Dalla periferia al successo Missione quasi impossibile di Luca Ubaldeschi
GLI OSTACOLI La Cuccarmi: «Chi nasce nelle borgate è fuori dal gioco», si apre il dibattito Dalla periferia al successo Missione quasi impossibile GLI OSTACOLI VERSO LA SCALATA OUESTA è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso in via Gluck, in una casa fuori città, gente tranquilla che lavorava...». Così cantava Adriano Celentano in una canzone-simbolo. Chissà se Celentano ritorna ogni tanto in via Gluck. Certo è che di strada lui ne ha fatta partendo dalla periferia, muovendo i primi passi nella «parte sbagliata della città», come l'ha definita Lorella Cuccarmi. Sanremo, palco del Teatro Ariston, prima serata del Festival della canzone italiana edizione 1993. L'esordiente Lorella Cuccarmi intervista Marco Conidi, giovane cantante che da Cinecittà, periferia di Roma, debutta nella manifestazione canora più importante dell'anno. E gli chiede proprio «che cosa si prova a nascere dalla parte sbagliata della città». La risposta? Decine e decine di telefonate di protesta giunte ai centralini dei giornali da parte di tanti abitanti di periferia, che nella domanda della show-girl hanno visto un che di dispregiativo. Lorella accusa il colpo, precisa, contrattacca: «Sono nata al Prenestino e ci ho vissuto per 18 anni. Se ho detto quella frase è perché so come ci si sente qualche volta a vivere in periferia. Un po' fuori dal gioco». Già, fuori dal gioco. Lontano dal centro, dal mondo del business, lontano dalle occasioni di carriera. Davvero è tanto più difficile «farcela», riuscire a conquistarsi uno spazio per chi viene dai quartieri di periferia? «Certo, non ci sono dubbi», dice il sociologo Giampaolo Fabris: «Perché le periferie delle nostre metropoli non assomigliano a quelle di altre grandi città europee, ma ricordano piuttosto gli "slums" degli Stati Uniti o le "favelas" sudamericane». E' per questo che Fabris non condanna l'espressione usata da Lorella Cuccarmi. Anzi: «Se con parte sbagliata della città non si dà un giudizio di valore, ma si esprime una constatazione oggettiva, la frase è condivisibile. Le periferie sono zone di marginalità sociale e geografica, aree totalmente carenti di servizi, anche i più ele¬ mentari». La colpa, secondo Fabris, è dello «scempio edilizio attuato per anni, che ha creato queste città-dormitorio, giungle urbane dove trovano terreno fertile i comportamenti devianti, la violenza, la droga, dove non ci sono luoghi di ricreazione e socialità». «Prenda proprio il caso di Roma - aggiunge -. Nelle borgate ci sono due negozi, un supermercato, ma mancano ad esempio gli asili. E quando poi, magari per frequentare un liceo, bisogna fare tragitti lunghissimi, si ha la dimostrazione che la marginalità geografica produce discriminazione sociale. E al Sud, poi, si arriva a realtà da Terzo Mondo». Sono questi i motivi per cui, a giudizio di Fabris, chi vive in pe¬ riferia deve superare maggiori ostacoli per emergere, deve spesso dimostrare più forza, più volontà. Ma nell'ambito di un'analisi così cupa, il sociologo lascia aperto uno spiraglio: «La soluzione è avviare una pianificazione urbana, ridisegnare totalmente queste aree». Ma gli esempi di chi ce l'ha fatta a superare queste «barriere» e a sfondare non mancano. Magari sfruttando il fatto di arrivare dalle borgate. Un nome? Eros Ramazzotti, di Cinecittà, Roma, che a Sanremo ha mosso i primi passi verso il successo cantando proprio le sue origini («Nato ai bordi di periferia, dove l'aria è popolare, è più facile sognare che guardare in faccia la realtà...»). Anche Milano offre testimonianze illustri di sogni diventati realtà. Perché non c'è soltanto Celentano. Così, Carla Fracci ricorda di essere nata in una «casa di ringhiera», molto lontano dalla Scala che - dall'età di 9 anni raggiungeva ogni giorno per coltivare la sua passione. E ammette: «Sì, è vero che esistono maggiori difficoltà per emergere, ma è altrettanto dimostrato che il mondo dello spettacolo conta tantissimi personaggi cresciuti in periferia. Perché da quei quartieri ci si segnala soltanto se si ha talento, vero talento». «Certo - continua Carla Fracci -, bisogna avere anche fortuna, sperare di incontrare persone che apprezzino le tue doti e ti aiutino, ma alla base di tutto, per chi viene dalla periferia, c'è una grande forza interiore che ti spinge ad andare avanti e a fare meglio». Come lo spettacolo, anche lo sport offre esempi di vertiginose scalate da ambienti poveri e «difficili» al successo. Uno dei più emblematici viene da Salvatore Schillaci, che col talento calcistico è riuscito a lasciare il quartiere Cep di Palermo per approdare alla ribalta di Torino, di Milano, della Nazionale. Sì, lui ce l'ha fatta. «Uno su mille ce la fa, ma com'è dura la salita». Parola di uno che di periferia se ne intende: Gianni Morandi, da Scaricalasino, frazione di Monghidoro, Bologna. Luca Ubaldeschi Ma Celentano, Carla Fracci e Schillaci ce l'hanno fatta tò Schac Carla Frecci è nata in un quartiere alla periferia di Milano A destra il «ragazzo della via Gluck» Adriano Celentano Il calciatore Totò Schillaci Il sociologo Fabris A destra la Cuccarmi
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