Socialisti eutanasiaù?

discussioni. Perché i partiti occidentali non riescono a sopravvivere al crollo del comunismo discussioni. Perché i partiti occidentali non riescono a sopravvivere al crollo del comunismo Socialisti, eutanasia? Elettrochoc per il Titanio che affonda CIA' una decina d'anni fa Ralf Dahrendorf aveva annunciato la fine dell'«età socialdemocratica» nei I Paesi dell'Europa occidentale. Egli, più che al declino dei partiti socialisti e socialdemocratici propriamente tali, si riferiva all'inevitabile esaurimento di una lunga esperienza storica, di una particolare civiltà politica europea, che aveva avuto il suo fondamentale punto di riferimento nei due modelli fra loro intrecciati dello Stato sociale e del partito burocratico. In sostanza, Dahrendorf aveva preannunciato con notevole anticipo la fine di quel leninismo blando e pluralistico, insieme pacifico e parassitario, basato sulla gestione pubblica da parte di un sistema di partiti strutturalmente affini, formalmente democratici nel rispetto delle istituzioni parlamentari e della legalità, ma intimamente ricattatori o addirittura usurpatori nei confronti della società civile. Questa civiltà politica promiscua, detta «socialdemocratica» da Dahrendorf, incentrata sullo Stato assistenziale, sull'economia mista, sull'intrusione nell'economia e nell'amministrazione pubblica di partiti di sinistra, di centro e di destra, tutti molto omogenei fra loro, si è affermata in molti Paesi occidentali a partire dalla fine degli Anni Quaranta, è durata praticamente mezzo secolo ed è entrata in crisi virulenta con il disfacimento improvviso dei sistemi totalitari comunisti dell'Europa Orientale. A pagare il conto più salato sono stati proprio quei partiti socialisti e socialdemocratici d'Occidente che, paradossalmente, anziché fruire del crollo comunista e apparire come custodi e continuatori vincenti di un socialismo sano e liberale, sono stati invece coinvolti e quasi travolti dal drammatico atto finale del leninismo. Ingiustizia o giustizia troppo sommaria della storia? Sentiamo uno che se ne intende, lo storico e politico polacco Bronislaw Geremek che, pur dichiarandosi pubblicamente di sinistra, denuncia il comportamento di tanti socialdemocratici europei nei confronti dei regimi leninisti: «Com'era rivoltante assistere ai dialoghi privilegiati che costoro cercavano di mettere in piedi con i funzionari comunisti! Il partito socialdemocratico tedesco che considerava un successo il fatto di pubblicare documenti comuni con la Sed di Honecker! Le delegazioni socialdemocratiche che venivano a rendere omaggio a Jaruzelski ed evitavano ogni contatto con l'opposizione anticomunista! Tutto questo bisogna tenerlo presente: bisogna purtroppo constatare la corresponsabilità della sinistra occidentale nel declino degli ideali di sinistra». Si aggiunga a questo l'abuso che per tre quarti di secolo i comunisti hanno fatto del termine stesso di «socialismo» («pianificazione socialista», «edificazione socialista», «Paese socialista», «società socialista», «legalità socialista» eccetera), e si comprenderà ancor meglio una delle ragioni che nel 1992 ha fatto perdere le elezioni ai laboristi in Inghilterra, che continua a punire nelle elezioni regionali i socialdemocratici in Germania, che minaccia il potere dei socialisti in Francia e in Spagna. La crisi di potere e d'identità, il disagio elettorale, l'ansia sempre più urgente di rigenerazione e di cambiamento, che scuote dalle fondamenta l'universo socialista europeo, britannico incluso, è il sintomo più appariscente di un malessere, di un morbo da senescenza, di tutta una catena di ferrei sistemi pluralistici che nel modello socialdemocratico di partito e di gestione pubblica avevano avuto il loro fulcro ispiratore. «Ho la sensazione che stiamo uscendo da un ciclo politico durato duecento anni», commenta il più acuto degli storici francesi, Francois Furet. Basta guardare alle grandi Internazionali, socialista, democristiana, liberale, per rendersi conto che esse sono «i sacrosanti guardiani del vecchio regime politico concepito nel XIX secolo»: i loro valori, la loro ispirazione ideale, i loro programmi, consimili e speculari pur nell'apparente diversità, derivano da un'altra epoca. Alla quale poi s'aggiungono, in peggiorativo senso esponenziale, i mali più insidiosi e degenerativi dell'epoca attuale: la corruzione, l'affarismo, il potere politico radicato e inquinato nel potere economico. Anche sul campo minato della questione morale i socialisti, non solo in Italia, anche in Francia e in Spagna, contano già una lunga schiera di caduti e di feriti. I francesi si preparano a dare a marzo una dura lezione elettorale al partito in calo di Mitterrand. Poco importa che i socialisti abbiano governato abbastanza bene l'economia (così come a tanti ita¬ liani poco importa che l'industria e la Borsa, al tempo della presidenza Craxi, abbiano conosciuto momenti di alta prosperità). Quel che una larga parte dell'elettorato francese rinfaccia ai socialisti è di aver perduto la loro anima originaria. Non si perdona agli eredi di Jaurès, di Guesde, di Blum di essere oggi coinvolti nello scandalo del sangue infettato dall'Aids, negli affari sospetti del Crédit Lyonnais, nelle irregolarità illecite di tante società di comodo, con 0 primo segretario del partito Fabius e una trentina di deputati inquisiti dalla magistratura e in parte difesi pubblicamente da Mitterrand. Non si perdona al mitterrandismo di avere sfruttato o addirittura rafforzato un perfido meccanismo di potere già utilizzato dalle destre. Frattanto, in Spagna, dopo dieci anni di governo incontrastato, il psoe di Gonzales deve fare i conti anch'esso con lo sbandamento morale, i fondi neri, le mazzette raccolte a destra e a manca dall'ex cassiera del partito Aida Alvarez, sullo sfondo di una drastica recessione e un tasso di disoccupazione che tocca ormai la soglia del venti per cento. Si profila pure qui una severa decimazione per l'autunno elettorale, mentre più a Nord i laboristi inglesi, reduci dalla loro quarta sconfitta, s'interrogano ansiosamente sulla propria identità «di classe», sulle proprie origini operaistiche, sulla catastrofica sudditanza dal sindacato, perfino sul proprio lessico militante tuttora influenzato da una certa mitologia a tratti trockista e a tratti addirittura filosovietica, pregorbacioviana. Non c'è da stupire se si sta già insinuando, fra i bagliori del crepuscolo, il rintocco del «big bang» riformatore e rinnovatore. L'ayatollah delia rigenerazione labori sta, Tony Blair, un avvocato quarantenne uscito dalla classe media e da Oxford, annuncia ai vecchi militanti settari che «il socia-' lismo è indubbiamente in crisi» e poi rincara la dose: «Dobbiamo recuperare la nozione di un socialismo che ha sofferto per i suoi le¬ gami inquinanti coi regimi dell'Europa Orientale». Ma la voce più acuta, più autorevole e più terrifica si è levata da Parigi. Michel Rocard, ex primo ministro di Mitterrand e tecnocrate illuminato e antigiacobino del socialismo francese, ha proposto senza mezzi termini al partito un'onorevole e fantasiosa eutanasia: la fine del partito classico, chiuso in se stesso, asfissiato dalla corruzione, con le sue correnti in Uzza all'interno e il suo falso gergo monolitico rivolto all'esterno. Quello che Rocard propone per rinnovarsi è una sorta di social-libertarismo del Duemila, un partito che suicidandosi si apre e si stempera in un nuovo «rassemblement» composto di ecologisti, progressisti generici, comunisti riformatori, centristi e perfino conservatori illuminati. Insomma la diluizione del più classico dei partiti francesi, il partito della sinistra nazionale, in una formazione eterogenea che presenta molte caratteristiche movimentistiche e tecniche da «antipartito» lombardo, fiammingo o catalano: una specie di «leghismo» progressista, liber- tario, ecologico, avventurosamente aperto al nuovo, uno stato d'animo più che una burocrazia, un amalgama fluido e vitale scagliato al di là di ogni camicia di forza partitica. La proposta di rottura di Rocard è stata variamente accolta dai socialisti e dai non socialisti. Mitterrand ha lasciato intendere scetticamente che il progetto rocardiano è interessante come costruzione intellettuale, ma poco praticabile nella realtà. Fabius ha ammonito che non bisogna perdere il contatto con la base tradizionale. Gli ecologisti, interlocutori diretti di Rocard, ma anche concorrenti accaniti dei socialisti sul piano elettorale, hanno per ora risposto più no che sì. Altri hanno gridato allo scandalo, hanno parlato di «elettrochoc», hanno evocato «una battaglia della Marna socialista senza i taxi di Clemenceau» o, addirittura, l'affondamento del Titanio. La disputa sulla metamorfosi del socialismo francese, ed europeo per estensione, incalza sul filo dell'incubo elettorale di marzo. Giudicare fin da ora la proposta rocardiana non è facile o perlomeno è prematuro. Quello che per intanto può interessarci, al di là della ricetta terapeutica rivolta ai socialisti, è la lucida consapevolezza critica che sembra animarla: la consapevolezza che i partiti ormai centenari hanno fatto il loro tempo in Europa e che soltanto una nuova forma di partito, meglio di antipartito estroverso e occasionale, di antipartito elettorale all'americana, può salvare insieme il socialismo e la libertà liberando l'uno e l'altra dalla perversione partitocratica che li ha portati alla necrosi e alla caducità morale. Può darsi che, in questo senso dissacrante, i promotori più sinceri e più intelligenti del rinnovamento o della trasformazione socialista avranno ancora qualcosa da dire, al di là deU'«età socialdemocratica», alle tormentate società liberali o semiliberali del nostro tempo. EnxoBettiza La socialdemocrazia sta morendo: come teorizzò Ralf Dahrendorf Sopra, il premier Sopra, Rocard ex primo ministro di Mitterrand propone un partito social-libertario Sotto, il sociologo Ralf Dahrendorf ha teorizzato la fine dell'età socialdemocratica Sopra, il premier spagnolo Gonzales, a destra immagine della Berlino post-comunista