Afghanistan la holding degli eroi di Cesare Martinetti

le quinte della russia Trame a Mosca contro i reduci, che sono una potenza politica e economica Afghanistan, la holding degli eroi Una ragazza accusa il presidente-boss «Mi portava in ufficio e mi frustava» le quinte della russia MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Quattro pistole a gas, due fucili da caccia, due mozziconi di spinelli non sono niente a confronto di quella bomba ad orologeria che si chiama Angelica, che ha vent'anni, fa la cali-girl al telefono rosa ed ora accusa i reduci dell'Afghanistan, fredda, lucida, implacabile nella denuncia che la polizia ha registrato in un videoclip e mostrato come un trofeo alla commissione del Soviet Supremo giunta a Ekaterinburg per indagare sulla potente lobby degli «afghanzi», i veterani di quell'inglorioso Vietnam dell'Armata rossa che fu la guerra contro i mujahidin. Angelica contro Vladimir Liebiedev, 32 anni, presidenteboss-padrone della «Soiuz veteranov» di Ekaterinburg: «Mi ha stuprata. Molte volte aveva fatto con me quello che faceva anche con le altre ragazze: ci convocava in ufficio, ci accusava di qualcosa, poi si sfilava la cintura dai pantaloni, ci faceva alzare la gonna e ci batteva. Questa volta, invece, mi ha proprio stuprata». In carcere il boss, isolamento completo fino al processo; in carcere altri quattro afghanzi per quel misero arsenale di quattro pistole a gas e due fucili da caccia sequestrato dalla pohzia. Sotto accusa tutto il movimento per una storia che nasce nella provincia degli Urali, ma rimbalza a Mosca, cuore dell'ex impero e cervello dell'Unione veterani, strano miscuglio di reducismo patriottico, solidarietà sociale e affarismo d'assalto in questo Paese dove chiamano capitalismo la spartizione privata dell'ex capitale collettivo. Incontriamo Alexandr Alexandrovic Kotenyov, presidente dei 350 mila afghanzi, nella lontana periferia della capitale, in un palazzotto modernissimo che sembra una fortezza, col muro di cinta, la garitta per la guardia, una pattuglia di scorta nell'auto col motore acceso davanti all'ingresso. Ex capitano di fanteria, nove mesi soltanto di guerra, il tempo di mettere il piede su una mina che gli ha offeso la colonna vertebrale. Parla tranquillamente minaccioso nell'immenso ufficio con 65 segretarie da dove dirige questa holding di reduci: «Il regista di ciò che è avvenuto a Ekaterinburg si trova qui a Mosca. E' chiaro. Abbiamo molti nemici perché in caso di elezioni possiamo influire pesantemente. E noi, in questo momento, continuiamo ad appoggiare i progetti di riforma, ma siamo molto scontenti di come sta andando avanti la riforma. Non sarà la provocazione di Ekaterinburg a farci cambiare idea». Il «caso» porta la data del 12 febbraio, quando tre squadre di Omon (i reparti speciali del ministero dell'Interno) hanno fatto irruzione nella sede degli afghanzi di Ekaterinburg, al secondo piano di un palazzo all'angolo tra le due vie principali della città. Hanno rotto le porte, buttato la gente faccia a terra, malmenato un anziano, urtato una donna, insultato il reduce Altman, un ebreo: «Hitler ti ha risparmiato, noi non saremo così gentili». Nella sede non c'era niente di compromettente; in un ufficio distaccato hanno trovato le quattro pistole a gas (diffusissime in Russia per difesa personale), i due fucili da caccia, i due mozziconi ricordo di una fumata d'erba. Gli Omon venivano da Perai e da Pietroburgo. Nessuno della polizia di Ekaterinburg sapeva nulla: gli Omon locali sono stati esclusi dai misteriosi registi dell'operazione perché troppo vicini agli afghanzi che chiamano in aiuto ogni volta che devono fare un'operazione rischiosa contro mafiosi e delinquenti del posto. Il primo comunicato ufficiale dell'operazione è trionfale: la sede dell'Unione reduci era una «centrale di traffico di armi e di droga». C'è puzza di provocazio¬ ne. Da tutta la Russia si mobilitano i reduci. U 15 febbraio a Ekaterinburg ci sono dieci mila afghanzi che chiedono la liberazione di Liebiediev. Ottocento occupano il soviet locale: un'organizzazione paramilitare li appoggia da fuori, fornisce pranzo, cena, appoggio logistico. Armati? «No», ci dice ora a Mosca Kotenyov, ma aggiunge: «Però per noi non è un problema trovare armi». Per 10 giorni Ekaterinburg è presidiata dai reduci, i giornali locali rimbalzano notizie drammatiche. Invece non accade nulla. Dal carcere il leader Liebiediev manda a dire di tenere i nervi a posto. Da Mosca, dal Soviet Supremo, imposta dall'Unione, parte una commissione mista per indagare sul fatto: c'è Serghey Kovaliov, presidente della commissione per i diritti dell'uomo. La commissione arriva a Ekaterinburg e improvvisamente il caso si sgonfia: svanisce l'accusa di traffico di armi e di droga, ma spunta dal nulla Angelica e il videclip con la sua confessione contro Liebiediev viene mostrato ai parlamentari che indagano. «Non so - ci dice Mukusev nel suo ufficetto di parlamentare alla Casa Bianca, sotto un piccolo ritratto di Andrej Sacharov - se Liebiediev abbia stuprato quella donna, ma in tutta l'operazione degli Omon vedo i segni della provocazione». Il caso è più grosso di quello che sembra la bega da bordello tra Angelica e la testa calda Liebiediev, che certo non dev'essere un santo dal momento che del «telefono rosa» aveva una quota di minoranza per conto dell'Unione. Ma è nell'ufficio di Mosca di Kotenyov che si capisce cos'è davvero l'Unione degli afghanzi, difensori della Casa Bianca nei giorni del golpe e perciò creditori di rispetto da parte del governo. Il presidente, con un po' di spavalderia, ci mostra una cartella dentro la quale ogni giorno il governo invia all'Unione tutti gli atti e le decisioni prese. C'è anche un documento del ministero dell'Economia che affida agli afghanzi la gestione del 10 per cento delle esportazioni di acciaio, di alluminio e di altro ancora. Kotenyov rivela che forte del suo credito democratico nei confronti del governo riformista, la sua Unione dirige import-export, segmenti «privatizzati» della produzione industriale (come il ciclo finale della catena di montaggio della Vaz), catene di imprese edilizie: «Sorrido con amarezza pensando che agli Omon cacciati da Riga abbiamo regalato trenta appartamenti a San Pietroburgo, ed ora loro hanno partecipato alla provocazione contro i nostri di Ekaterinburg...». La holding patriottica degli afghanzi, nel mito della sindrome di Kabul, dei 13 mila 833 caduti e dei 49 mila 985 feriti, ha messo insieme un partito politico (il Partito popolare patriottico) che tiene il grilletto puntato contro la tempia del governo. Il partito degli Omon ha scovato Angelica e buttato sul piatto la cintura dei pantaloni di Liebiediev. La seconda guerra d'Afghanistan è cominciata. Cesare Martinetti Soldati sovietici tornano da Kabul