I signori della fame e della collera di Lloyd George

STALIN-hitler. Un patto fra grandi Semplificatori STALIN-hitler. Un patto fra grandi Semplificatori I signori della fame e della collera il possibile che una Russia " affamata sia armata da una Germania in preda alla collera». Così disse il premier inglese Lloyd George dopo la Prima Guerra, e vide giusto. Già la collera tedesca stava crescendo - contro le umiliazioni del trattato di Versailles -, già l'Urss aveva conosciuto la carestia in Ucraina, nel '20-'22, e per ambedue il male era l'Occidente borghese. La seconda carestia, nel '33, coincide con l'avvento di Hitler e sarà interamente organizzata da Stalin: il grano non manca, ma il partito lo smercia all'estero, e rifiuta gli aiuti occidentali. La carestia in Ucraina è un genocidio: 6 milioni di morti. Quando l'arcivescovo di Vienna cardinale Innitzer accennerà all'antropofagia nell'Ucraina affamata, Mosca replicherà secca, sfacciata: «Niente cannibali né cardinali, in Russia» (New York Times, 20 agosto 1933). Se Stalin ha saputo organizzare la fame, Hitler ha saputo organizzare le collere tedesche. Ha ancora senso credere nella morale e nella democrazia - si chiedono milioni di elettori - quando si è trattati comunque come vinti? Inutilmente, Thomas Mann lancia appelli, ai francesi soprattutto, perché tengano conto dell'«urlo espressionista, autodistruttivo, dell'anima tedesca». Troppo tardi, perché Hitler ha già promesso la «rottura rivoluzionaria» con l'Occidente e le «leggi borghesi». La «rottura rivoluzionaria» spiega l'attrazione che sentirà per Stalin, e viceversa. La storia non è più complicata, e le vite neppure. Basta affidarle ai Grandi Semplificatori: a chi sa organizzare l'urlo di fame, di collera. Joseph Goebbels, il propagandista di Hitler, è convinto già nel '24 che l'alleato sarà il bolscevismo: «Sarà la Russia a indicarci la strada del socialismo - scrive nel giornale "Lettere nazionalsocialiste" -, sarà lei la naturale alleata contro le diaboliche seduzioni e la corruzione dell'Occi¬ dente. Siamo molto più vicini al bolscevismo orientale che al capitalismo occidentale». Ma anche il Cremlino s.commette sul nazionalismo tedesco. Nel 1919 aiuta militarmente la Germania, aggirando il trattato di Versailles. E dal ' 17 Lenin ammira il libro del generale Ludendorff, venerato dai nazisti, sulla «Guerra totale»: guerra psicologica permanente, che diventa ragion d'essere stessa della politica. «Prima o poi il popolo germanico doveva spezzare le catene di Versailles», dirà Stalin a Eden, nel '35, «i Germani sono un popolo grande e coraggioso: non dimentichiamolo mai». Stalin parla di Germani, non di Tedeschi: in omaggio al vocabolario tribale, e pagano, di Hitler. Il patto del '39 suggellerà una lunga storia di ostilità dichiarate, e di sotterranee complicità. I due Semplificatori non sono identici, ma volutamente si utilizzano l'un l'altro, dicono di avere in comune qualcosa: il disprezzo nei confronti della «morale borghese», la convinzione nichilista che «tutto è permesso in rivoluzione». E hanno in comune: una certa concezione del tempo, illimitato (ambedue non ragionano in termini di legislature, ma di millenni) e una visione dello spazio, illimitato (Cari Schmitt parla nel '23 dell'attrazione russa e tedesca per le «vastità informi»}. Spazi da spartirsi oppure disputarsi, come gangster. «Ha notato che i tedeschi lungamente vissuti in Russia non possono mai ridivenire tedeschi? Lo spazio colossale li ha ammaliati». Così Hitler a Rauschning, il capo nazista di Danzica che nel '38 fuggirà in Occidente. «Ho imparato molto dai comunisti», ripeteva il Fùhrer. «Ho imparato soprattutto i metodi: le società operaie di ginnastica, le cellule d'impresa, gli enormi cortei, la propaganda che eccita le masse. Tutti questi nuovi mezzi di lotta politica sono stati inventati quasi interamente dai marxisti» (Hermann Rau¬ schning, «Conversazioni con Hitler»). Anche gli slogan sulla morte della borghesia, della storia, della «felicità individuale», saranno dichiaratamente imprestati dai bolscevichi. L'«uomo semplice», che il nazismo ha promesso di riscattare, sarà rigenerato in «animale-massa», come dirà Hitler: «Voglio l'estasi delle masse e non la loro apatia, che è sempre un'autodifesa». Goebbels non cambierà idea neppure nel'43: «Stalin è riuscito a liquidare le opposizioni nell'esercito, nella società, e nella Chiesa che resta per noi un rompicapo», scrive l'8 maggio nel diario, con invidia. E quasi dimentica le proprie «riuscite»: la decisione di uccidere uno per imo sei milioni di uomini per il solo fatto che erano ebrei, la volontà - specificamente hitleriana - di spezzare ogni legame tra cristianesimo e ebraismo. Naturalmente Hitler è stato persecutore, non solo imitatore del comunismo. Ma di certo ha ammirato, in esso, «l'armoniosa alleanza tra spirito e forza brutale». «Non è affare mio riformare l'umanità», dice Hitler a Rauschning e in questo non somiglia ai comunisti. «Io mi contento di sfruttare le sue debolezze», precisa, e in questo le due rivoluzioni s'assomigliano: nella scelta di puntare non sulla forza dell'uomo, ma sulla sua debolezza, sulle sue viltà, sulle sue paure. Barbara Spinelli Odio e stima per il nemico Verità e menzogne sul predecessore Stalin-Lenin. Il figlio spurio e il Fondatore Insieme sugli altari insieme nella polvere 7n]INO al XX Congresso del L ' partito comunista delm l'Unione Sovietica Lel j nin e Stalin formarono hsZ. I insieme una specie di ideogramma rivoluzionario: due nomi uniti da un trattino, due profili costantemente sovrapposti nella iconografia del regime. Non esistevano Lenin e Stalin come personaggi storici distinti: esisteva Lenin-Stalin come doppio cognome della grande patria sovietica. I quattro evangelisti della fede bolscevica erano in realtà due: Marx-Engels e Lenin-Stalin. Poi il trattino scomparve, la mummia di Stalin venne rimossa di notte dal mausoleo della Piazza Rossa e frettolosamente nascosta dietro le mura del Cremlino, l'Istituto del marxismo-leninismo-stalinismo perdette il suo terzo cognome, i ritratti scomparvero dagli uffici della nomenklatura, le statue e i busti vennero depositati nei magazzini. Occorreva separare il destino del padre da quello del figlio, dimostrare che il vecchio seminarista georgiano non era il legittimo discendente di Lenin, ma il bastardo della rivoluzione, il mostro concepito dal bolscevismo in un momento di follia. Per evitare che l'immagine del Grande Fondatore venisse scalfita dalle malefatte del suo successore la storia venne interamente ritoccata e in gran parte riscritta. Scomparve ad esempio il giudizio che Lenin aveva dato di Stalin prima della rivoluzione («abbiamo qui con noi un meraviglioso georgiano») e acquistò grande importanza una «lettera al Congresso» che egli dettò nel dicembre del 1922, dopo il grave ictus che lo aveva colpito nei giorni precedenti. «Stalin - disse in quella occasione - è troppo rozzo, e questo difetto, più che tollerabile al nostro interno e nei rapporti tra noi comunisti, è però incompatibile con i compiti di un segretario generale. Per questo io propongo ai compagni di cercare il modo di allontanare Stalin da quella carica (...)». Cominciò così la più grande menzogna della storia sovietica. I cittadini dell'Urss furono esortati a credere che il loro Paese fosse opera di Lenin e che a Stalin dovessero attribuirsi soltanto le scorie che lo Stato aveva accumulato col passare degli anni. Era falso. Il padre dell'Unione Sovietica è Stalin, non Lenin. E' lui che ha collettivizzato la terra, lanciato il primo piano quinquennale, promosso la creazione dell'industria pesante, costruito il grande canale dal Baltico al Mar Bianco, mobilitato le risorse umane e materiali del Paese per la «grande guerra patriottica». E' Stalin, non Lenin, che ha affrontato il «problema nazionale» con la creazione di uno Stato pseudofederale in cui tutti avevano diritto a sventolare, accanto alla bandiera rossa, la bandierina del; proprio folklore. Tutto ciò che è sovietico è staliniano e non leninista. Quando Krusciov e Gorbaciov giustificarono il loro riformismo esaltando lo Stato socialista creato da Lenin e gettandone i difetti sulle spalle di Stalin, falsificarono la storia. La macchina politico-amministrativa, il sistema economico, l'apparato poliziesco e tutto ciò con cui lavoravano dal mattino alla sera, erano stati creati dal «meraviglioso georgiano». Il «ritorno a Lenin», che fu negli anni della perestrojka il tema ricorrente della politica gorbacioviana, era impossibile perché il quinquennio leninista fu soltanto una serie di esperimenti dettati dalle circostanze e dagli imperativi della guerra civile. Quale sarebbe stata la storia dell'Urss se Lenin non fosse morto il 21 gennaio del 1924 o i suoi compagni avessero dato retta al consiglio della «lettera al Congresso?» Sarebbero state risparmiate alla Russia le stragi, le purghe, i campi di concentramento? Gli storici non possono dire che cosa'sarebbe successo se l'Urss fosse stata governata per trent'anni da lenin Trockij o Bucharin. Ma dispongono oggi di nuovi documenti e sanno che il bolscevismo fu un ordine religioso di monaci rivoluzionari, tutti egualmente implacabili con coloro - clero, contadini, borghesi - che osarono ostacolare il loro grande sogno rivoluzionario. Fu Lenin, non Stalin, che creò il grande Lager delle isole Solovki e ordinò o condonò la strage della famiglia imperiale a Ekaterinburg. Oggi in Russia il problema se Stalin sia peggio di Lenin, se l'Urss sia opera del primo o del secondo - è del tutto irrilevante. Dopo aver fatto di Lenin e Stalin una nuova aquila bicefala della loro storia e dopo averli separati per meglio salvaguardare la reputazione del primo, i russi hanno ormai ripristinato il vecchio trattino che univa i due nomi e hanno ripudiato entrambi. Ma questo rigetto è il risultato di una particolare situazione politica, non certo di una riflessione storiografica. Prima o dopo, quando avranno nuovamente la parola, gli storici daranno a Stalin quello che è di Stalin e a Lenin quello che è di Lenin. E Stalin emergerà dal confronto, nel bene e nel male, più grande del suo predecessore. Sergio Romano ^Jpr Hitler come il dittatore sovietico disprezzava l'Occidente borghese Intorno ai rapporti politici un'altaléna di falsità fra Lenin e il suo successore Insieme nella foto in alto