Citaristi ammette soldi in nero alla dc

L'ex amministratore della de: «Ma erano peccati veniali, non c'è mai stata corruzione» L'ex amministratore della de: «Ma erano peccati veniali, non c'è mai stata corruzione» Citaristi ammette: soldi in nero alla de Pesentiparla di mazzette miliardarie MILANO. Due ore di deposizione spontanea e una prima, importante, ammissione: anche la de incassava finanziamenti dalle imprese senza registrarli a bilancio. A fare questa rivelazione al giudice Di Pietro è Severino Citaristi, cassiere nazionale del partito, 14 volte «avvisato» dai magistrati di tutte le Tangentopoli d'Italia. Citaristi ammette alcuni finanziamenti illeciti, ma su una cosa è chiaro: esclude ipotesi di corruzione, nega che ci sia mai stata concussione. Solo «peccati veniali». Aspetta il giudice Di Pietro nella caserma dei carabinieri di via Montebello. E alle 9, puntuale, si presenta Severino Citaristi. E' il secondo incontro tra di loro. Nel primo, la scorsa estate, quando il parlamentare de non era ancora il recordman di Tangentopoli, Citaristi negò tutte le ipotesi di reato. Per mesi andò avanti il muro contro muro. E le «buste gialle» con gli avvisi di garanzia fioccavano. Una, due, tre, fino a 11 solo da Milano. E per tre volte la procura ha chiesto espresssamente al Parlamento l'autorizzazione a poter arrestare il cassiere della de, che negli ultimi tempi ha più volte annunciato di voler rimettere l'incarico. Antonio Di Pietro ascolta, e verbalizza. Quella del parlamentare è una presentazione spontanea. Non può fare domande il magistrato, potrebbe solo chiedere delle precisazioni ma non lo fa. Racconta Citaristi, e parla per due ore. Racconta di imprese, fa date, ricorda cifre. E cerca di convincere il magistrato: quei soldi che arrivavano al partito non erano tangenti, erano slegati dagli appalti, non c'erano buastarelle di mezzo. Bilanci della de alla mano snocciola conti su conti Severino Citaristi. Ma poi ammette. Sì, è vero, qualche finanziamento non registrato, «in nero», effettivamente c'è. Poca cosa rispetto ai miliardi, a decine, di cui si parla nelle numerose informazioni di garanzia inviate dai giudici di «Mani pulite». Ma non è poco questa piccola ammissione. Di Pietro ascolta, chiude il verbale, lo firmano entrambi, anche i due avvocati romani, Gaito e Gatte¬ schi, appongono la loro sigla. «Va bene, la ringrazio», dice solo Di Pietro. E si stringono la mano. Corre l'inchiesta a Tangentopoli. Corre nel «palazzo», nelle sedi centrali dei partiti, verso i massimi leader. E anche Giorgio La Malfa, tra poco, non sarà più solo. Altri dieci parlamentari, di partiti diversi, stanno per ricevere un avviso di garanzia dal pubblico ministero Fabio De Pasquale. E l'inchiesta sui «fondi neri» Asse-lombarda si preannuncia come un pozzo senza fondo. A guidare l'inchiesta del magistrato sono trecento pagine, fitte di nomi e di cifre, trovate in una cassetta di sicurezza di una banca milanese. Politico per politico, parlamentare per parlamentare, partito per partito, in quei fogli, con cura scrupolosa, sono registrati i finanziamenti in «nero», elargiti dall'Assolombarda dal 1972 a oggi. E dentro ci sono tutti. Finanziamenti per dieci, quindici, ma anche per centinaia di milioni. Reati prescritti solo fino all'89. Per gli ultimi tre anni, invece, partiranno le informazioni di garanzia con l'ipotesi di violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Lo stesso reato contenuto nella «busta gialla» inviata al segretario repubblicano. E La Malfa, nei prossimi giorni, potrebbe decidere di presentarsi spontaneamente davanti al magistrato, per chiarire la sua posizione. Contro La Malfa c'è un fogliet¬ to, un fattura per il pagamento dei manifesti alle ultime elezioni, e la parola di Gianni Varasi, il finanziere ascoltato dai giudici di «Mani pulite» pure per l'inchiesta Enimont. Varasi, interrogato da De Pasquale, ha consegnato al magistrato quattro fatture emesse dalla tipografia che aveva stampato i manifesti elettorali per conto di una sua piccola società immobiliare. E su uno dei quattro foglietti, che provano il finanziamento di 50 milioni, compare il nome di Giorgio La Malfa. Altri foglietti, quelli che provano i versamenti nelle banche di Singapore per il psi e Svizzere per la de, li porterà ai magistrati l'imprenditore Giampiero Pesenti, arrestato e subito messo agli arresti domiciliari. Anche lui ha confessato per le mazzette pagate dalla Franco Tosi per alcune centrali Enel. Sette miliardi alla de, altrettanti al psi, recita il mandato di cattura. Ma Pesenti va oltre, e racconta mazzette per 21 miliardi, solo una parte delle quali però realmente pagata. E dopo gli avvisi di garanzia già inviati ai parlamentari, i giudici di «Mani pulite» inviano oggi alle Camere le relative richieste di autorizzazione a procedere. Numerosi gli scatoloni già pronti con la documentazione. E sopra i nomi: Bettino Craxi, Gianni De Michelis, Paris Dell'Unto, tutti psi, Severino Citaristi, Giorgio Moschetti, Bruno Tabacci, de. Fabio Potetti A lato: Giovanni Prandini Più a sinistra il segretario amministrativo de, Severino Citaristi

Luoghi citati: Milano, Singapore