Aragozzini «Non ho nemici e a Raiuno siamo tutti dc» di Marinella Venegoni

Aragozzini: «Non ho nemici e a Raiuno siamo tutti de» Aragozzini: «Non ho nemici e a Raiuno siamo tutti de» SANREMO DAL NOSTRO INVIATO Tira un'aria strana a Sanremo, alla vigilia del Festival che si apre domani e che come sempre si rivela specchio delle cose d'Italia. Non c'è il solito entusiasmo, si tace e si sospira molto, c'è molto nervosismo. La crisi della prima Repubblica si legge sulle facce preoccupate degli uomini Rai e sulla fronte aggrottata di Pippo Bàudo. Adriano Aragozzini, il primo patron che abbia cercato di emulare le glorie del vecchio Ravera, sembra quello di sempre. Protagonista del primo processo per tangenti, è anche l'unico che si ostini a dichiararsi innocente; per settimane ogni martedì è arrivato in Riviera per le udienze, mettendo insieme le esigenze della Giustizia con quelle del business in cui è tuttora coinvolto, visto che la Rai gli ha confermato la sua fiducia: per martedì prossimo, era attesa l'apoteosi ghiotta di questo doppio ruolo - imputato e organizzatore - ma all'ultimo momento è saltata l'udienza coincidente con l'inizio del Festival: «I giudici - spiega - si sono accorti che in questi giorni non c'è posto negli alberghi di Sanremo». Nell'Italia dell'era Di Pietro, lei è stato protagonista del primo caso di corruzione scoppiato al Festival '89. «Questa è l'accusa. Nella realtà, in quel Festival non fu pagata nessuna tangente». Lei è un imprenditore privato. Si è visto che per qualsiasi cosa richiedesse l'assenso politico, gli imprenditori fino a ieri dovevano pagare. «Se un politico o un faccendiere sanremese mi avessero chiesto una sola lira, io forse li avrei denunciati subito». Lei crede di essere vittima di un complotto? «No. Un solo individuo, il marchese Antonio Gerini, voleva impedire che mi fosse assegnata l'organizzazione del Festival, che è la più grossa manifestazione politica italiana. E perciò ha coinvolto i politici che dovevano decidere sulla nomina dell'organizzatore». Lei ha detto «manifestazione politica» e forse voleva dire «musicale». In realtà, il Festival è davvero anche una manifestazione legata ai politici. Soprattutto de. «No, è che il Festival è organizzato da Raiuno. A Raiuno sono tutti de, anch'io. Lo erano Ravera e tutti gli organizzatori precedenti. Ma non è che la de dica: il Festival deve organizzarlo Aragozzini perché è de. Quando Ravera morì, non la de, non il governo, ma il direttore generale della Rai mi chiamò e mi affidò il Festival». Ci sono episodi emblematici. Per esempio l'assessore Fassola che, arrestato con 200 milioni in tasca, si difese dicendo che gli erano stati dati da suo cognato per l'acquisto di un appartamento. «Fassola mi aveva offerto a fine '88 una casa. A me non interessava ma, su sua richiesta, lo avevo allora messo in contatto con mio cognato, che aveva una società che curava questi affari: e tra loro due, prima si erano messi d'accordo ma poi avevano rotto. Fassola restituì l'anticipo che mio cognato gli aveva versato (i 200 milioni), solo che poi in aula si è saputo che ne ha restituiti soltanto 140 e che gli altri 60 se li era tenuti. Mio cognato intanto era morto, ora mia sorella ha chiesto per via legale il recupero di quei soldi. Ma dopo il Festival '89 io Fassola non l'ho più visto né sentito». Lei è ancora demitiano? «Certo, anche perché De Mita è il politico italiano più intelligente. L'intelligenza, e le tesi propositive lo fanno un uomo del futuro». In Rai pare ci sia un'atmosfera da fine del mondo. «Nel mio caso, la direzione Rai che sa la verità dei fatti - non ha mai perso serenità di giudizio. La direzione di Raiuno mi ha confermato esplicitamente la fiducia». Magnifico. E allora, chi sono i suoi nemici? «Non ho nemici. Certo, tanti vorrebbero prendere il mio posto. La Publispei, per esempio, è chiaro che vorrebbe fare da sola; questo però non vuol dire che la Publispei si sia servita di Gerini. Gerini poi, si era proposto per organizzare il Festival con Paolo Girone, che venne qui a fare un tour di approcci col sindaco e mandò anche il suo avvocato. Il progetto era: Girone organizzatore e Gerini direttore artistico». Di che si occupa Girone? «E' di area socialista. Organizza, per esempio, Umbriafiction». Il gran rimescolamento della politica finirà per ripercuo-, tersi sulla Rai e cambiare il futuro del Festival? «Per il prossimo anno, i giochi sono fatti. Già ci sono i contratti firmati, si continua come quest'anno, la Rai con la Puplispei e me come produttori esecutivi». Però i suoi interlocutori potrebbero cambiare. Magari, invece che con un de nel '94 se la vedrà con un leghista. «Se è bravo, mi sta bene. Se finisce la lottizzazione sono conten- to: pochi in Italia possono offrire 30 anni di esperienza come me». Allora torniamo alle manovre della politica? «Ma no. Torniamo a Gerini. Avevamo fatto una società a tre per ottenere l'organizzazione del Festival: io, Gerini e una persona da nominare nel caso che Gerini fosse riuscito ad ottenere la manifestazione per persona di sua fiducia. Se fossi riuscito ad ottenerla io per conto mio, il contratto era nullo. Quando io, a fine '88, ho avuto la certezza dalla Rai di avere il Festival, ho detto a Gerini: annulliamo il contratto, e permettimi di ritirare i 233 milioni che avevo messo in una cassetta a garanzia del patto. Altri 233 milioni avrebbe dovuto metterli Gerini, e 10 stesso la terza persona». Chi era, la terza persona? «Io non l'ho mai saputo. Era uno che, diceva lui, sarebbe sicuramente riuscito ad avere la manifestazione. Ma da quando ottenni 11 Festival da solo, cominciarono ricatti e minacce giornalieri e io alla fine, pur di togliermelo dalle palle, ho consegnato i 233 milioni della cassetta a un avvocato di fiducia di Gerini. Quei soldi sono spariti, ma io mi rifiuto di credere che siano finiti ai politici». Ogni anno al Festival spunta' no voci su personaggi potenti dietro le quinte. Ora si parla molto di Antonio Esposito: dicono che sia un grande amico del vicedirettore di Raiuno Vecchione, e che gra zie a lui è potuto tornare al Festival Peppino Gagliardi, in un brano modestissimo. «Esposito è un ex consigliere di amministrazione della Sacis ed è l'attuale vicesindaco socialista di Portici. E' un organizzatore che lavora molto con la Rai, fa lo show di fine d'anno e quelli con Massimo Ranieri da Napoli. E' una persona civile e corretta. Quanto a Gagliardi, è stato scelto perché aveva una canzone migliore delle escluse. Ricordo che su 24 canzoni ammesse, per 19 c'è stata l'unanimità della giuria di selezione. Bobby Solo è stato escluso perché aveva una canzone orrenda, come altri rimasti fuori». Lei non pare molto entusiasta di questo Festival. «Se avessi potuto organizzarlo io, da solo, lo avrei fatto diverso. La gara ci priva di molti nomi». E i padroni della discografia, che vi hanno negato i cantanti stranieri? «E' inaccettabile. Loro dicevano: noi abbiamo l'80% del mercato e perciò la metà delle canzoni dovete riservarla per i nostri artisti. Era un ricatto, una logica di lottizzazione ormai assurda». Tra il suo processo e i problemi politici, l'ombra di Di Pietro arriva fino al Festival. «Io sono un tifoso di Di Pietro. Ma non tutta l'erba sta in un fascio. Stiamo attenti a non condannare sul sospetto o sul pettegolezzo. Se sul mio caso l'istruttoria fosse stata più approfondita, il processo non ci sarebbe nemmeno stato». Marinella Venegoni In alto Lorella Cuccarini e Nilla Pizzi. Qui accanto Adriano Aragozzini

Luoghi citati: Italia, Napoli, Portici, Raiuno, Sanremo