Beuys falsi o complotto?
polemica. L'amico dell'artista: in mostra opere non sue. E scoppia il gran litigio polemica. L'amico dell'artista: in mostra opere non sue. E scoppia il gran litigio Beuys, falsi o complotto? Due «partiti» si scontrano a Brera CMILANO RAN litigio su Beuys, l'artista tedesco scomparso | nell'86 che in questi gior Ini troneggia a Milano in tre sedi diverse. Doveva essere una mostra indiscussa, l'omaggio a un protagonista dell'arte concettuale, a un campione dell'idea che tutti possiamo essere artisti. Sotto tiro è l'esposizione a Brera, nel Salone Napoleonico (aperta fino al 6 marzo). Fra le opere, tutte nate durante i soggiorni viennesi dell'artista, c'è uno slittino con feltro, cintura, torcia elettrica e palla di grasso; una lavagna nera con alcuni segni di gesso bianco; fogli di carta scritti a matita e incollati su legno; cassetti con colori, legni, ferri. Ieri sul Giornale il critico Daniela Palazzoli dava notizia di una lettera scritta al Goethe Institut e alla Fondazione Mazzotta, promotori della mostra. Una lettera con fendenti firmati Heiner Bastian, per dieci anni amico e segretario di Beuys: «Questa mostra mi ha lasciato a dir poco in stato di choc». Perché mai? Perché «praticamente nessuna delle opere, con l'eccezione dei Multipli, è stata eseguita da Joseph Beuys. Sono false». La Palazzoli fa sua questa tesi: «La mostra è uno scandalo», afferma. Critica il direttore dell'Accademia di Brera, Fernando De Filippi. Intima: «Deve chiudere subito». Le risponde De Filippi: «Non vedo perché. Me lo devono dimostrare, che le opere sono false. Io mi sono affidato ai critici di valore internazionale che hanno scelto, e firmato il catalogo: Harald Szeeman, Konrad Oberhuber, Veit Loers. C'è anche un'intervista di Bonito Oliva a Beuys. E poi Brera ha solo ospitato la mostra, non l'ha organizzata». Replica la Palazzoli: «E' inammissibile. Brera non può ospitare soltanto». Di nuovo De Filippi: «La Palazzoli ce l'ha con me. E' stata direttrice prima di me, fino al '91. Il suo è un attacco livoroso, personale». E la Palazzoli si accende ancor di più: «De Filippi ragiona come il suo capo, Craxi». A dar man forte alla studiosa c'è Lucio Amelio, amico di Beuys e gallerista a Napoli. Come fa. Amelio, a dire che molte di que¬ ste opere sono false? «Facilissimo - ci risponde -. Ci sono opere con materiali di volgarità inaudita, appiccicati in un gran pasticcio: per esempio la masonite. Beuys la odiava, come odiava tutta la plastica: era un ecologista. Ancora: c'è una tavolozza con i colori a olio. Beuys non ha mai usato una tavolozza e non ha mai usato colori a olio; i colori li preparava lui e dipingeva con un coltellino. La stessa firma in copertina sul catalogo è falsa: ha una "o" come quella di un bambino. Mi facciano pure causa. Sarò felice di dimostrare tutto». E perché sarebbe nato questo pasticcio di falsi? «Sono in ballo una decina di miliardi - risponde Amelio -. E' il valore approssimativo delle opere, se fossero autentiche». Chi ci guadagnerebbe? «Oswald Oberhuber è il deus ex machina, direttore della Scuola d'arte a Vienna. Suo fratello Konrad Oberhuber è direttore della Galleria Albertina a Vienna, dove sento dire che finiranno le opere». Il critico Marco Rosei non si stupisce del contrasto: «Sapevo di questi due partiti su Beuys. Uno tedesco (Beuys è diventato una gloria ufficiale tedesca, sostenuta direttamente dal governo) e uno italiano. Un conflitto che coinvolge un alto mercato internazionale». Un'altra parola pacata potrebbe dirla il celebrato Harald Szeeman, che quest'altr'anno dedicherà a Beuys una mostra a Zurigo. «Szeeman mi ha persino aiutato a montare la mostra», ricorda il direttore di Brera, De Filippi. «Però poi si è defilato - gli replica la Palazzoli -. Ha scritto che si dissocia completamente dall'iniziativa». Senonché Szeeman dal Cantori Ticino non può parlare. Ha subito ieri un'operazione ai denti, e domattina ne ha un'altra. Al telefono la moglie Ingeborg Luescher confida: «Questa polemica è orribile e triste. Mio marito vuole starne fuori, pensa solo alla sua prossima mostra su Beuys. Ma ha in mano documenti che attestano l'autenticità delle opere». Secondo lei Heiner Bastian ha scritto la sua stroncatura perché «aizzato da Eva, la vedova di Beuys. Chissà, forse Eva ha sa¬ puto che suo marito aveva un'amica anche a Vienna, dove sono state apprestate le opere esposte». Ingeborg Luescher cerca di buttarla sullo scherzo. Non così Gabriele Mazzotta, chiamato in causa dal Bastian. Risponde per le rime. Bastian dice che quelle esposte a Brera sono in gran parte opere false? «Gli oppongo una pagina di un volume curato da lui stesso. Vi si riproduce una delle più importanti opere della mostra, con foto di Beuys intento a eseguire l'opera stessa». Si rivolge anche alla Palazzoli: «Del suo articolo tutto si può dire tranne che abbia l'equilibrio che ci si dovrebbe attendere da un critico d'arte». Mazzotta è duro: «Tutta questa operazione è un tentativo senza scrupoli per appropriarsi dell'intera opera di Beuys con finalità in larga misura condizionate da interessi mercantili». Conclude sconsolato: «Cerco da 27 anni di fare cultura. Se avessi immaginato il livello attuale, non avrei neanche cominciato». Claudio Atta rocca / promotori: interessi mercantili. Il direttore dell'Accademia: «Gli studiosi mi danno ragione» Ma il massimo specialista non può parlare: ha mal di denti «Senza titolo, lavagna, gesso», una delle opere in mostra a Brera, e sopra Joseph Beuys, scomparso nell'86. A destra in basso il critico Achille Bonito Oliva
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