rifiutò di firmare le dimissioni per cedere il posto a Kàdar, e così decretò la sua fine. «Oh, se Imre avesse firmato!» confidò Kàdar a Grosz, nell'89, pochi giorni prima di morire, giusto in tempo per non assistere alla riabilitazione della sua vittima. «I sovietici non fecero alcuna pressione, lo stesso capo del Kgb Kriuchkov, fu molto corretto. Dare la colpa ai sovietici è un'infamia», conclude Grosz. Al colloquio ha assistito Attila Pozsonyi, uno dei due vicepresidenti del partito del lavoro, erede del posu. «Nagy è stato vittima di se stesso - commenta -. Non firmando le dimissioni sapeva di andare incontro alla morte. Nella sua mente è forse passata una idea suicida». Per riabilitarsi e diventare un martire? Il funzionario non risponde. Tito Sansa «Quel che emerge ora dagli archivi è solo la punta dell'iceberg Chiedemmo noi a Gorbaciov di fare indagini» Nella foto grande Imre Nagy, l'eroe dell'insurrezione democratica ungherese del '56. Sopra Biagio De Giovanni, a sinistra Massimo Caprera, in basso Kàroly Grosz, ex segretario del posu

Luoghi citati: Budapest, Ungheria