Suss l'ebreo, quello vero

Suss l'ebreo, quello vero Suss l'ebreo, quello vero Berlino rende omaggio a Conrad Veidt BERLINO. Nicht Vergessen. Non dimenticare: non soltanto un attore straordinario ed emblematico come Conrad Veidt, di cui ricorrono i cent'anni dalla nascita e i cinquanta dalla morte; ma anche e soprattutto l'antisemitismo, la barbarie nazista. Con questo motto il direttore Moritz de Hadeln, insieme al presidente del Consiglio centrale della Comunità ebraica in Germania Ignatz Bubis, ha voluto ricordare l'altra sera, nell'affollatissimo Film Palast, l'impegno per la libertà, la tolleranza e il confronto fra le diverse culture che da sempre ha contraddistinto il Festival. Un impegno ancor più doveroso in un momento in cui il risorgere del nazismo sotto diverse spoglie rischia di ricondurre la Germania al famigerato 1933. In quest'ottica il film scelto per l'omaggio a Conrad Veidt - a cui è dedicata una bella mostra di cimeli, fotografie nello Schwules Museum (il museo omosessuale) di Kreutzberg, aperto fino a maggio - non poteva che essere «Jew Sùss», Suss l'ebreo. Non il film diretto dal nazista Veit Harlan nel '40, vero concentrato di antisemitismo, ma il meno noto ed altrettanto importante (ma di segno opposto) realizzato da Lothar Mendes nel 1934 in Gran Bretagna. Veidt aveva infatti dovuto lasciare la Germania nel 1933, emigrando prima a Londra poi a Hollywood allo scoppio della guerra: e vi interpreterà, fra l'altro, «Casablanca». Negli anni dell'esilio riuscirà ancora a darci alcune grandi interpretazioni, che reggono benissimo il confronto con i personaggi indimenticabili del sonnambulo Cesare nel «Gabinetto del dottor Caligari» o del pianista Orlac in «Le mani di Orlac», diretti ambedue da Robert Wiene. Per tacere delle sue folgoranti apparizioni in film di Murnau, Leni, Galeen, Dupont, i maestri dell'e¬ spressionismo cinematografico. In «Jew Suss» il suo stile espressionista, il controllo assoluto dei gesti, la micromimica e l'intensità dello sguardo riescono a tratteggiare un personaggio complesso e ambiguo. Uscito dalla storia e dalle pagine del romanzo di Lion Feuchtwanger, l'ebreo Josef Suss Oppenheimer, ministro delle Finanze del principe di Wùrttemberg, fra l'avidità di potere e gli intrighi di quella piccola corte settecentesca, ritrova nel volto di Veidt, nel suo corpo perfetto, nell'eloquio al tempo stesso elegante e mellifluo, accondiscendente e imperativo, i toni e i timbri di una figura indimenticabile. Ed è nella tragedia personale di questa solitaria figura, nel suo morale nella bellissima sequenza finale del patibolo, che il film riesce a condensare, in pochi tratti spettacolarmente suggestivi, storia e anima del popolo ebraico. Gianni Rondoiino

Luoghi citati: Berlino, Germania, Gran Bretagna, Hollywood, Londra