« Ma Asti non si arrenderà mai ai barbari di Tangentopoli» di Pierangelo Sapegno

m « Ma Asti non si arrenderà mai ai barbari di Tangentopoli» VIAGGIO NEGLI SCANDALI DI PROVINCIA QASTI UESTA notte, il ministro è tornato a casa. L'ex ministro, pardon. Adesso, sotto i portici, fra i barbagli di luce e i crocchi di gente, il bar pieno di fumo porta l'odore del caffè e del buon vino. E porta le voci della televisione. Che brutta fine, compagno Enrico: «... per l'ospedale di Asti, anche il capogruppo socialista alla Camera Giusi La Ganga ha ricevuto un avviso di garanzia...». E il ministro? Vittorio Ubertone, il fotografo, butta l'ultima cicca di sigaretta e sputa il fiato nell'aria candida. Adesso aspetta, Ubertone. E il compagno Enrico Bestente, di Rifondazione comunista, che fu il primo questa primavera a denunciare come un forsennato da ima parte e dall'altra gli scandali di Asti, aspetta anche lui: «Il brutto sai cos'è? E' che il peggio deve ancora venire, perché dopo c'è il buio, non c'è ricambio. Non c'è niente. Anche qui da noi. Non è che il vecchio crolla perché il nuovo spinge». Il ministro Giovanni Goria si dimetterà, questo pomeriggio. Alla de glielo dice un cronista, e Pierpaolo Gherlone, segretario uscente dei giovani democristiani, resta come un pesce lesso: «Ma è vero?». Certo, è vero. Il telegiornale delle 13 non lo sa ancora, e intanto continua a rovesciare notizie, mentre il profumo del caffè si perde lontano: «... Ieri mattina è stato arrestato a Torino l'impresario Borini...». Loro, i de, erano fermi lì, «e già così ci siamo sentiti stravolti, come quelli che stanno per annegare». Piccola Asti. Forse sarà solo un caso che una fetta di storia della nostra prima Repubblica passi proprio da qui, in questo posto di provincia che ha per mare le colline e per sangue il colore del vino. O forse no. Non eravamo noi a dire e a scrivere che la storia d'Italia era la storia della sua provincia? A raccontarla da qui, Tangentopoli, però fa uno strano effetto, fa più tristezza, perché in fondo è vero, come dice il vescovo Monsignor Severino Poletto, che «da noi il benessere era meno sfacciato, il rampantismo più lontano, i danni degli Anni Ottanta più attenuati. Certo, tutto il mondo è diventato un villaggio globale, non siamo così ciechi da non vederlo. Ma certe situazioni sono diverse». Difficile che tutto questo sia un'attenuante per i giudici. Il fatto è che il crollo del sistema porta con sé altre paure, altre agonie persino, che qui sono diverse da Milano, Roma, Torino. E se c'è una cosa che qui si perde più che altrove, ha ragione il Ve- scovo, dev'essere «la tranquillità, la serenità». Oggi è così. E Asti è a suo modo emblematica per questo, perché la Tangentopoli di provincia è più vicina a tutti noi. Nella piccola città, sembra più forte il senso di smarrimento, di impotenza. «Leggevo di Milano e pensavo a cose di un altro mondo, come quando si legge di un Paese diverso dal nostro. Ora non capisco più, non riesco a comprendere», dice Emanuele Pastrone, che è la maschera di Asti, ed ex consigliere comunale del pei. «Era un posto tranquillo, questo. Magari lo è ancora, e se lei va in giro vede un mondo di gente che si conosce, si parla, si cerca. Gente che crede in quello che fa. Allora, cosa c'è che non va?». Eppure, qualcosa ci dev'essere anche qui, se tutto oggi sembra così precario, così caduco. Anche il tempo andato via sembra diverso. Nella memoria di un paese, i ricordi appartengono a tutti. Giovanni Goria portava i pantaloni alla zuava, e sorrideva, e Asti non era nient'altro che la capitale del buon vino. «Lo presi con me alla Camera di Commercio che era un ragazzino, sveglio ma anche rompiscatole: mi contestava, e lo faceva bene, santocielo». Allora, quando il senatore Gianni Boano gli fece il suo nome, Giovanni Borello, oggi presidente della Cassa di Risparmio di Asti, storse il naso. Ma ci sapeva fare, quel ra¬ gazzo: «Pensai che mi serviva proprio uno come lui». Il suo professore, Cavanenghi, gli aveva spiegato che «una delle regole da seguire per capire la ragioneria è la nasometria». Il fiuto, cioè e il buon senso. Roba da contadini, con le mani grosse e il cappello sulla testa. Goria si presentò così. Com'era piccola. Asti, con i suoi seni di colline sparsi intorno, chiusa in questa dimensione di periferia industriale e di villaggio agricolo, a suo modo un po' dolce e un po' triste. Certe mattine di bel sole, piazza Alfieri sembra più grande, senza il fiato della nebbia. TAI9, la tivù locale, sta raccontando tutto lo scandalo dall'inizio. Oggi, anche Asti sembra più grande, con il suo nuovo ospedale che non c'è e quello vecchio stipato in un convento del '600, con il suo ministro che si dimette e dice «sono pieno di amarezza», con le sue storie di provincia che si rovesciano lontano, come sospinte in un intreccio perverso, e i suoi racconti di affari e mazzette che l'accomunano alle città del rampantismo, con Tangentopoli che viaggia fra gli scogli del governo. Le strade di Roma passano fra queste colline spruzzate di sole, in questa terra di vignaioli. Tutto per un ospedale che non è mai stato costruito, e adesso chissà quando lo faranno. E' dal '39 che gliel'hanno promesso ad Asti. Allora, venne su Mussolini e in piazza Alfieri arringò la folla: «L'ospedale sarà una questione di pochi anni. Ho già i progetti. E' il duce che ve lo promette». Venne la guerra, invece, e le promesse restarono nel cassetto più di 40 anni. Ora, Giorgio Galvagno, sindaco, psi, non sa più che dire: «Sono costernato. Nessuno di noi si augura che ci siano colpevoli, ma non possiamo far finta di niente. Dobbiamo, però, anche dare un segnale di speranza agli astigiani: abbiamo bisogno davvero del nuovo ospedale». Lì sotto, nella piazza San Secondo, il pds ha piazzato una tenda, e striscioni, manifesti, cartelli. «La corruzione si può battere». E giù l'elenco degli arrestati e degli indagati. Poi, le parole d'ordine: «Il pds si sta battendo per mantenere il finanziamento dei 235 miliardi necessari per costruire il nuovo ospedale che rappresenta una risposta positiva alle difficoltà economiche e occupazionali della nostra città». Dall'altra parte della città, nella sede della de, arrivano invece le dimissioni di Goria, mentre il fotografo Ubertone corre a lavorare. «Non può essere coinvolto in uno scandalo perché è uno che li ha sempre denunciati», protesta Aldo Pia, suo fedelissimo, vicesindaco de. «E adesso, che succederà?». Chissà. Amato, forse, ha cominciato a cadere qui, nella terra del vino doc. Dove dicono che lo faccia il buon Dio. Pierangelo Sapegno «C'è il buio, il peggio deve ancora arrivare» Il vescovo: eravamo un'oasi senza rampanti m Giovanni Borello (a sinistra) Sopra Enrico Bestente Una veduta della città di Asti A sin. il vescovo Severino Poletto Sotto il sindaco Giorgio Galvagno