Giordano Bruno l'ultima sfida è un testamento di 300 pagine

Fruì suoi giudici primeggiava il cardinale Bellarmino, che poi fu fatto santo Il teologo ribelle Drewermann immagina un diario del filosofo prima di salire al rogo: atto d'accusa contro la Chiesa Giordano Bruno, l'ultima sfida è un testamento di 300 pagine EUGEN Drewermann, il teologo ribelle e sospeso dall'insegnamento, alza il tiro e lancia contro la Chiesa un siluro, il cui colpo si farà sicuramente sentire anche negli ambienti ovattati e insonorizzati del Vaticano. Ma non sarà devastante, sia perché il cattolicesimo ha sempre dimostrato di saper resistere agli assalti, per quanto rabbiosi, della filosofìa, sia perché Drewermann ha inumidito la carica un po' con la bava della collera e un po' con le lacrime della retorica. L'idea, comunque, è geniale e la mira precisa. Nel suo ultimo libro, pubblicato di recente dall'editore Kòsel di Monaco con il titolo Giordano Bruno oder der Spiegel des Unendlichen (Giordano Bruno o Lo specchio dell'Infinito), il teologo immagina che alla più illustre vittima dell'Inquisizione vengano dati trecento fogli di carta, affinché possa rievocare in prima persona le vicissitudini della sua vita tragica e tempestosa. E' il 26 dicembre 1599 e il grande filosofo, che ormai si trova da circa otto anni nelle carceri romane del Sant'Uffizio, pensa che lo uccideranno all'alba del nuovo secolo. Non gli resta, dunque, che una settimana di vita. In realtà, prima del rogo passerà ancora più di un mese e mezzo; ma questo lui non lo sa e annota: «Evidentemente hanno deciso la mia morte e questi trecento fogli rappresentano il mio ultimo pasto. Boccone per boccone e scrivendo cinquanta fogli al giorno, devo prepararmi alla fine. Un fuoco d'artificio cinese non potrebbe rischiarare abbastanza, per loro, il nuovo secolo: essi hanno bisogno della luce del mio rogo, per mostrare a se stessi e al mondo intero che non c'è e non ci potrà mai essere una nuova era». L'autore avverte che tutti i nomi, i dati, i fatti e documenti contenuti nel libro sono autentici. Infatti si avvale ora dei costituti veneti, vale a dire di quello che lo stesso Bruno dichiarò dinanzi al tribunale di Venezia, ora delle varie biografie e ora delle opere del filosofo. Insomma, l'intelaiatura è stori- Fruprimil cache p ca e l'ordito è di Drewermann, il quale però spesso aggiunge trine e merletti per conto proprio. Il teologo introduce elementi estranei in una cupa tragedia, che è già tanto eloquente di per sé, e rischia di snaturarla. Esempio: per imbastire una inutile tiritera psicologica, introduce la figura di una fantomatica «Diana», che avrebbe folgorato il filosofo sulla spiaggia di Noli e segnato il «giorno più decisivo» della sua vita. E' vero che Bruno soggiornò per alcuni mesi nella bella cittadina ligure; ma, braccato dall'Inquisizione, aveva tutt'altro per la testa che donne peccaminosamente belle e a spasso con un «cane» sulla «Riviera di Ponente». No, ciò che mancava a Bruno non era una donna, come pensa Drewermann, bensì il pane e la pace per scrivere i suoi libri. Comunque l'ossatura del libro, tolti certi svolazzi retorici, è robusta e ben costruita. Oltre a disporre di una vasta cultura, anche nel campo strettamente filosofico e perfino scientifico, l'autore ha la parola scaltra e la penna affilata. Ciò che Drewermann mette in bocca a Giordano Bruno è o documentato o verosimile o per la maggior parte plausibile. Chi narra è sempre il filosofo stesso e questo accorgimento conferisce maggiore efficacia al libro. Qui abbiamo una rievocazione spaventosa del fanatismo che, in nome del buon Dio, insanguinò l'Europa e mandò al rogo lo spirito. E ce n'è per tutti: per i cattolici e per i protestanti, per i luterani e per i calvinisti. Quando si abbottona male il primo bottone della camicia, tutti gli altri vanno fuori posto: così diceva Giordano Bruno parlando del proprio destino. E infatti la sua vita somiglia a una tragedia in cinque atti: infanzia, giovinezza, esilio, processo e condanna al rogo. Ma mentre sono abbastanza noti gli ultimi atti, sappiamo relativamente poco sui primi. Abbiamo solo degli squarci e questo rende ancora più cupa la tragedia, così come i brevi lampi rendono più sinistra la notte. «Ciò che scrivo qui - gli fa dire Drewermann all'inizio del libro - è un testamento. Però esso è scritto solo per me». Non per gli altri? Ma certo: egli sa che le sue teorie non moriranno mai e che contro la verità non possono far nulla neppure le fiamme di un rogo ordinato dall'Inquisizione in nome dello Spirito Santo. E così rievoca la sua vita di preda braccata, ma anche di falena attratta dalla luce. Fuggito all'inizio del 1576 dal convento domenicano di Napoli, Bruno prima erra a zig-zag per l'Italia settentrionale, passando da Noli a Venezia e da Venezia a Torino, poi attraversa le Alpi e va in giro per l'Europa. Di se stesso dice che è «nudo come Biante», ma più tardi Hegel lo chiamerà «una meteora attraverso l'Europa». Lo troviamo a Chambéry, poi a Ginevra, dove i calvinisti gli dimostreranno di essere molto più fanatici e pericolosi dei cattolici. Non hanno forse bruciato vivo Michele Serveto? Il filosofo riprende la marcia ed eccolo a Tolosa, chiamata «la città rossa» perché costruita quasi tutta di mattoni. Ma in quel tempo, a Tolosa, era rosso o addirittura corrusco anche il cielo, in quanto, come riferisce Rabelais, quelli che cadevano in sospetto di eterodossia venivano bruciati vivi «a guisa di aringhe affumicate». Questa orribile sorte toccò, nel 1619, anche al filosofo Giulio Cesare Vanini. Tolosa, dunque, poteva essere una trappola mortale per Bruno. Ma gli andò bene e potè anche insegnarvi per due anni filosofia. Poi, alla minaccia di una nuova guerra tra cattolici e ugonotti, riprese a girovagare: Parigi, Londra, Oxford, ancora Parigi, Marburg, Wittenberg, Praga, Helmstedt, Francoforte, Zurigo e poi di nuovo Francoforte, dove lo raggiunse un invito molto allettante del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, con tutta probabilità spia o agente dell'Inquisizione. L'incauto abboccò e fu la sua rovina. Drewermann coglie certamente nel segno, quando fa dire al filosofo che a spingerlo nella trappola fu soprattutto la struggente nostalgia per il cielo italiano. Suonano stonate, invece, queste parole: «Tu, miserabile Mocenigo, bastardo nato dall'accoppiamento di una serpe con uno scorpione, mostro di frode e di malvagità, tutto è cominciato da te». In realtà, Bruno non pronunciò una sola parola di odio verso il suo infame delatore: la grandiosità del suo carattere morale non comportava sentimenti di rancore o di vendetta. Il 23 maggio del 1592, il teorizzatore dello spazio infinito fu gettato in carcere, prima a «Forvoi, quesche Venezia e poi a Roma. Qui la penna di Drewermann-Bruno sembra intinta nel sangue e ciò che scrive è raccapricciante. La mattina del 17 febbraio 1600, il filosofo, scortato da una batteria di frati salmodianti e con la mordacchia che gli impediva finanche di respirare, fu condotto in Campo de' Fiori, spogliato nudo, legato a un palo e dato alle fiamme. Giorni prima, lo avevano costretto ad ascoltare in ginocchio la condanna al rogo. Ma alla fine Bruno, pur martoriato nella carne e nello spirito, scattò in piedi e, con la voce terribile dell'innocenza, disse ai suoi giudici, fra i quali primeggiava il cardinale Roberto Bellarmino, fatto poi santo: «Forse avete più paura voi nell'emettere questa sentenza che io nel riceverla». Con queste parole si chiude anche il libro e Drewermann, che s'immedesima in Bruno fin quasi a diventarne una seconda natura, le scaglia come una sfida contro i suoi nemici. Anacleto Verrecchia Fruì suoi giudici primeggiava il cardinale Bellarmino, che poi fu fatto santo «Forse avete più paura voi, nelVemettere questa sentenza che io nel riceverla» Eugen Drewermann, teologo ribelle e sospeso dall'insegnamento. Nel suo ultimo libro «Giordano Bruno o Lo specchio dell'Infinito» si immedesima nella figura del grande eretico morto sul rogo a Roma, in Campo de' Fiori, il ^febbraio 1600 Sopra, Giordano Bruno. «Devo prepararmi alla fine - gli fa dire Drewermann nel suo libro -. Un fuoco d'artificio cinese non potrebbe rischiarare abbastanza, per i miei nemici, il nuovo secolo: hanno bisogno della luce del mio rogo, per mostrare a se stessi e al mondo che non c'è e non potrà mai esserci una nuova era»