Le mogli idillio e tragedia

L'incontro decisivo alla vigilia dell'Ottobre Un matrimonio nel 1905, vedovo tre anni dopo L'incontro decisivo alla vigilia dell'Ottobre Le mogli, idillio e tragedia Dalla docile Ekaterina alla bellicosa Alliliteva s MOSCA TALIN si sposò due volte. La prima moglie si chiamava Ekaterina Svanidze. La conobbe attraver¬ so il fratello Aleksandr, suo compagno di studi nel seminario di Tiflis. Era l'inizio del secolo, Ekaterina aveva compiuto 16 anni. Si sposarono nel 1905, nella chiesa di S. Davide. Nei primi mesi gli sposi vissero nel villaggio Didi-Lilo dove era nato anche il padre del futuro dittatore. Dhugashvili-«Koba»-Stalin conduceva vita da rivoluzionario, si spostava clandestinamente a Batumi e Baku. Ekaterina Svanidze, come la madre di Stalin, era molto religiosa, la politica le era estranea e incomprensibile. Non faceva mai domande e si limitava a pregare per il marito. Il primo figlio, Jakov, nacque nella primavera del 1907 (la data esatta è incerta). Stalin lavorava a Baku e, nonostante le proteste dei parenti, la moglie lo raggiunse. Lo scrittore Aleksandr Bek così descrìve la famiglia: «Stalin viveva in un villaggio operaio sotto il nome di Nizheradze, in un'angusta casetta di terra battuta. Un ospite ha raccontato di essere stato accolto da una piccola e giovane donna dall'aspetto georgiano. Il suo inchino era stato profondo, all'orientale. I rìccioli dei folti capelli neri scintillarono. Roba mangiava, seduto al tavolo di cucina. L'ospite fu colpito dal contrasto tra l'aspetto esterno della casetta e la pulizia e l'ordine all'interno: le tendine alle finestre erano d'un bianco abbagliante, sul letto di legno era stata stesa una coperta di pizzo, il pavimento, senza un granello di polvere, era coperto da un tappeto. Nell'angolo una culla, dove un neonato dormiva sotto una trapunta rosa. "Kato disse Stalin alla moglie -, servi il pranzo". Koba non ritenne necessario presentare all'ospite la moglie. Nonostante il suo comportamento rozzo, lei si precipitò al forno guardando il marito con dedizione». Stalin fu arrestato poco dopo, la moglie gli portava il cibo in carcere. Jakov non aveva ancora un anno quando Ekaterina si ammalò e morì. Secondo alcuni di polmonite, secondo altri di tifo. Al detenuto Josif fu concesso di assistere ai funerali. Stalin si unì alla seconda moglie, Nadezhda (Nadia) Allilue va, tra l'aprile e il maggio 1918. Aveva conosciuto suo padre, il rivoluzionario Serghei Jakovlevic Alliluev, nel 1903, quando questi aveva 37 anni e il ventiquattrenne Stalin lo considerava come un compagno anziano. Si videro di nuovo nel 1907 a Baku, dove Stalin conobbe anche la futura moglie, che aveva allora 6 anni. La leggenda dice che un giorno, passeggiando sul lungomare di Baku con la famiglia Alliluev, Stalin salvò la piccola Nadia caduta in acqua. Dopo la rivoluzione di febbraio Stalin fu di nuovo ospite degli Alliluev a Pietrogra- do per intere settimane. Cominciarono allora le sue attenzioni per la sedicenne Nadezhda, che subito le accettò. Era cresciuta nella famiglia di un rivoluzionario, ne condivideva le idee, era attratta dall'uomo che, quando era con lei, non si mostrava né cupo, né taciturno. Stalin sapeva mitigare la sua brutalità e mostrare affetto verso le persone di cui aveva bisogno. In particolare le donne. La frequentazione con la famiglia Alliluev si diradò alla fine del 1917, quando Stalin entrò nel primo governo sovietico. All'inizio del 1918 il governo sovietico fu costretto a trasferirsi a Mosca da Pietrogrado, troppo vicina al fronte. Anche gli Alliluev si trasferirono. Stalin stava costruendo un piccolo apparato per il Commissariato del Popolo per le nazionalità e propose a' Nadezhda un posto da segretaria. Fu così che, tra aprile e maggio del 1918 Nadezhda legò il suo destino a quello di Stalin e andò a vivere con lui. Poco dopo entrò nel partito e cominciò a lavorare nella segreteria di Lenin. Fino al 1920 Stalin passò molto poco tempo a Mosca e quasi nessuno faceva caso alla giovane e timida segretaria dell'apparato del Consiglio dei Commissari del popolo. In una delle «purghe», nel 1921, Nadezhda fu persino espulsa dal partito per «insufficiente attività sociale». Lenin stesso intervenne per scagionarla spiegando che proprio in quel periodo Nadezhda aveva avuto un figlio, Vassilij. Cinque anni dopo nacque Svetlana. Nadezhda restò nella segreteria di Lenin fin quasi alla fine, quando era già un malato inguaribile. Egli continuò a scrivere saggi e lettere, alcuni dei quali erano tenuti segreti perfino ai membri del Politbjuro. Ma Stalin - che controllava tutte le infoTriazioni destinate a Lenin - veniva a sapere tutto. Si è pensato che fosse Nadia a riferire, ma si è poi saputo che l'informatrice di Stalin fu la segreta¬ ria personale di Lenin, Fotieva. Nadezhda lavorò quindi per alcuni anni nella rivista Rivoluzione e Cultura. Manteneva buoni rapporti con le famiglie di Enukidze, Molotov, Orzhonikidze e con Bukharin, anche quando questi aveva già rotto con Stalin. E' la prova che Nadezhda conservò sempre una notevole autonomia, anche a dispetto del marito. Ad esempio partecipò ai funerali del diplomatico A. Joffe, uccisosi nel periodo della lotta nel partito, nel 1927. Joffe era un trockista e alle esequie presero parte Trockij, Kamenev e Zinoviev. Questo non significa che Nadezhda stesse con l'opposizione. Ma non approvava l'estrema durezza di Stalin, che considerava nemico personale chiunque non lo appoggiasse in modo totale. L'industrializzazione accelerata appassionava quasi tutti i bolscevichi e piacque anche a Nadezhda, che si iscrisse alla nuova Accademia Industriale per apprendere le tecnologie dei tessuti sintetici. Si recava al lavoro e all'istituto senza scorta, prendeva il tram. Molti dei suoi colleghi neppure sospettavano che fosse la moglie di Stalin. Solo a partire dal 1930, quando i «capi» rafforzarono le difese, le furono assegnate una guardia del corpo e un'auto. Ma Nadezhda faceva fermare la macchina a qualche isolato di distanza e raggiungeva a piedi l'Accademia. Qui conobbe e fece amicizia con un giovane funzionario di partito dell'Ucraina, Nitrita Krusciov, poi dirigente della 1 cellula dell'Accademia. E quando Krusciov si trasferì a Mosca, per diventare capo di uno dei comitati di quartiere, Nadezhda andò a lavorare nell'apparato del comitato cittadino. Ma già dal 1927 Stalin non era più il Koba premuroso di un tempo. Tornava a casa a notte tarda, spesso con alleati politici con cui faceva baldoria, beveva e cantava canzoni volgari. Nadezhda non partecipava. Anche lei non era più la fanciulla romantica e esaltata di dieci anni prima. Aveva ormai visto troppe cose e cambiato opinioni su molti punti. Non aveva alcun timore reverenziale verso il marito: non sopportava che la trascurasse, né i suoi scoppi d'ira. Il primo conflitto tra i due era già esploso nel 1926, quando Nadezhda se ne andò a Leningrado con i figli. Ma la pressione congiunta dei parenti e di Stalin la costrinse a tornare a Mosca. Dopo il 1928, però, la tensione tra i due si colorò anche di tinte politiche perché Nadezhda frequentava giovani funzionari che vennero accusati di «deviazioni di destra» e infine cacciati dal partito. Inoltre la vita dei «capi», le loro dacie, il lusso, il disprezzo del popolo che mostravano, erano estranei a Nadezhda. Anche il nuovo tentativo di «fuga» di Nadezhda - questa volta a Kharkov, nel 1931, per raggiungere la sorella Anna - venne frustrato dai familiari, che prendevano sempre la parte di Stalin, anche perché il loro benessere dipendeva dalla sua benevolenza. Si può supporre che proprio allora Nadezhda cominciò a pensare al suicidio. Quando il fratello Pavel andò all'estero per affari governativi, gli chiese di portarle una piccola rivoltella. Pavel tornò con una Browning per signora, con relative munizioni. La richiesta non poteva meravigliarlo: per le bolsceviche avere una pistola era normale. Eppure restava tra loro ancora un rapporto d'affetto. Nikita Krusciov raccontava a suo genero Adzhubei che il 7 novembre 1932 si trovò accanto a Nadezhda nella tribuna del Mausoleo. Pioveva e tirava un vento freddo e forte. La Allilueva continuava a guardare verso la tribuna del Mausoleo e appariva preoccupata: «Avrà freddo! Gli ho detto di mettersi qualcosa di caldo ma lui, come al solito, ha borbottato qualcosa di scortese e se n'è andato». Dopo sole 40 ore, la notte dell'8 novembre, Nadezhda si sparò un colpo di pistola. Ci sono diverse versioni sull'episodio. Svetlana Allilueva, la figlia, riferisce il racconto della sua balia e di Polina Zhemciuzhina, moglie di Molotov, che le rivelarono la verità nel 1955, quando non dovevano più temere Stalin. La prima a scoprire il cadavere fu la governante K. Til, che ogni mattina svegliava Nadezhda: giaceva in una pozza di sangue, in mano ancora la pistola. Terrorizzata chiamò la balia e, insieme, misero il corpo sul letto. Poi chiamarono Avel Enukidze, che abitava vicino, il comandante del Cremlino, Pauker, e Polina. Pochi minuti dopo arrivarono Voroshilov e Molotov. Stalin fu svegliato in seguito. Stava dormendo su un divano nel suo studio. Secondo i racconti appariva sconvolto. Sul tavolo c'era una lettera di Nadezhda. Egli la prese e la mise in tasca senza leggerla. Nei giorni che seguirono Stalin era così abbattuto che si temette di lasciarlo solo. Disperazione e dolore si alternavano a esplosioni di furia, forse dovute al contenuto della lettera, che Stalin non raccontò mai a nessuno. C'era stata una lite tra loro alcuni giorni prima. Un amico di Enukidze mi raccontò molto tempo dopo che Stalin era arrivato in ritardo a una festa per l'anniversario della Rivoluzione, e al suo apparire Nadezhda aveva fatto un'osservazione ironica. Stalin le rispose con villania e le gettò addosso una sigaretta accesa, che finì nella scollatura dell'abito di lei. Nadezhda balzò in piedi e lasciò la sala. Polina Zhemciuzhina racconta che l'accompagnò fuori dal palazzo del Cremlino e restò, a chiacchierare con lei finché non si fu calmata. Ma ci sono le prove che Nadezhda aveva scritto la sua lettera a Stalin alcuni giorni prima. Esiste la leggenda che sia stato Stalin a uccidere Nadezhda. Ma non ha riscontri seri. Sappiamo che sui medici che esaminarono il cadavere (Carnei, Levin e.Pletniov) furono fatte pressioni perché registrassero una peritonite, e che rifiutarono. Il resto viene da una testimonianza di Lidia Shatunovskaja che riferiva di una confidenza della moglie di Orzhonikidze secondo cui Nadezhda aveva una ferita alla nuca. Ma non basta per concludere che fu omicidio. Certo il suicidio poteva essere nascosto al pubblico, non alle famiglie che abitavano al Cremlino. La famiglia Alliluev non rimproverò mai a Stalin la morte di Nadezhda. Pavel Alliluev visse per alcuni anni nella dacia di Stalin e riferì poi che il dittatore cercava di giustificarsi con lui. Stalin aveva un senso di colpa, ma d'altro genere: «Facevo tutto quello che voleva - disse una volta - poteva andare dove voleva, comprare tutto ciò che le piaceva. Cosa le mancava? Guarda!». E aprì un cassetto pieno di banconote. Il comunicato ufficiale della morte venne pubblicato su tutti i giornali. Ma non menzionava le cause della morte e parlava solo di «fine improvvisa». La salma fu esposta nel palazzo che oggi ospita i magazzini «Gum». Stalin si avvicinò alla bara e baciò la morta sulla fronte. Poi fece un gesto, come a volerla allontanare da sé e disse: «Se n'è andata come un nemico». Poi si allontanò e non assistette alla tumulazione, nel cimitero di Novodevicij. Non andò mai a visitare la tomba. Il bellissimo monumento funebre venne commissionato dalla famiglia di Nadezhda. Poco dopo Stalin scambiò il suo appartamento con quello di Bukharin: non riusciva a abitare in quello dove aveva vissuto con Nadezhda. Dal Cremlino vennero allontanati alcuni servitori che conoscevano bene la famiglia. Tra il 1937 e il 1938 quasi tutti i parenti della prima e della seconda moglie vennero arrestati e molti di loro morirono. Stalin vedeva sempre più raramente i suoi figli. Alcuni dei nipoti non li incontrò mai. Ci furono brevi relazioni con diverse donne, ma nessuna ebbe influenza sulla sua vita. Di Nadezhda non parlava mai. Dopo la guerra ordinò d'ingrandire due fotografìe di lei e le appese una nell'ufficio al Cremlino, l'altra nella camera da letto della dacia di Kuntsevo. Lasciò in libertà il padre di Nadezhda, ma non volle mai più incontrarlo. Passava intere settimane nella più completa solitudine. Roy Medvedev La prima sposa pregava e taceva Lui la ignorava, era rozzo e dispotico Nadia, la seconda, era senza timori, non sopportava le sue abitudini e i suoi scoppi d'ira L'ennesimo litigio: lui le gettò addosso una sigaretta accesa. E lei si sparò I 1 Qui sotto Ekaterina Svanidze. In alto a sinistra Stalin con la figlia Svetlana, avuta dalla Allilueva; a destra con Kamenev e Voroshilov