NOTTE VIRTUALE con la Schffer

Uomo e computer: ecco come si vive in una realtà costruita dalla macchina Uomo e computer: ecco come si vive in una realtà costruita dalla macchina NOTTE VIRTUALE con la Schffer E| MILANO 7 STRANO che a quest'ora nessuno viaggi sulla metropolitana. Nessuno sul 1 le scale, nessuno in coda alla biglietteria, nessuno nel gabbiotto del controllore. La scala mobile, la banchina: deserte. Il treno arriva, destinazione Gobba, meta di pendolari. La porta si apre sul vagone, vuoto. Si chiudono le porte. Oltre i vetri le réclames sfilano rapide. Scendo alla fermata, guardo intorno. Ecco: Uscita. Ma non c'è uscita. La scala arriva in un corridoio lungo, dalle pareti blu. E cinque porte di legno. Spingo la prima: cigola. Vedo una culla enorme e intorno una stanza di giochi. Marionette, scatole magiche, pupazzi e carillon. Sul pavimento rimbalza una palla. Una mano cerca di afferrarla, pizzicando l'aria come un neonato. E' la mia mano. Fresa. La lancio, schizza alta. Esco. La seconda stanza è un acquario pazzo. Pesci coloratissimi che volano, farfalle che nuotano. Fosso volare anch'io e vedere tutto dall'alto, da lontano. Nella quarta stanza ce n'è un'altra e un'altra ancora e paiono quadri di De Chirico: manichini guerrieri, sfere perfette e levigate dalla luce, un ippogrifo, la Venere di Milo, pezzi di scacchi alti che proiettano ombre infinite. C'è ancora una stanza buia. Arrivo all'ultima porta nel muro. Si apre e sono sul tetto di un grattacielo. Avanzo fino al cornicione, mi chino sul vuoto. E' un momento, una vertigine. Salto. Nero. & Qui finisce il mio primo viaggio nella realtà virtuale. Il computer dell'impresa Division di Bristol non contempla ancora il Suicidio e il conseguente viaggio nell'aldilà. Ma è questione di ìempo. Un giorno il programmatore che ha confezionato queSt'incubo metropolitano sarà in grado di presentarci anche al cospetto di Dio. Il dio della grafica computerizzata, s'intende. Per ora affido il casco con i visori tridimensionali e il prezioso guanto al premuroso Caronte in camice bianco che mi assiste e riprendo a parlare con i padroni di questa macchina delle meraviglie. Matteo Galbiati e Cristiano Palazzini sono giovanissimi, 24 e 26 anni, molto seri e «pragmatici». Ci tengono a chiarire che sulla realtà virtuale - fascinoso ossimoro «circolano un sacco di leggende metropolitane», non che fantasie filmiche catastrofiste o sanguinarie, tipo II taglìaerbe, strambe elucubrazioni filosofiche, visioni sciamaniche alla Elémire Zolla, raffazzonamenti a volo d'uccello del giornalismo «brillante». Chi se ne occupa davvero, da anni, è Franco Carlini del manifesto, che dice: «Nella migliore delle ipotesi, il risultato di questa accozzaglia d'informazione kitsch è l'idea della realtà virtuale come sofisticatissimo videogame o un nuovo Lsd». Naturalmente, è sempre possibili stupirsi con effetti speciali come quelli del festival Immagina '93 di Montecarlo di questi giorni: si tratta in gran parte di gite nel cyberspazio, con facoltà- tivo sterminio di verdognoli extraterrestri o dinosauri meccanici. Per utenti più intellettuali, sono ipotizzabili scenari più colti. Si può volare sul cielo di Mosca a cavalcioni di una scopa, come la Margherita di Bulgakov; ritrovarsi nell'abbazia di Cluny; profanare una stanza di Port Rovai; strappare un fiore ai giardini di Babilonia, salire sulla Torre di Alessandria, spostare il triclinio di Nerone nella domus aurea e riarredare la caverna dell'uomo di Neanderthal; visitare i bordelli di Pompei o infilarsi nella camera da letto di Claudia Schiffer. Perché anche il sesso virtuale è una bella tentazione, ai tempi dell'Aids. Ma se si analizzano i compiti «seri» della realtà virtuale allora è un'altra storia. La possibilità per un architetto di muoversi e toccare oggetti nel palazzo che ha appena progettato; per un chirurgo di New York di operare un paziente a Parigi agitando un bisturi «d'aria» collegato a un robot; per un chimico di «afferrare» una proteina, rigirarla e infilarla nel ricettore giusto, valutandone la resistenza. Finora i risultati pratici sono scarsi, i governi non osano stanziare denaro per quello che l'opinione pubblica considera un videogioco per miliardari. Così, mentre sull'onda delle suggestioni giornalistiche e letterarie (Stephen King) e grazie all'adesione di qualche Vip come Steven Spielberg o Yoko Ono, si diffonde nel mondo il dibattito alla moda sulla Virtual Reality, in California il pioniere del settore è miseramente fallito. Perché anche questa ennesima inveri zione-del-secolo destinata-asconvolgerci-la-vita comincia con una bancarotta commerciale. E' la storia di Jaron Lanier, 33 anni, definito da Business Week uno dei migliori figli di Silicon Valley, eccentrico persino per i canoni californiani: baffi incolti e casco di treccine rasta, pantaloni larghi e maglietta stropicciata, massiccio e impacciato. Jaron in realtà viene da un lindo paesino del New Mexico. Il padre è giornalista scientifico. La madre, morta in un incidente stradale quando Jaron aveva nove anni, era una pianista di talento. Da lei Leiner eredita la prima passione, la musica. Ma presto passa alla tastiera del computer e a soli 14 anni viene ammesso alla facoltà di Matematica dell'Università del New Mexico. Non si laurea, a vent'anni molla tutto e parte per la California, su un'auto abbandonata da un tossico, «piena di fori di proiettile». Disegna videogiochi. Col primo, Moondust, la Atari fa miliardi. Lui no. Investe i suoi guadagni e quelli di un amico, Thomas Zimmermann, in un sogno adolescente: dar vita a una «chitarra invisibile». Quella che tutti i piccoli rocker del mondo impugnano quando mimano Ji- mi Hendrix. Ed è Zimmermann, aspirante cantautore, a trovare la soluzione al problema. Brevetta un guanto speciale, dotato di sensori di fibre ottiche. Collegato un sintetizzatore, emette suoni col semplice muovere delle dita. «Suona nell'aria». E' il DataGlove, la mano che apre la porta della realtà virtuale. Ora il computer non solo può farci «vedere» una realtà simulata. Ma può prenderci per mano e farci entrare col corpo dentro un mondo che è possibile toccare, sentire e modificare col gesto. Leiner moltiplica così air infinito il rapporto tra uomo e macchina. Traduce in bit Democrito: «Il progresso umano è opera non della mente, ma della mano», cominciando un'era nuova. Per questo la Virtual Reality viene accolta dalla scienza come qualcosa di meno o di più che una «scoperta». Di che cosa, poi? I tre elementi base c'erano già. Le simulazioni grafiche compu¬ terizzate e il casco tridimensionale erano stati usati vent'anni prima dalla Nasa e poi su larga scala dalle compagnie aeree per addestrare i piloti. Il guanto Data GÌ ove è di Zimmermann. Jaron Leiner appartiene alla sublime categoria degli inventori che non hanno inventato nulla. Come i fratelli Wright o lo sconosciuto padre della televisione, lo scozzese John L. Baird, egli ha assemblato tecnologie conosciute per dar vita a un'aspirazione eterna dell'uomo, un progetto divino: volare, vedere a distanza, creare un mondo. Da questo momento Leiner e la sua compagnia, la Vpl Research di Palo Alto, diventano un culto. Si fanno vivi per primi i giapponesi, industrie di arredamento e automobilistiche, chiedendo alla Vpl di produrre «scatole magiche» da fiera commerciale, per dare ai clienti più importanti il piacere di crearsi una dimora immaginaria, il brivido di una corsa su un circuito famoso. S'affaccia alla bizzarra factory di Palo Alto qualche regista di Hollywood, incuriosito come Spielberg o spinto come Lucas dall'avvincente prospettiva di risparmiare alcuni milioni di dollari sul budget delle laboriose prove di guerre stellari e altri kolossal. Più spontanea e larga è l'adesione al fan club di varie rock star, dai Grateful Dead a Frank Zappa a Yoko Ono. Per loro e in nome dell'antico amore per la musica, Leiner lavora al progetto di una «jam session» planetaria. Elabora una realtà virtuale multipla. In pratica, un pianista a Los Angeles, un chitarrista a Londra e un cantante a Roma possono «entrare» nella stessa sala d'incisione virtuale e suonare assieme. Per lo stesso principio si potrebbe svolgere un congresso di scienziati russi e cinesi all'interno di una molecola. Ma, inventore o filosofo, stregone o genio, Leiner di sicuro una cosa non è: uomo d'affari. Accumula progetti e debiti con la stessa velocità. Nell'88 apre la porta della Vpl ai capitali della francese Thomson Avions, che entra col solito 10 per cento, suonando il flauto europeo della «missione culturale» e della «ricerca pura». Con la benedizione del ministro della Cultura Lang e della Cee. Ma presto i manager francesi perdono molto del loro garbato charme. In pochi anni prendono il controllo della Vpl, la liquidano e mettono alla porta monsieur Leiner, non senza averlo ripulito di tutti i brevetti (una ventina). Circola la voce che Leiner sia diventato un guru pazzoide circondato da una corte di adulatori, prigioniero di fantasie psichedeliche (quando è perfino astemio), e ormai perso al mondo reale. Lui risponde così: «In questa vicenda, ho trovato i francesi molto emotivi, avidi e confusi. Secondo me sono loro ad avere una curiosa percezione del mondo». Ma la storia gli ha insegnato che per avere successo, nella realtà non virtuale, non basta il genio. E la sua, per usare un altro ossimoro, è una sconfitta trionfale. Ha svegliato i colossi americani del settore, Ibm e Honeywell, che varano laboratori di ricerca, subito inseguiti dall'olandese Philips. In Inghilterra e in Francia nascono centri di produzione. Si muovono le università e anche il nuovo governo. Il vice di Clinton, Al Gore, già visitatore della factory di Palo Alto, afferma in un discorso ufficiale che la realtà virtuale è uno dei pochi settori tecnologici in cui gli Usa vantano un primato da «difendere e incoraggiare». E Leiner, il profeta disarmato? Ha raccolto con le conferenze universitarie i soldi per ricominciare con una piccola società a Sausalito, qualche miglio in là sulla costa. E' ottimista. «Probabilmente diventerò ricco con tutto questo - dichiara -, altrimenti non sarà una tragedia. Amo il mio lavoro e questa avventura. Il bello è che siamo appena all'inizio». Di che cosa? Curzio Maltese Ma il «pioniere» è già fallito Casco, visori tridimensionali guanto magico e un tasto: così può iniziare un viaggio attraverso mondi fantastici Yoko Ono e alla sinistra Lucas, «utilizzatori» di realtà virtuali. Sotto, Claudia Schiffer. A destra, un disegno di Soto Yamamoto