Poesia dell'orrore in edizione «doc»

Visto a Berlino il «Nosferatu» di Murnau Visto a Berlino il «Nosferatu» di Murnau Poesia dell'orrore in edizione «doc» BERLINO. A concludere l'ultima non bella edizione del Film-Fest non poteva mancare Nosferatu, come ad aprirla non era mancato King Kong. Due mostri cinematografici, due leggende e due miti dello schermo che sottolineano la presenza del mistero, dell'abnorme nel cinema di ieri e di oggi. Se oggi Coppola ci ripropone Dracula, risalendo al romanzo di Brani Stoker ma non trascurando le inquietudini contemporanee, ieri un altro grande regista, Friedrich Wilhelm Murnau, affrontava per la prima volta il medesimo testo con un occhio rivolto al passato e un altro al futuro, che di lì a poco sarebbe apparso nelle vesti demoniache e distruttrici di Hitler. Era il 1922, il 4 marzo, quando a Berlino, nella Marmorsaal dello Zoologische Garten, si svolse la «Festa di Nosferatu», un programma di cinema, teatro, danza e folklore. E fu allora che il film di Murnau, «Nosferatu. Eine Symphonie des Grauens» (Nosferatu. Una sinfonia dell'orrore), fu presentato con la musica originale di Hans Erdmann, diretta dall'autore. Un grande evento, che solo di recente è stato possibile ripetere, quando nel 1984 Enno Patalas, direttore del Filmmuseum di Monaco, e il musicista Bemdt Heller riuscirono a ricostruire l'edizione originale «sonora» di questo capolavoro del «muto». A settant'anni di distanza, questa volta a Postdam, lo stesso Heller ha diretto la Brandenburgische Philarmonie in uno spettacolo di grande fascino, in cui il film «Nosferatu» riacquistava tutta la sua forza evocativa ed emanava, dalle immagini colorate e dai suoni agghiaccianti, quel misto di attrazione e spavento che ancor oggi ci paiono attuali. Perché Nosferatu, il principe delle tenebre che deve nutrirsi di sangue umano per sopravvivere. Max Schreck-N sferatu si manifesta nel film di Murnau non soltanto nel suo aspetto spaventoso, nel volto cadaverico e nel corpo filiforme, ma anche nella bellissima sequenza finale in una dimensione umanamente tragica che lo trasforma in un grande eroe perdente. Lo scacco mortale che chiude il film, la doppia morte di Nosferatu e della giovane sposa innamorata costituiscono la meta finale di un percorso nell'inconscio dell'uomo, nelle sue paure ancestrali e nei suoi incubi notturni. Un cammino che la cinecamera di Murnau e dell'operatore Fritz Arno Wagner percorre alternando scene in esterni di struggente poesia ed interni efficacemente tratteggiati. E' su questi sfondi che si muovono i personaggi, come ombre evanescenti ma cariche di rara tensione drammatica. Che Murnau fosse cosciente d'aver realizzato con «Nosferatu» un'opera di alta poesia visiva e di intensa commozione non v'è dubbio. La cura dell'immagine, gli scorci sapientemente scelti di Lubecca e di Rostock per rappresentare la città di Wisborg «anno Domini 1838», il montaggio alternato, gli effetti di chiaroscuro, le coloriture dei fotogrammi, le sottolineature musicali concordate con Hans Erdmann, sono tutti elementi che concorrono a quella che possiamo chiamare la rappresentazione del mistero, o meglio l'espressione dell'inesprimibile. Soprattutto in questo sta la differenza fra «Nosferatu» e il «Dracula» di Coppola, tra il cinema degli Anni Venti e quello degli Anni Novanta. Oggi ci vogliono gli effetti speciali, la grande messinscena d'una storia d'amore e di morte. Ieri bastava un'immagine in bianco e nero, uno sguardo intenso, un leggero movimento di cinecamera. Ed era grande poesia. Gianni Rondo!ino Max Schreck-Nosferatu

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