I misteri dei Savoia spariti 129 dossier di Giorgio Calcagno

Dall'archivio trasferito a Torino manca il 60 per cento del materiale, si cercano i documenti sul fascismo Dall'archivio trasferito a Torino manca il 60 per cento del materiale, si cercano i documenti sul fascismo I misteri dei Savoia spariti 129 dossier 1 TORINO E' un giallo, sull'archivio dei Savoia, arrivato nei giorni scorsi a Torino. Il 60 per cento del materiale, che Umberto n voleva trasmettere allo Stato italiano, non c'è. E molte carte non si erano trovate nemmeno a Cascais, dove l'ultimo re d'Italia le custodiva. Dove sono? A villa Italia la commissione che doveva prendere in consegna i dossier segreti dei reali arrivò il 19 maggio 1983, appena due mesi dopo la morte dell'ex sovrano. Era un archivio che metteva gola agli storici, appassionava i ricercatori; e doveva tornare nel nostro Paese. Lo stesso Umberto si era espresso più volte in questo senso. «Era stata la sua preoccupazione costante, negli ultimi anni», ci dice il conte Aimone di Seyssel, erede di un antichissimo casato savoiardo, fra i protagonisti di questa vicenda. «Ma aveva anche un'altra preoccupazione: voleva un gruppo di competenti, che potessero dividere la parte storica da quella privata di queste carte. La malattia stava avanzando, non si sentiva più in grado di farlo lui, con le persone che aveva a Cascais». Un anno prima della morte, nel 1982, Umberto aveva dato il suo benestare a una commissione mista, di sei persone. Due rappresentavano lo Stato italiano: la professoressa Emilia Morelli, direttrice del Museo del Risorgimento a Roma, e il professor Vincenzo Gallinari, vicedirettore per gli archivi al ministero dei Beni Culturali. Gli altri quattro, esponenti di famiglie storiche legate da secoli alla dinastia, dovevano tutelare gli interessi della ex casa reale: il marchese Niccolò di Suni, di antica nobiltà sarda, il dottor Luigi Sella, discendente del grande ministro delle Finanze (2 Vittorio Emanuele II, il conte Niccolò Pasolini dell'Onda, romagnolo, e lo stesso Aimone di Seyssel. «Conoscevamo di persona il sovrano - ci dice quest'ultimo -, eravamo stati tutti più volte a Cascais, nei lunghi anni dell'esilio». ((Andavamo da lui, avevamo l'impressione di parlare davvero con un re», sottolinea il marchese di Suni, che partecipa al nostro colloquio. Per la fiducia in questi personaggi Umberto II stabilì il legato, con la clausola che i documenti fossero consultati uno per uno, prima di essere consegnati all'Archivio italiano. U legato prescriveva che le carte scelte fossero viste da almeno tre membri della commissione e, cosa più importante, dava loro facoltà di porre sotto vincolo le più delicate, perché non fossero consultabili prima di 70 anni. Era l'unica riserva; e le sole persone abilitate a decidere erano i sei. Esecutori testamentari erano indicati due nipoti dell'ex sovrano: Simeone, l'ultimo re di Bulgaria, figlio di Giovanna, e Maurizio d'Assia, figlio di Mafalda. «Furono loro a convocarci a Cascais, dopo la morte del re», dice Aimone di Seyssel. Anche se il lascito parlava di «almeno tre», accorsero tutti. «Eravamo molto emozionati, perché si apriva la memoria del sovrano, si entrava nella sua memoria storica». In presenza degli esecutori testamentari si sono aperti i sigilli. Le carte erano distribuite in vari ambienti di villa Italia, al primo piano: la biblioteca, lo studio, la camera da letto, il piccolo archivio. Tenute molto in ordine; era chiaro che Umberto ci aveva lavorato a lungo. Erano conservate in grossi raccoglitori di cartone, che portavano sul dorso un numero e l'argomento; e, dentro, i documenti avvolti in copertine con l'indicazione del tema, scritte di pugno reale. «Abbiamo cominciato il lavoro, ci siamo resi conto che era un archivio molto composito. La parte più succosa era quella di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II. Assai più povera quella che riguardava Vittorio Emanuele ni e Umberto II. Sul fascismo c'era pochissimo, praticamente nulla». La commissione ha frugato nelle carte di villa Italia per quattro giorni: «Abbiamo aperto anche la scrivania di Sua Maestà, nello studio privato, ancora sotto sigillo. Non c'era niente. Sull'armistizio, sulle elezioni del 2 giugno, niente. Abbiamo trovato negli scaffali una enorme corrispondenza dopo l'abdicazione: interessante dal punto di vista del costume, per i sentimenti che hanno legato gli italiani alla dinastia; non per la storia». E per la storia? «Non avendo trovato importanti documenti su quel periodo abbiamo fatto ricerche in altri locali, fino alle cantine e alle soffitte; niente. Quello che è singolare è la mancanza di qualsiasi carta che ri- guardasse la luogotenenza». E la commissione non si è chiesta perché? «Ce lo siamo chiesti; ma non abbiamo trovato risposta». La prima ipotesi è che qualcuno li abbia distrutti, arrischiamo. «O messi da parte - ribatte Seyssel -. Che li abbia distrutti il re mi pare strano: lui aveva un grosso interesse per la storia. Basta vedere che cosa era la sua biblioteca, tutta storica e politica, Negli anni dell'esilio questo sovrano ha avuto una grandezza morale, di vita, ha sempre continuato gli studi nella sua solitudine, n suo desiderio era che il lascito ricompletasse il fondo della storia sabauda all'Archivio di Stato». «E ha sempre messo a disposizione degli studiosi l'archivio di Cascais», sottolinea Suni. Alla fine dello spoglio la commissione ha lasciato a villa Italia tutto quanto era di interesse familiare, fotografie, lettere private. E ha comperato 16 bauli in lamiera, con listelli di legno, per le carte destinate a Torino. Dal verbale risulta che vi sono stati collocati 217 dossier. «Poi i baùli, su decisione degli eredi Savoia, e per loro di Vittorio Emanuele, che era presente, sono partiti per Losanna». Aimone di Seyssel e Niccolò di Suni non aggiungono altro. «Noi abbiamo completato il nostro lavoro facendo la cernita. E ci auguriamo che, nei tempi e nei modi dovuti, tutto questo materiale torni a Torino, sede naturale della storia di casa Savoia». E' un augurio opportuno, dopo quanto è successo. All'Archivio di Stato, la direttrice Isabella Ricci Massabò è riuscita a riportare, dopo dieci anni, 88 di quei dossier e, a un primo sguardo, non tutti completi. Ne mancano 129, fra quelli che la commissione aveva così scrupolosamente selezionato, per rispettare i desideri di Umberto; praticamente tutto quello che riguarda il nostro secolo. Dove sono? «Sono nelle mani degli eredi Savoia», dice la Ricci. E fra questi eredi non c'è intesa. Nel settembre scorso Maria Jose, dal suo ritiro messicano, aveva dato le dimissioni dalla fondazione Umberto II che ha in custodia i documenti di famiglia accusando la figlia Maria Gabriella di essersene appropriata indebitamente. Interpellata allora da Antonio Spinosa, la principessa, presidente della fondazione, gli aveva garantito che si trattava di un equivoco. «Io non ho mai avuto intenzione di tratte¬ nerli, sono lieta che vengano affidati all'Archivio di Stato di Torino». Aveva anche riferito a Spinosa di un fax inviato alla madre, per dissipare il malinteso: «Sarai contenta di sapere che gli archivi di papà sono già pronti per essere consegnati allo Stato italiano». Ma ora che la consegna è avvenuta scopriamo che oltre la metà è rimasta in Svizzera. Che fare per ottenere il resto? A parte l'argomento giuridico «il rispetto del testamento» -, la direttrice dell'archivio torinese ritiene di avere due buone ragioni. «Dal punto di vista etico c'è la volontà di un genitore da rispettare: e questo spero sia riconsiderato da chi finora ha deciso di rispettarla solo in parte. Ma poi c'è un argomento storiografico. Umberto voleva che queste carte servissero a costruire ima storia della dinastia, aveva inserito nel legato documenti che riguadavano lui e suo padre. Se si sottraggono, si fa uscire dalla storia un personaggio che nella storia voleva entrare». La Ricci cerca di mettersi dal punto di vista dei Savoia: «Forse temono il cattivo uso di questi dossier, non vogliono che possano servire a denigrare la dinastia. Ma questo non accadrà, almeno per varie generazioni: perché la legge sugli archivi consente di porre 0 vincolo settantennale sulle carte più riservate. Quando torneranno a Torino, l'archivio dovrà sottoporle alla commissione, come voleva Umberto. E io me ne faccio un obbligo morale». La battaglia è ancora aperta, ma all'archivio sono fiduciosi. Possono cambiare la storiografia, queste carte? «Non lo sappiamo. Per gli storici di oggi probabilmente no. Ma noi siamo qui per conservare, pensiamo a chi le leggerà in futuro, e le leggerà con altri occhi». Sì, potrebbero cambiare anche un po' di storia. Purché ritornino davvero, dalle mani dei Savoia che le hanno sottratte ai Savoia: tutte. Giorgio Calcagno Due membri della commissione che esaminò le carte di Cascais: «Ecco che cosa abbiamo trovato» Maria Gabriella di Savoia e sotto l'ex regina Maria José. Nell'immagine grande, Umberto II nel suo studio di Cascais :