Macedonia rivolta antimusulmani

Scontri tra nazionalisti e polizia: «Non vogliamo i profughi della Bosnia» Scontri tra nazionalisti e polizia: «Non vogliamo i profughi della Bosnia» Macedonio, rivolta antimusulmani Ankara chiede a Sofia un corridoio in caso di attacco serbo a Skopje ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO Una violenta esplosione di nazionalismo sta scuotendo Skopje. Da due giorni nella capitale macedone durano gli scontri tra le forze di polizia e centinaia di abitanti del quartiere popolare di Djorce Petrov a Ovest della città. I manifestanti si ribellano alla decisione del governo macedone di costruire nel loro quartiere una serie di alloggi per i profughi musulmani della Bosnia. Secondo un comunicato diramato ieri dal ministero dell'Interno di Skopje i cittadini «continuano ad essere aggressivi contro le forze dell'ordine». Tre agenti sono stati feriti e un'autoblindo della polizia è stata data alle fiamme. Non è precisato il numero dei feriti tra i manife-: stanti, ma si parla di decine di persone. La strada che collega Skopje con la città di Tetovo è tuttora bloccata. Un grande camion messo di traverso sulla carreggiata ed alcuni containers per le immondizie sbarrano il passaggio. L'incidente scoppiato a Skopje è una nuova testimonianza delle gravi tensioni etniche nell'ex Repubblica jugoslava della Macedonia che, malgrado la proclamata indipendenza, non ha ancora ottenuto il riconoscimento internazionale per via dell'opposizione greca. Ancora ieri, cinquemila greci hanno protestato lungo il confine macedone contro il riconoscimento di Skopje. L'ostilità greca, ma soprattutto gli appetiti territoriali di Belgrado, dove hanno sempre considerato questa Repubblica come la Serbia del Sud, minacciano sempre di più la precaria stabilità della Macedonia. Ecco perché l'allargamento del conflitto bosniaco a questa Repubblica potrebbe accendere la miccia di un conflitto balcanico molto più ampio. In questo quadro dev'essere valutata la visita a Skopje del presidente turco Ozal nel corso della sua tournée di sei giorni in Bulgaria, Albania, Macedonia e Croazia. E' stata una vera offensiva diplomatica in cui il presidente turco ha delineato nei Balcani un vasto fronte anti-serbo. «Solo un'azione militare può fermare i serbi in Bosnia», ha dichiarato Ozal sottolineando che né la Turchia, né un altro Paese possono agire separatamente, ma devono rimanere sotto l'egida dell'Orni, A Sofia, Ozal ha chiesto il diritto di passaggio delle truppe turche sul territorio bulgaro nel caso le popolazioni del Kosovo e della Macedonia fossero minacciate dalle forze serbe. Per ottenere il consenso del presidente bulgaro Zelev, Ozal ha ricordato il ruolo di Ankara nella guerra del Golfo. Pur non partecipando all'azione militare contro l'Iraq, la Turchia aveva messo a disposizione degli alleati la base di Incirlik. In Macedonia, che agli occhi dei turchi diventa un Paese alleato perché nemico della Grecia, Ozal ha offerto crediti e protezione militare, nonché il ruolo di mediatore con l'Albania che rifiuta di riconoscere la Macedonia perché chiede maggiori diritti per i 700 mila albanesi che vivono in questa Repubblica. Lo stesso ha fatto a Tirana. Accompagnato da 160 persone tra ministri, militari e uomini d'affari, il presidente Ozal ha terminato la sua tournée a Zagabria con un comunicato congiunto con il presidente croato Tudjman in cui i due presidenti esprimono la propria preoccupazione per la guerra bosniaca che minaccia la pace nei Balcani. Intanto il presidente americano Clinton ha annunciato che gli Stati Uniti stanno esaminando la possibilità di paracadutare il cibo e altri aiuti umanitari in Bosnia con gli aerei da trasporto britannici «C-130». A detta del «Sunday Times», sarebbero scortati da cacciabombardieri pronti a intervenire nel caso i serbi tentassero di abbattere i «C-130» con razzi antiaerei. Per convincere il presidente bosniaco Izetbegovic a tornare al tavolo delle trattative a New York, il vicepresidente Al Gore l'avrebbe invitato martedì alla Casa Bianca. Per oggi è prevista la riunione del Consiglio di sicurezza dell'Onu in cui dovrebbe essere costituito un tribunale per i crimini di guerra che giudicherebbe i criminali di tutte le fazioni coinvolte nel conflitto dell'ex Jugoslavia. Ingrid Badurina Donne serbe piangono i loro parenti morti nel cimitero del villaggio di Skelani, nella parte orientale della Bosnia (foto apj