Ultimi giorni di Armaduk «ucciso» dai rimpianti di Gabriele Romagnoli

Ultimi giorni di Armaduk «ucciso» dai rimpianti La sua compagna nell'allevamento pavese era morta una settimana fa, Fogar soffre in Svizzera Ultimi giorni di Armaduk «ucciso» dai rimpianti CHISSÀ' se è vero che il filo del destino, qualche volta, va a impigliarsi nelle carte dei tarocchi. Patrizia Brivio è convinta che sia così e vorrebbe non averlo mai scoperto. Perché quando ti viene addosso il futuro può farti male. A lei è capitato due mesi fa. Ha disposto le carte sul tavolo e ci ha letto un annuncio di morte, morte per qualcuno molto vicino, molto caro. Armaduk, ha pensato con un brivido. Ha guardato fuori, nello spiazzo dell'allevamento «Grandi Laghi», affondato nella risaie della Lomellina. Lo ha visto correre, il cane più famoso d'Italia, il cane che ha raggiunto il Polo Nord con Ambrogio Fogar e girato gli spot pubblicitari di scatolette alimentari, per il quale si sono aperti dibattiti («E' giusto fare di un animale una star?») e mossi torpedoni di comitive scolastiche. Lo ha visto correre incontro a un presagio. E' finita due giorni fa la corsa di Armaduk, morto di vecchiaia a diciassette anni, hanno scritto le agenzie di stampa. Ucciso, sostiene la sua ultima padrona, non soltanto dal tempo, ma anche dalle ferite della nostalgia. Aveva avuto molto dalla vita, e molto aveva perduto. Prima i grandi spazi del Nord America da cui proveniva, poi l'avventura, infine due grandi affetti: quello di Ambrogio Fogar, prigioniero in Svizzera del destino che gli sta spegnendo la vita, poi Yo-Yo, la cagnetta husky che aveva scelto per compagna nell'allevamento pavese e che era morta una settimana fa. Storia di sfide, amicizie, amori, molto più della storia di un cane dal muso buffo. Comincia diciassette anni fa, quando il cucciolo nasce in un luogo ai confini del Canada e dell'immaginario: Resolute Bay, a un centinaio di chilometri dal Polo Nord. Renderà famosa una razza, quella degli husky, che diventeranno una moda da portare al guinzaglio. Eppure lui non lo era. «Armaduk era un bastardino - dice Patrizia Brivio -. Un meraviglioso incrocio. E come tutti i bastardi si faceva amare più degli altri cani. Nel mio allevamento ho tutti esemplari purissimi, lui era l'unica eccezione, e il preferito». Era il suo destino, quello di essere prescelto. Capitò anche con Fogar, alla partenza da Resolute Bay per il Polo Nord, nel marzo del 1983. C'era una lunga catena che legava tre cani fratelli. Fogar ne doveva scegliere uno da condurre con sé nella spedizione. Lo sedusse il muso di Armaduk. Gli altri due morirono nel giro di un anno. Armaduk divenne famoso e coc¬ colato. Di tutte le notizie che arrivarono da quella discussa missione piena di misteri buffi e di sponsor invadenti le più diffuse erano quelle riguardanti il cane. Divenne, o fu fatto abilmente divenire, il vero protagonista. A rileggere i titoli a piena pagina di allora vien da sorridere. Come Ridolini: «Il cane Armaduk stava per compromettere l'impresa, saccheggiando i viveri dopo aver rovesciato la slitta». Incorreggibile: «Il cane Armaduk, ormai guarito, talvolta fa le bizze». Impavido: «Fogar, rimasto solo con il cane Armaduk, ha annunciato di aver trovato la banchisa irta di ostacoli». Nell'occhio del ciclone: «Più che lo sport potè lo sponsor. Prendete un eroe discusso, aggiungete un cane, investiteci un mucchio di milioni. Se si ferma è peduto». E al ritorno, oggetto del dibattito: «L'eroe del Polo in un pensionato, è giusto?». «Macché pensionato - protesta Patrizia Brivio - qui era a casa sua. Lo consideravo il mio cane, era felice, andava dove voleva, ma gli piaceva dormire sul mio letto, era molto affettuoso». Ne aveva molti, di padroni, e forse nessuno. Lo considerava «suo» anche Fogar, che di lui diceva: «Non potrò mai dimenticarlo, ma neppure averlo al mio fianco. Quando mi vede si appoggia alla mia gamba e preme con intensità, come per dire "ciao vecchio mio, ti ricordi?"». E ancora, profeticamente: «Non è un cane normale, non potrà mai morire sotto un camion o finire al guinzaglio di un industriale della Brianza». Un'industria, invece, era il suo vero proprietario. Era della Quaker, azienda produttrice degli alimenti «Fido cane» di cui Armaduk è stato testimonial e promoter. Apparve negli spot tv e in un tour di propaganda nei supermercati, primo cane al guinzaglio della pubblicità. Poi la sua popolarità declinò assieme a quella di Fogar. Fu mandato in Lomellina. Ci sono foto che lo ritraggono davanti a file di gabbie, in cortili dove la nebbia ottunde lo spirito d'avventura. Star sul viale del tramonto, capace di suscitare nuovi affetti, come quello di Patrizia, che solo a nominarlo non trattiene le lacrime. Poi c'era Fogar, che veniva ogni mese a trovarlo, bambini in gita domenica¬ le, gente che telefonava chiedendo di lui o gli mandava biglietti d'auguri a Pasqua e Natale. E YoYo, amore autunnale consumato da un presagio. Non hanno mai fatto cuccioli. Patrizia non voleva: «Perché non ci fosse la corsa ad accapparrarseli perché figli di Armaduk e poi finissero abbandonati». Il mondo nuovo gli bastava, eccome, per vivere febee anche lontano dai ghiacci e dai riflettori. Poi Fogar si è schiantato su quella strada di un rally maledetto; poi Yo-Yo se n'è andata in un mattino brinato. Senza figli, senza il suo più grande amore e il suo migliore amico anche Armaduk si è arreso. No, non è una storia da cani. Gabriele Romagnoli La padrona racconta «Da due mesi i tarocchi mi avevano predetto la fine del cane» A fianco Armaduk e Fogar (nella foto al centro) durante la spedizione polare. A destra il cane con l'ultima «padrona», Patrizia Brivio

Luoghi citati: Canada, Italia, Nord America, Svizzera