Fallito il piano di rafforzare il governo

Fallito il piano di rafforzare il governo Fallito il piano di rafforzare il governo Dai primi segnali positivi al «no» di psi, pli e de I TENTATIVI A VUOTO DI GIULIANO OROMA RE 13 di ieri, in un Transatlantico semiaffollato arriva nero in volto Francesco De Lorenzo, ministro della Sanità con un'autorizzazione a procedere sulle spalle, per la quale l'apposita commissione parlamentare ha dato parere favorevole. «Se mi dimetto? Ma che siamo impazziti!», è il suo esordio. Poi, sempre più adirato, si lascia andare ad una serie di battute al fulmicotone che hanno come bersaglio quel rimpasto di governo che sta tanto a cuore al presidente del Consiglio, Amato. «Ma dove sta scritto - insorge - che mi debbo dimettere per l'accusa di aver fatto una lettera di segnalazione? Lettere del genere le hanno fatte tutti, anche il Presidente della Repubblica. Pure i magistrati hanno fatto delle segnalazioni in concorsi pubblici. Comunque, io non me ne vado e se vogliono cacciarmi è il pli che lascia il governo non solo io. Amato deve capire che non si può più andare avanti così: o mostra le palle nel difendermi o salta lui». Ore 19. Sempre a Montecitorio arriva Diego Novelli, ex sindaco pei di Torino e adesso deputato della Rete, e diffonde una voce da brivido: «Giovanni Goria è nei guai e non avendo più l'immunità parlamentare (si è dimesso da deputato, ndr) rischia l'arresto». Nel giro di pochi minuti il «boato» fa il giro della Camera. Gerardo Bianco, capogruppo de, pallido in volto, nega e rinega la notizia. Alla fine dimostra di aver ragione visto che la voce risulta infondata, ma una nuova paura comincia ad incombere sui democristiani: come può la de chiedere a un suo uomo, che ha già avuto il coraggio di dimettersi da deputato per fare il ministro, di lasciare il governo e rimanere inerme di fronte ai giudici in un'atmosfera così pesante? No, non può, dicono i de che affollano il Trasatlantico. E la conferma la dà qualche ora dopo un altro ministro indagato, il socialista Carmelo Conte. Anche lui è riuscito a farla franca: doveva essere uno degli agnelli sacrificali del rimpasto che aveva in mente Amato ed invece, rincuorato, pensa di poter stare ancora al governo. «La de - conferma - non ha accettato il rimpasto. E domani al Senato Giuliano farà un discorso in cui dirà di essere pronto a levare il campo, se c'è la possibilità di fare una nuova maggioranza. Altrimenti tutti debbono convincersi che questo governo deve andare avanti». Povero Amato, nella giornata di ieri il suo piano per ridare lustro al governo è naufragato. A meno di improvvisi rivolgimenti, dovrà andare avanti in una lenta agonia, accontentarsi di vivacchiare con l'attuale governo: non avrà il conforto né dì una crisi liberatrice né di un rimpasto rigeneratore. Eppure l'altra sera, mercoledì, Amato ha pensato di avere in pugno la soluzione di tutti i suoi problemi. Il segretario della de, Mino Martinazzoli, dopo aver tentato invano di coinvolgere in un nuovo esecutivo pri e pds, gli aveva confermato il pieno appoggio della de e dato il «via libera» a proseguire. Anche il colloquio con Achille Occhetto era stato positivo. «Noi - gli aveva detto il segretario del pds - potremo entrare in un governo solo dopo l'approvazione della nuova legge elettorale. Adesso saremmo disposti ad appoggiare al massimo un governo che non abbia ministri de: al limite potrebbe rimanere Mancino al ministero dell'Interno per garantire la continuità e magari tu stesso al Tesoro in qualità di tecnico». Da questi colloqui Amato aveva tratto la convinzione che, non essendo possibile allargare la maggioranza, gli alleati avrebbero accettato il rimpasto. Così, a quell'ora, Amato era felice. A qualche persona di fiducia ha anche illustrato il suo piano segreto per risorgere: primo, incassare la fiducia nel dibattito al Senato; secondo, far dimettere tutti i ministri e quindi rinominarli tutti, tranne i tre indagati, Goria, Conte e De Lorenzo; terzo, nominare al loro posto personaggi di rilievo, seguendo il criterio adottato con la scelta di Conso per il ministero della Giustizia; quarto, nel giro di qualche settimana nominare i nuovi presidenti di Iri ed Eni scegliendoli sempre nel rispetto del «metodo Conso»; quinto, tentare di arrivare al commissariamento della Rai con un personaggio autorevole. Nel giro delle 24 ore successive, però, i desideri del capo del governo si sono dimostrati dei castelli in aria e il rimpasto è finito prima di nascere. La situazione per lui ha cominciato ad ingarbugliarsi la sera di mercoledì alla riunione del gruppo parlamentare del psi alla Camera. Amato ha constatato che il psi di Giorgio Benvenuto non ha a cuore il suo governo e pensa soprattutto al futuro. Il presidente del Consiglio e il segretario socialista, sia pure salvaguardando le forme, questa diversità di vedute se la sono detta in faccia. «Dobbiamo pensare a far lavorare questo governo - ha detto Amato - e non stare dietro ad un governo che non c'è». «Non possiamo rimanere fermi - gli ha risposto Benvenuto - mentre gli altri costruiscono qualcos'altro». Poi, all'alba di ieri, sono arrivati i primi «no» espliciti all'ipotesi del rimpasto. Altissimo non ha preso neanche in considerazione l'idea di una sostituzione di De Lorenzo. E la stessa cosa ha fatto subito dopo Martinazzoli. «Per tenere viva l'ipotesi di un altro governo - ha spiegato in quelle stesse ore Clemente Mastella non possiamo dare il via libera ad un rimpasto dell'attuale. Anche perché contiamo di far guidare il prossimo esecutivo da un personaggio di area de». A sera un presidente del Consiglio affranto ha gettato la spugna: il governo va avanti così come è ora. E, intanto, intorno a lui gli altri continuano a progettare il futuro. Quaranta deputati psi, pds e de hanno firmato ieri un documento per un governo di garanzia. La minoranza del psi ha giudicato il governo Amato superato. E lo stesso Capo dello Stato ha fatto sapere a Montecitorio di essere solleticato dall'idea di vedere Giorgio Napolitano a Palazzo Chigi. Augusto Minzolini Novelli diffonde unavoce «Goria è nei guai e rischia l'arresto» Poi arriva la smentita Nella foto sotto: Giuliano Amato presidente del Consiglio A destra: il ministro De Lorenzo

Luoghi citati: Iri, Torino