Così «Volodia» mandava a morte i suoi compagni di Cesare MartinettiTito Sansa

Così «Volodia» mandava a morte i suoi compagni Così «Volodia» mandava a morte i suoi compagni Restauratori, controrivoluzionari, incorreggibili: nessuna pietà ~Y\ MOSCA i ST VAN Vàgi e Gabor Fari kas, emigrati ungheresi, i nel gennaio del 1937 visti vevano con le famiglie a Mosca nello stesso appartamento. Una sera Farkas invitò parecchie persone che si fermarono fino all'una di notte a cantare e ballare. Vàgi, infastidito, se ne lamentò al partito accusando Farkas: «E' un bianco, nemico della classe operaia, un sabotatore». Lo aveva già detto due anni prima e le accuse apparvero al comitato esecutivo del Komintern «inammissibili e senza motivi convincenti». Questa volta fu Farkas a reagire accusando: «Ha rapporti con i trotzkisti». Il Komintern rimproverò Vàgi per il carattere «irascibile» e la propensione agli «intrighi». Un anno dopo Istvàn Vàgi veniva arrestato dall'Nkvd, processato e condannato a morte per «spionaggio». Qualche mese prima era stato arrestato anche Farkas, accusato di spionaggio a favore della Germania e condannato alla fucilazione. Davanti al tribunale, dichiarò di non aver commesso alcun reato antisovietico. Vàgi - fu provato - era stato condannato in base alla calunnia di altri due compagni (testimonianza negli Anni Cinquanta della moglie Rosa Frantsevna) ; per Farkas ci fu la riabilitazione ufficiale della Corte Suprema dell'Urss: il 22 settembre 1956 stabilì che la sua condanna era stata infondata. Due piccole storie nello scenario di delazioni e reciproci sospetti che portarono alla morte milioni di persone durante il terrore staliniano. Ma sotto il destino incrociato di Vàgi e Farkas c'è anche la firma dell'agente Volodia, alias Imre Nagy. E i due litigiosi coinquilini non sono le uniche vittime dell'«agente qualificato» Nagy. In un rapporto senza data della polizia politica dove si legge che l'agente Volodia «manifesta nel lavoro un grande interessamento e un'iniziativa che ha consentito la scoperta e la liquidazione di gruppi controrivoluzionari», troviamo i nomi di numerosi denunciati come «restauratori»: Franz József Gàbor, Schlosser (pseudonimo), Elek Bolgàr, Jenò Varga, Gerrel (pseudonimo), e un Lukàcs non meglio precisato. In quello stesso rapporto si dice che Volodia ha consentito la liquidazione anche del gruppo detto degli «incorreggibili», quattro persone: Sari Manuel, Laszlo Baross, Zsofia Krammer, più un altro senza nome. Solo la Krammer si sarebbe salvata: rimpatriata in Ungheria negli Anni 40, è morta a Budapest nel '70. Sari Manuel, sarta, in Urss dal '31 dove ha lavorato come bibliotecaria al Komintern, arrestata nel '38 su falsa denuncia, morì in carcere in circostanze misteriose nel 1940. Baross, giornalista prima a Berlino, poi (dal '33) in Urss al servizio stampa del Komintern, arrestato nel '38, è morto in carcere poco dopo. In un altro rapporto sull'agente Volodia, firmato dal tenente Sverdlov in data giugno 1941, troviamo raccontato in modo dettagliato come Nagy denunciò altri compagni. Tra il '37 e il '38 Volodia «ha fornito materiali sull'attività antisovietica di Farkas e Vàgi». Il primo al momento dell'arresto era direttore della cattedra di economia politica all'Istituto di Energia di Mosca; di Vàgi si sa che era nato nel 1883 ed era membro del partito comunista ungherese dal 1919. Nell'elenco dei denunciati c'è anche un Vagò, forse Béla, prima socialdemocratico poi comunista, a Mosca dal '31, redattore di Falce e Martello, arrestato su denuncia che si rivelò poi falsa e anche lui morto in carcere nel 1939. Nel rapporto firmato dal tenente Andrej Sverdlov (che Anna Larina, moglie di Bukharin, ha ricordato come uno dei più feroci inquisitori di quegli anni) si legge che Volodia insieme a Farkas e Vàgi denunciò anche le «attività antisovietiche» di Ljubarskij, Dubarovskij, Ede Baron e un certo Magyar. Potrebbe essere Lajos Magyar, giornalista, giustiziato nel '40 e successivamente riabilitato; oppure József Magyar, medico, più volte arrestato, morto in reclusione nel '42. Cosa aveva fatto di male il povero Magyar? Era stato visto (anche dall'«irascibile» Vàgi) nella cerchia del conte Apponyi, «agente dell'aristocrazia finanziaria ungherese», noto circolo di «spie e di personaggi sospetti». Nel 1956, proprio nell'anno in cui Imre Nagy finiva da eroe la sua avventura di primo ministro ungherese che aveva osato sfidare Mosca, il collegio militare dell'Urss riaprì e richiuse il caso Magyar per la totale mancanza di reati commessi dall'accusato. Cesare Martinetti Tito Sansa Fra le vittime i comunisti magiari Istvan Vàgi e Gabor Farkas