Deliziosa Santarella irresistibile sciantosa di Osvaldo Guerrieri

Luigi de Filippo, a Torino con ritmo Luigi de Filippo, a Torino con ritmo Deliziosa Santarelli! irresistibile sciantosa Eduardo Scarpetta ne era orgoglioso L'attore somiglia sempre più al padre TORINO. Se, per reagire alla nerezza dei tempi, desideraste andare a teatro per divertirvi, non perdetevi la «Santarella» che Luigi de Filippo interpreta all'Erba fino a domenica. Non avrete soltanto uno spettacolo deliziosamente comico: scoprirete uno dei più gustosi esempi di teatro napoletano nato sulle ceneri di Pulcinella e sulla spinta di quelle commedie «boulevardières», che da Parigi avevano invaso le scene del nostro Paese. Di questi travasi, o adattamenti o re invenzioni, Eduardo Scarpetta fu accanito praticante. Come tanti altri successi, anche «Santarella» ha matrice francese, proviene dalla «M.lle Nitouche» di Meilhac e Milland. Scarpetta la scrisse nell'ottobre del 1888, durante un lungo soggiorno milanese, e la rappresentò al Sannazzaro di Napoli nel maggio dell'anno successivo. La commedia - ricorda lo scrittore nelle sue memorie - «fu replicata per centodieci sere, a teatro gremito». E rivela che, intorno alla propria riduzione, «pullularono non so più quante imitazioni e derivazioni». Arrivarono «Na seconda Santarella», «Santarella mm are tata», «Santarellina», «Na Santarella cchiù Santarella de l'aute Santarella». Insomma, un vero fenomeno. Scarpetta ne fu tanto orgoglioso da affermare che la propria riduzione superava di molto l'originale. Esagerava? Chissà. Di sicuro la «Santarella» risultò più svelta e colorita. Portava in scena, con garbato macchiettismo, la vicenda di un'educanda così pia, così studiosa e così remissiva da essere soprannominata Santarella. Ma sotto tanta perfezione ardeva un temperamento vulcanico. Ce ne accorgiamo quando la ragazza, dovendo lasciare il convento delle Rondinelle per sposare un giova¬ ne che non conosce, convince Don Felice Sciosciammocca, l'organista dell'istituto, a portarla in giro per Napoli e, soprattutto, a farle assistere alla rappresentazione di un'operetta che Don Felice ha composto in incognito. A metà recita, in un teatro già in visibilio, la ragazza è costretta a sostituire la soubrette che ha abbandonato lo spettacolo per un violento accesso dì gelosia. L'educanda, che conosce la partitura a memoria, si trasforma in una sciantosa piena di brio e di fascino, innamora di sé e s'innamora di un tenente che, guarda caso, è il suo promesso sposo. Gioia per tutti. Ha un magnifico ritmo questa commedia, ed è piena di figurine deliziose, quali le macchiette del marchesino Sparaci, del cuoco cabalista e del vecchio sagrestano. Mettendola ora in scena, Luigi de Filippo ne rispetta l'impianto quasi alla lettera, concedendosi qualche educato alleggerimento, ma inserendo un prologo didattico su Pulcinella e sulle ragioni della sua fine a cui avremmo rinunciato. Ma per il resto lo spettacolo è una delizia, sostenuto da una recitazione impeccabile. E qui non possiamo non lodare la misura istrionica di Luigi de Filippo, che appare sempre più simile a suo padre Peppino e che, nel personaggio di Don Felice, distilla gli stili e i tic di una scuola antica ma sempre viva. Guardatelo soprattutto nei controtempi: è irresistibile. Gli stanno degnamente accanto Ciro Ruoppo (il cuoco assatanato del Lotto), Matteo Salsano (il sagrestano), Tullio Del Matto (il maggiore Bombarda), Oscar Di Maio (l'impresario), Luisa Amatucci (Santarella), Rossella Serrato (la prima donna) e tutti gli altri. Osvaldo Guerrieri

Luoghi citati: Napoli, Parigi, Torino