L'eroe ungherese spia di Mosca di Giulietto Chiesa

L'eroe ungherese spia di Mosca Clamorosa scoperta negli archivi del pcus: il leader dell'insurrezione antisovietica del '56 fu agente della Nkvd negli Anni 30 L'eroe ungherese spia di Mosca MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Imre Nagy, l'eroe del '56 ungherese, fu agente della Nkvd, la polizia politica sovietica antenata del Kgb. Nome di battaglia: «Volodia». Arruolato il 4 settembre 1930. Rimasto «in servizio» almeno fino al giugno 1941. Gli archivi supersegreti del Politburo del pcus rivelano oggi una sensazionale circostanza, che porta nuova luce, e nuove ombre, sulla storia del partito comunista ungherese, sulle repressioni e tragedie che travolsero un'intera generazione di rivoluzionari. Ma i documenti che pubblichiamo - con la collaborazione della rivista Rodino, - escono dal vaso di Pandora dell'archivio «presidenziale» in una confezione che, come in un gioco di scatole cinesi, intreccia passato e presente in un groviglio non meno sconvolgente della rivelazione in se stessa. Il 16 giugno 1989 l'allora presidente del Kgb, Vladimir Kriuchkov, inviava al Comitato Centrale del partito comunista dell'Urss una lunga lettera, che pubblichiamo a pagina 16 di «Società & Cultura». In Ungheria, in quei mesi, il partito socialista operaio ungherese era ormai sull'orlo del crollo. «Le organizzazioni dell'opposizione - scriveva Kriuchkov chiedono la piena riabilitazione, politica e giurìdica, di Imre Nagy. Si crea un'aureola di vittima e incorruttibile, di persona assolutamente onesta e di fermi principi», di «coerente combattente contro lo stalinismo, di sostenitore della democrazia e di un radicale rinnovamento del socialismo». Il capo del Kgb prende allora l'iniziativa. Perché non «smascherare» Nagy, infliggere un colpo irreparabile alla sua figura morale, rivelare al mondo che nella vita di Nagy ci sono pagine inconfessabili? Si otterrebbe così il duplice effetto di far ammutolire gu oppositori esterni al posu, e di rafforzare nel partito le correnti più filo-sovietiche a danno dei Pozsgay, Horvat, Sùeròs che «civettano con l'opposizione». La proposta finale di Kriuchkov è precisa: informare il segretario generale del posu, Kàroly Grosz, e «consigliarsi con lui sulla possibile utilizzazione» dei documenti. La questione viene esaminata pochi giorni dopo, il 19 giugno 1989, dal Politburo del pcus. Sul documento inviato da Kriuchkov si legge in alto, con chiarezza, una nota a mano: «D'accordo». E la firma: Gorbaciov. Ricerche da noi effettuate portano alla conclusione indubitabile che i documenti furono davvero inviati alla direzione ungherese. Lo storico Roy Me dvedev ci ha detto che lo stesso Kriuchkov gli confermò, nel 1990, di «avere inviato i mate riali in Ungheria». Lo testimo niano, per altro, le notazioni a mano a fondo pagina: «La questione è stata esaminata nella riunione del Politburo del 10/6/1989. La decisione presa è favorevole». La firma è di Boidin, capo della segreteria presi denziale. Che aggiunge un ordine: «Informare della decisione favorevole». Più sotto - scritta da altra mano - c'è la conferma che l'ordine è stato eseguito «Della decisione è stato informato il Kgb». Infine il timbro di sbieco «rassekreceno», a indicare che il documento non può più essere considerato segreto (ma potrebbe essere stato apposto successivamente). L'unica cosa che non abbiamo potuto accertare è chi esattamente ricevette i documenti e potè esaminarli Eppure Grosz questi docu menti non li pubblicò, non li uti lizzò. E neppure altri - che potrebbero essere stati informati parallelamente dell'esistenza di questi materiali - si sono risolti a farlo. Evidentemente a Budapest si ritenne che un tentativo di screditare Nagy sarebbe stato accolto con ostilità dall'opinione pubblica ungherese, e avrebbe prodotto effetti ancora più destabilizzanti per le sorti del partito. E' questione di storia recente e bruciante. Solo i protagonisti ancora in vita possono spiegare che cosa accadde e che cosa non accadde. Se conobbero e perché non usarono l'occasione che Mosca offriva loro. Perché tutti quelli che seppero decisero di tacere, in una «congiura del silenzio» che sembra sia stata dettata da un sentimento di difesa nazionale contro uno choc che sarebbe stato insopportabile per molti. Altra questione è ora il riesame della figura di Imre Nagy, alla luce di questi documenti, la cui autenticità appare fuori discussione. Che cosa egli abbia rappresentato per la storia dell'Ungheria rimane intatto: ne fanno fede la sua azione politica dopo il ritorno in patria, il coraggio con cui si battè - come capo del governo - nei drammatici momenti della rivolta contro i sovietici, la sua fine tragica e ancora misteriosa, che riscatta e rovescia l'immagine di collaboratore dei suoi futuri carnefici. Il tentativo di screditarne la figura morale utilizzando i suoi trascorsi, inconfessabili, terribili, perfino mostruosi, è una classica operazione da servizi segreti. In questo caso neppure si può parlare di «disinformazione», di fabbricazione di documenti falsi. Semplicemente si «rivela la verità», anche se lontana nel tempo, anche se - anzi proprio perché - essa è opposta alla verità ultima della sua vita. Ma i documenti che pubblichiamo sono soltanto una parte del fascicolo dedicato a «Volodia». Nella lettera di Kriuchkov sono citate altre prove a carico. Tra queste un documento «che dimostra come nel 1939 Nagy propose alla Nkvd il "trattamento" di 38 emigrati politici ungheresi». Esisterebbe un altro «elenco» in cui egli «fa i nomi di 150 conoscenti ungheresi, bulgari, russi, tedeschi, italiani, con i quali, in caso di necessità, egli potrebbe "lavorare"». In alcuni dei documenti di cui disponia¬ mo «Volodia» viene inoltre indicato come artefice principale delle delazioni che hanno permesso di liquidare «gruppi di nemici del popolo», indicati - secondo la terminologia cospirativa dell'Nkvd - con le denominazioni seguenti: «Agrari», «Incorreggibili» e «Restauratori». Kriuchkov cita i primi due gruppi, ma non il terzo. Al suo posto ne compare un quarto, denominato «Agonia dei predestinati», che non figura nei documenti in nostro possesso. Come non vi figura l'elenco di 15 arrestati - su delazione di Nagy - che porterebbe la data del giugno 1940 e includerebbe persone che lavoravano nell'Istituto Agrario Internazionale, nel Comintern, nel Comitato radiofonico pansovietico. C'è, infine, una singolare contraddizione. Nella lettera di Kriuchkov e nell'informazione che il vice-ministro dell'Interno Merkulov invia a Malenkov nel giugno 1941, il «reclutamento» di «Volodia» viene fatto risalire al 1933. Tuttavia imo dei documenti che riproduciamo, cioè «l'impegno» firmato da Imre Nagy a collaborare con l'Ogpu (la sigla dell'epoca del Kgb), porta la chiarissima data del 4 settembre 1930. Se ne deduce che Kriuchkov e Merkulov videro un altro documento successivo, in cui Nagy ribadiva il suo «impegno». Si pone qui una questione di fondo. Ha diritto, un uomo, un politico, di cambiare opinione, campo, scelte fondamentali dell'esistenza? La risposta non può che essere affermativa. E si ha diritto di giudicarlo, di sottoporlo a un linciaggio morale e poli- tico (non importa se post mortem) per ciò che ha commesso nel proprio passato, senza affrontare nello stesso tempo l'esame delle circostanze, del contesto in cui egli ha compiuto quelle scelte? Certo, nel caso di Imre Nagy si delineano responsabilità criminali vere e proprie. Dai documenti che pubblichiamo emerge che molti dei compagni da lui personalmente spiati, denunciati, «compromessi», sono stati uccisi o sono spariti nei gorghi del gulag sovietico. Ignorare tutto questo, ora che ne emergono i contorni, non è possibile. Sarebbe fare torto alla verità, chiudere gli occhi sulla tragedia individuale e collettiva che si è consumata. Questi sconvolgenti documenti - riesumati, per infangarlo, dagli eredi ideologici e morali di coloro che lo «assoldarono» - ci restituiscono comunque un Imre Nagy diverso. Da demonizzare, ora, dopo averlo beatificato? Sarebbe un'operazione altrettanto falsa, unilaterale, disumana. Perché l'Imre Nagy eroe della libertà e vittima dei sovietici non è meno «vero» dell'altro, che fu complice dello stalinismo, carnefice dei suoi compagni. Ci si poteva sottrarre a quel meccanismo infernale? Hanno potuto farlo solo quelli che lo avevano capito. E furono pochi. E pagarono subito, quasi tutti, con la vita. Altri compresero solo «dopo», e per anni «collaborarono» in piena convinzione, con fede fanatica. Probabilmente fu il caso di Imre Nagy, che i documenti del Kgb descrivono come un agente «di grande dedizione e iniziativa». Potevano dire la verità, dopo, confessare in pubblico i loro errori, i loro crimini? Avrebbero potuto e dovuto. Ma non sarebbe rimasto loro altro che andarsene, dalla politica e perfino dalla vita. E in molti casi sarebbe rimasta loro solo questa ultima, estrema scelta. Esiste una cattedra sufficientemente alta e pura che possa pronunciare oggi una tale sentenza? Ora, con il senno di poi che ci viene dall'aver vissuto tutte le fasi di quell'epopea, fino alla sua conclusione tragica e farsesca a un tempo, possiamo, anzi dobbiamo, trovare l'equilibrio per un giudizio equanime. Non per giustificare, ma per comprendere cos'è realmente accaduto. Senza dimenticare un'ultima cosa. Oggi tocca a Nagy, ma da questi archivi usciranno tante altre sorprese. La storia degli ultimi cinquant'anni, le biografie dei politici di mezza Europa dovranno essere riscrit te. E avremo bisogno tutti di tanta pietà e di senso della storia. Giulietto Chiesa Qui accanto e nella foto piccola Imre Nagy ai tempi dell'insurrezione. A lato i carri armati sovietici a Budapest nel '56. In alto a destra l'«impegno» firmato da Nagy a collaborare con la polizia politica di Mosca

Luoghi citati: Budapest, Europa, Mosca, Ungheria, Urss