Sul luogo del delitto Viaggio nella Baggina

Il nuovo commissario «Chiesa costruiva di tutto Più faceva, più era alto il giro delle tangenti» Tra gli ignari anziani del Pio Albergo Trivulzio un anno fa cominciava la storia di Tangentopoli Sul luogo del delitto Viaggio nella Baggina PMILANO ELLEGRINI di Tangentopoli, mettetevi la cravatta per entrare al Pio Alberto Trivulzio, perché ieri era un giorno speciale, 17 febbraio 1993, dodicesimo mese dall'avvento dell'arcangelo Di Pietro, festa di San Mario Chiesa. Il portento si è manifestato qui, palazzina dell'amministrazione, ufficio di presidenza, quando alle 18,05 di 365 giorni fa, il brigadiere «Grinta» e il capitano Zuliani hanno aperto questa porta bianca, fissato la faccia bianca di Mario Chiesa, sequestrato la busta bianca dei 7 milioncini, intimato (di punto in bianco): «Ingegnere, lei è in arresto». Quante magie da allora. Centoventi arresti, un migliaio di avvisi di garanzia - «E non è finita» come pronostica il veggente Mario Zamorani, ingegnere inquisito - ma tutto cominciato qui, dal piccolo cassetto della scrivania fine Settecento, cassetto di sinistra, che adesso il «cislino» Sandro Antoniazzi, occhi celesti, commissario straordinario dell'Ente dallo scorso aprile, apre con un sorrisetto: «Guardi pure, troverà carte, delibere, qualche moneta forse. Ma niente buste». Buste, bustarelle, bustone, tutte confessate dal Mario Chiesa, che per 6 anni qui ha dettato legge, infischiandosene delle leggi. Risultato: 30 giorni di galera, 100 ore di confessioni, 6 anni di condanna, 6 miliardi restituiti. «Ancora pochi - fa l'Antoniazzi -. Ce ne ha lasciati 30 di deficit, più 40 di mutui da pa gare, più vari pasticci di amministrazione, più il fango. Di miliardi ne dovrebbe restituire ancora, magari mese per mese, in busta». Momento, noi, questo pellegrinaggio ad memoriam, lo cominciamo non dalle buste, ma dai busti. Stanno, in singoli filari, sotto al portico d'entrata che circonda il Cortile delle Memorie. Facce di lombardi d'altri tempi, probi e austeri, che al Pio Albergo, donato nel 1767 dal principe Antonio Tolomeo Trivulzio ai milanesi, hanno lasciato denari, case, terreni, per il bene degli anziani e la gloria di un patrimonio che (oggi) an novera almeno mille appartamenti, il palazzo delle Stelline, proprietà terriere, strutture cliniche miliardarie. Ed eccoli gli anziani. In que sto pomeriggio di sole, vanno e stanno tra corridoi e tombole, salottini tv, atelier di pittura, sale di lettura, camere lucidate dal Lisoform. Sono 1200 e hanno facce spesso allegre, rilassate. Niente a che vedere con certe immagini da cronicario stile Dickens o Balzac, niente ombre, niente odore di bollito o muffa o alcol. Qua non ti aspetti di incontrare la perfida caposala sadodepressa, ma proprio questa signora con i capelli azzurri, lo scialle, i ferri da calza in azione, la voce pimpante: «Uè giovanotto, il signor Chiesa, per me è stato un bravo ragazzo. Dicono che abbia rubato, non discuto, ma tante belle cose per noi le ha fatte. Sono qui da undici anni. Prima del signor Chiesa, si stava peggio». E ora? «Uguale». «A me mi ha messo il computer» fa il Federico, paralizzato su una sedia a rotelle, responsabile della «Sala lettura», 23 anni di degenza. Uno che dopo un minuto di chiacchiere già ti prende il braccio e ti fa una confidenza speciale: «Qui hanno rubato sempre tutti. Uno, appena esce dalla truppa e diventa generale, diventa, mettiamo, presidente, ale, comincia a grattare. Ma almeno il Chiesa ha ripulito, allargato, costruito». Tanta laica solidarietà stupirà i moralisti, non l'Ugo Garbarmi, professore e primario con la sua borsa di cuoio e l'occhio svelto: «Sa come chiamano gli anziani negli ospedali? Pacchi. Perché hanno degenze lunghe, occupano un letto, danno fastidio. Quando uno dei nostri si rompe un femore, facciamo fatica a farlo ricoverare. Gli ospedali proprio non li vogliono. E allora l'ingegner Chiesa, che in questi sei anni ha fatto Il nuo«ChiePiù fail giro costruire reparti, sale operatorie, ambulatori, non ha mica buttato via i soldi. Certo, è giusto scandalizzarsi se uno intasca tangenti, ma dia ascolto a me, ci sono ospedali e case di cura dove si ruba, senza neanche comprare un letto in più. Si ruba e basta». E' vero, qui ci sono «sale ope- ratorie meravigliose», come dicono i due giovani medici che navigano nel corridoio lungodegenti. Peccato che siano chiuse. Peccato che l'ingegnere le abbia fatte e arredate senza uno straccio di autorizzazione. Peccato che la Regione Lom¬ bardia non ne sapesse nulla. Si arrabbia l'Antoniazzi - che è ora di presentare per bene: 53 anni, cresciuto a pane e sindacato, scuola quadri della Cisl, funzionario, poi segretario cittadino per i metalmeccanici dal '68 al '78, poi segretario regionale, pupillo di Camiti, uno che parla di operai, valori, lotta, etica sociale, abnegazione, giustizia, democrazia, progresso, insomma uno per bene - che adesso, proprio si arrabbia. «Chiesa costruiva perché faceva girare i soldi e più giravano soldi, più c'erano tangenti. Delle autorizzazioni, della legalità se ne fotteva proprio. Perché lui credeva alla Madonna, cioè a Craxi, cioè al potere socialista. Il giorno che tutto era pronto, le autorizzazioni in Regione saltavano fuori in un minuto o due». Di questo percorso all'incontrario - prima fare, poi dire Mario Chiesa è stato un maestro. Al processo, davanti a Di Pietro, ne ha rivendicato gli ef¬ fetti con linguaggio da verbale: «Ricordo che quando arrivai, il Pio Albergo Trivulzio era luogo ove la gente andava solo a morire e vi era ovunque odore di urina». E ha aggiunto: «Io l'ho fatto diventare un orologio svizzero». E allora avanti con il pellegrinaggio tra le lancette dell'orologio. Reparto cucina: sequenza di giocattoli d'acciaio grandi come vasche da bagno, dove fumano i 3.200 pasti quotidiani. Il capitano di questo ventre da transatlantico ha il cappelluccio bianco da cuoco e il sorriso soddisfatto del ristoratore. Si chiama Magugliani, parla a raffica: «1300 pasti a mezzogiorno, 1300 a cena, quattrocento di self service, duecento di diete speciali. Si cuoce, si sterilizza e via, si distribuisce. Mai fermi. Ciclo continuo. Son venuti i carabinieri dei Nas, una volta, e in tutto hanno trovato una zanzara fuori posto. Qui è tutto perfetto». Che sia anche questo merito di San Mario Chiesa? «Beh, effettivamente ha fatto tutto lui, 'sta roba». Effettivamente. «Per esempio i dietologi li ha inventati lui». Addirittura. «Non inventato, assunti. Prima se un malato stava così e così con le glicemie, mi dicevano: diamoci del riso scondito. Adesso no. Mi arrivano le tabelle con il tot di calorie, il tot di grassi, facciamo la comesichiama, la dieta calibrata». Si interrompe il Magugliani e fa: «Anche l'idea delle torte è sua». Torte? «Per i compleanni degli ospiti. Oggi ne devo fare tre: ottant'anni, ottantatrè e settantanove». Fa 242 candeli- Ma ill'ex dpersiper lane. «E le mettiamo tutte». Ma una torta per San Chiesa, una torta di mele per questo primo anniversario la cucinerà? «Ma no... Il passato è passato». Ha fretta di lavorare il cuoco capitano e allora bisogna risali re, prendere l'ascensore, passa re i silenzi del reparto malati terminali, approdare al salone, dove ogni Natale, ai tempi d'oro, veniva il Pillitteri sindaco a fare gli auguri, passava Bettino Craxi, il garofano fiammeggiava qua e là e il «mariuolo» gongolava davanti ai fotografi, perché finalmente era entrato nel giro grosso, poteva frequentare la famiglia, muovere i suoi 7 mila voti in favore di Bobo «a cui, ci tengo spontaneamente a precisare, non ho mai versato alcuna somma di denaro». Ora nel salone c'è folla. Almeno in cento - sedie, poltrone, carrozzelle - ascoltano l'animatore che fa: «Undici!» e poi «Sette!» e poi «Trentuno!». E la signora Viola, novant'anni e bambola in braccio, ha un sussulto, sussurra: «Cinquina». «Hanno la passione della tombola qui - spiega Gino, 35 anni, animatore -. Stanno insieme, chiacchierano, si giocano le merende, oppure gli scialli». Grande produzione di scialli qui, e calzette per i nipoti, e berretti per la notte. Quasi ogni donna ha un gomitolo accanto. Pure la Maria: «Scusi, ma lei è venuto qui per lo scandalo? Guardi che è tutto finito. Lo hanno già condannato e hanno fatto bene: chi ruba paga, no?». Già, mica l'hanno ancora cambiata la legge, là fuori, dove abitano, lavorano e si arrabbiano gli abitanti di Tangentopoli. «L'ho visto ancora ieri in tv il Chiesa - ci informa il signor Roberto, 86 anni, caffè e savoiardi sul piattino -. E' diventato famoso». «Bella roba, ha fatto diventare famosi anche noi. Ma non è pubblicità. E' vergogna». E un altro: «Ma lo sa che oggi è la festa dei gatti? Lo sa che una volta, tanti anni fa, mia moglie ha buttato nella pentola la pasta e anche i fiammiferi? Era distratta mia moglie». E un altro: «Non lo ascolti il Luigi, non c'è più con la testa. Vada a prendersi un caffè». Il bar è qui di fianco, dietro al bancone, sotto al cartello «Niente alcolici», va di straccio e spugna Raffaele, milanista. Se gli chiedi come funziona tut ta la baracca, ora che è arrivato il commissario Antoniazzi, li¬ sponde: «E' come Capello quan- do ha sostituito Sacchi : la squa- dra continua a viaggiare che è una meraviglia. Garantito». Di questo paragone sorride Sandro Antoniazzi: «Qui faccia- mo fatica a rimettere in ordine i conti, Altroché. Ho calcolato che 22 mila lire al giorno di retta, per ogni ospite, se ne vanno in debiti. Mica uno scherzo». Scusi Antoniazzi, ma a lei chi glielo ha fatto fare, di prendersi questa rogna? «Il mio senso di responsabilità. Quando Borghini mi ha chiamato, ho detto sì». Già, il Borghini... «Eh, poveraccio, non ce l'ha fatta a resistere. Ci ha provato, da galantuomo. Ma troppi guai, troppi arresti, troppi tradimenti. Qui bisogna andare a nuove elezioni e basta. Oggi gli ho mandato un telegramma». Torniamo al suo senso di responsabilità. «Il Trivulzio è una istituzione che i milanesi amano moltissimo. Da duecento anni appartiene alla loro storia, al loro orgoglio. Ho sentito che dovevo accettare». Un posto scomodo, un lavoro faticoso, uno stipendio minimo. Giusto? «Lo stipendio di Chiesa era di 7 milioni al mese, più i gettoni di presenza. Il mio è di un paio di milioni, ma senza contributi, senza tredicesima. Io ci metto passione». Fino a quando? «Altri dodici mesi, forse. Ma se domani mi dicessero, prego si accomodi e grazie, io torno di corsa al sindacato». Le manca? «Ci sono nato dentro». Qui cosa ha fatto? «Ho rimesso a posto le carte. Ho cercato di non fare inceppare la macchina, ho guardato dentro ai debiti». Racconta Antoniazzi che il ruolo del Trivulzio è «potenzialmente» immenso. «Lo sa che Milano è la città più vecchia d'Europa? Noi possiamo fare molto. Aprirci sul territorio, usare il nostro patrimonio immobiliare per creare comunità alloggio. Fare per gli altri: questa è la politica che mi piace». Tamburella sulla scrivania: «E invece gente come Mario Chiesa ha snaturato la politica, l'ha distorta e poi svuotata. Se lei venti anni fa entrava, mettiamo all'assessorato per l'assistenza sociale, trovava gente che discuteva, inventava, progettava. Oggi è tutto deserto. Gli impiegati alle cinque e un minuto spariscono. Sì, le tangenti sono state un guaio, ma il danno peggiore è nel nulla che si sono lasciate dietro. Hanno prosciugato ogni passione, ogni voglia di impegnarsi». Lo ha incontrato Mario Chiesa? «Un paio di volte al processo». Impressione? «Pessima». Che effetto le fa stare dietro alla sua scrivania? «Se posso dirlo: sollievo». Si guarda intorno l'Antoniazzi, svaga tra arredi settecenteschi e ritratti di benefattori. «Certo che da questa stanza è partito un bel terremoto, no?». Oh, già. Come direbbe il cantautore: questa stanza non ha più pareti, ma alberi infiniti. E ogni foglia un paio di inquisiti Pino Corrias i Il nuovo commissario «Chiesa costruiva di tutto Più faceva, più era alto il giro delle tangenti» Ma il cuoco difende l'ex direttore: ha voluto persino le candeline per la festa degli anziani UN ANNO DI SulL, Vialingresso della Baggina il «Pio Albergo» che era presieduto da Mario Chiesa Nella foto grande l'ingresso della Baggina il «Pio Albergo» che era presieduto da Mario Chiesa A sinistra l'ingegner Mario Chiesa primo imputato neila inchiesta «Mani pulite» In basso il giudice Antonio Di Pietro

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