Il medico delle mele

Il medico delle mele LA STORIA Il medico delle mele IMOGADISCIO ferri del mestiere luccicano sul tavolino ricoperto dal foglio sdrucito di plastica verde. Disinfettati a dovere come insegnano i primi rudimenti di medicina, ma gettati lì alla rinfusa in un'ammucchiata che farebbe impazzire qualsiasi chirurgo. Bisturi, forcipe, pinza stringivene, seghetta tagliaossa l'uno sopra l'altro mentre dovrebbero essere allineati secondo la progressione codificata dai manuali. Eppure è già miracoloso che siano a portata di mano all'ospedale Benaadir di Mogadiscio costruito dai cinesi all'epoca del flirt con Siad Barre. Yussuf, l'infermiere somalo più anziano, li aveva salvati dalla razzia subito dopo lo scoppio della guerra civile, oltre due anni fa, quando una folla di scalmanati era penetrata nel nosocomio portandosi via tutto. Dai letti nelle corsie agli infissi delle finestre, un bel lavoretto da lanzichenecchi. Ma Yussuf era stato previdente, aveva capito che quegli strumenti erano più preziosi dell'autoclave finita chissà dove, della pompa anestetica sparita nel nulla. Li aveva nascosti vicino a casa, in una buca scavata nell'orto e passata la buriana si era presentato al cancello con il tesoro sotto braccio, proprio lui che si lagnava per lo stipendio non percepito da tempo immemorabile, lui Yussuf lo scansafatiche che veniva un giorno sì e uno no a far finta di lavorare. Però ancora adesso Yussuf sta attento: ad operazione finita li pulisce e li chiude sotto chiave. Non si sa mai, guai a lasciarli in giro, il furto qui è di casa, ti volti e sei fregato. Fausto Mariani, medico italiano, si china sul tavolo operatorio mentre un assistente egiziano lo aiuta a indossare il camice. Bisogna intervenire in fretta, meno di mezz'ora fa lo avevano chiamato per radio alla sede della Cooperazione: c'è un caso urgente, un bambino di 4 mesi trapassato da una pallottola di Kalashnikov. Giusto il tempo per convocare la scorta e attraversare con il cuore in gola il buio della capitale, sperando che i cecchini appostati tra le rovine si siano concessi un attimo di riposo. Il bambino se la caverà, è stato fortunato. Il colpo non ha leso organi vitali, basta scavare un po' nella spalla e il proiettile viene deposto nella bacinella. Mariani lo guarda soddisfatto, se 10 rigira e lo infila nel taschino della camicia. Sarà un altro ricordo da aggiungere ai mille collezionati in giro per il mondo da questo straordinario chirurgo della guerra. Perché Mariani non è un barone del ramo, non ha vinto concorsi o cattedre a suon di spintarelle, non vanta amicizie influenti, il suo curriculum ha seguito il percorso tipico del medico di provincia, tanta fatica e pochi soldi. Romano de Roma, fresco di laurea all'Università della Sapienza aveva abboccato alla prima offerta: il volontario al centro studi di malattie epatiche presso l'ospedale San Giacomo. Un posto-bidone durato sette anni. «Facevo il venticinquista, giù a sgobbare con la certezza di essere licenziato il 26° giorno in modo da non poter rivendicare la continuità del servizio». Dalla capitale era poi finito a Piove di Sacco, in provincia di Padova, quindi in Val Sugana, vicino a Trento, infine nel 1978 11 giro di boa con l'approdo alla Piero de Garza rolli CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA

Persone citate: Mariani, Siad Barre, Yussuf

Luoghi citati: Mogadiscio, Padova, Piove Di Sacco, Roma, Trento