Tangenti-Piemonte inquisito Bonsignore
Gli appalti del nuovo ospedale di Asti. Il sottosegretario: dimostrerò la mia estraneità Gli appalti del nuovo ospedale di Asti. Il sottosegretario: dimostrerò la mia estraneità Tangenti-Piemonte, inquisito Bonsignore Nel mirino dei giudici una mazzetta da un miliardo e mezzo TORINO. L'onorevole de Vito Bonsignore, sottosegretario al Bilancio, è ufficialmente entrato, con un avviso di garanzia per concorso in concussione, nel clan dei politici sotto inchiesta per le tangenti. Nei verbali che lo riguardano c'è una mazzetta di un miliardo e mezzo, chiesta e forse ottenuta per l'appalto del nuovo ospedale di Asti. Con il suo nome è venuto a galla anche un grande piano deciso a Roma, un patto di ferro tra de e psi per mettere le mani sui 30 mila miliardi stanziati dall'allora ministro della Sanità Carlo Donat-Cattin per opere di costruzione e ristrutturazione nelle Usi di tutta Italia. Con Bonsignore inquisito, la Tangentopoli torinese esce allo scoperto, dopo mesi di indagini con la sordina. Un salto di qualità, che promette a stretto giro di posta arresti importanti, altri avvisi di garanzia eccellenti. Con un tempismo praticamente perfetto, i magistrati torinesi hanno alzato il tiro a dieci anni esatti da un'altra storia di tangenti che fece epoca, ma rimase circoscritta a Torino: era il 2 marzo 1983, un certo Adriano Zampini raccontò a un pm che si chiamava Giorgio Vitari gli affari poco puliti che coinvolgevano un po' tutti i partiti. Le giunte di sinistra (Novelli in testa) ne fecero le spese. Oggi il vecchio Zampini si fa gli affari suoi, traffica in immobili e titoli azionari (rubati). Di tutt'altra pasta è il suo erede, tale Antonio Savqino, architetto e massone, che ha deciso di fare le cose alla grande, sulla linea di Mario Chiesa: «Avete incastrato me, io vi aiuto a incastrare tutti gli altri». Arrestato martedì scorso per corruzione, in una settimana ha buttato all'aria il sistema che re¬ golava gli affari a Torino e in Piemonte. E così ha tirato in mezzo politici e portaborse, assessori, imprenditori, gente già finita sotto inchiesta a Milano. Di tutto un po', compreso l'onorevole Vito Bonsignore, accusato di aver preteso una tangente di un miliardo e mezzo dalla cordata Borini-Cogefar-Ruscalla, in guerra contro Salvatore Ligresti per aggiudicarsi l'appalto per la costruzione del nuovo ospedale di Asti. Un complesso che sarebbe costato 235 miliardi. Mai realizzato: la gara è stata recentemente annullata dal Tar, ma nel frattempo era già scoppiato lo scandalo. Tutto comincia a margine delle indagini che il sostituto procuratore Vittorio Corsi conduce sulle tangenti nelle Usi torinesi. Nell'inchiesta finisce anche Savoino, manager tuttofare con budget miliardario, grande manovratore degli appalti legati alla sanità. Un'autorità, nel suo campo. Nessuno osa contrastarlo, ma all'Usi di Asti il suo arrivo come direttore dei lavori scatena le polemiche. Ad Asti, per i 235 miliardi dell'ospedale, è scoppiata una guerra: Borini-Cogefar-Ruscalla contro la Grassetto di Ligresti. Savoino spiega: la prima cordata è sostenuta dai socialisti di La Ganga, e dai de, corrente Goria. Ligresti conta sull'appoggio degli andreottiani di Vito Bonsignore. Savoino è l'ago della bilancia. Ligresti mette sul piatto sei miliardi di tangente, e l'appalto sembra suo. Ma qualcosa manda tutto all'aria: vince la Borini. Savoino spiega ancora: ha vinto perché si è assicurata l'appoggio degli andreottiani. Come? Ha dovuto pagare un miliardo e mezzo. L'inchiesta decolla: il pm Corsi e il gip Sorbello sentono come testimoni Salvatore Ligresti, Giusi La Ganga, Vito Bonsignore, il ministro Goria. Poi partono gli arresti: in carcere finisce il portaborse di Bonsignore Aldo Genta, impiegato di banca che Bonsignore sconfessa subito: «Mai conosciuto». Poi tocca a Ezio Astore, fedelissimo di Bonsignore, vicepresidente della Provincia di Torino. Anche lui in galera, dopo due giorni dice qualcosa, e tira in ballo gli ex segretari amministrativi de e psi, Citaristi e Balzamo. Già, i socialisti. L'altro ieri è finito in carcere l'assessore regionale alla Sanità, il socialista Eugenio Maccari. L'accusa: pilotava in Piemonte il comitato d'affari dei miliardi di Donat Cattin. Corruzione. Per i fedelissimi di Bonsignore, Astore e Genta l'accusa è invece di concussione, in concorso con un'altra persona. Negli ambienti politici i nemici di Bonsignore hanno giocato al toto-avviso di garanzia: «Adesso tocca a lui, tempo due giorni e gli arriva». Buoni profeti. L'onorevole ha ricevuto l'avviso a Torino, nel suo ufficio di via Piffetti 3. E ha diffuso un comunicato: quattro righe, per ribadire «la propria estraneità agli episodi oggetto dell'indagine». Una promessa: «fornire ai giudici la massima collaborazione, al fine di chiarire la propria posizione». Potrebbe non aspettare la richiesta di autorizzazione a procedere, e presentarsi spontaneamente ai giudici. Che sono tre: Marcello Maddalena, procuratore aggiunto, coordinatore delle più importanti inchieste sulla criminalità organizzata e sui reati contro la pubblica amministrazione. Sebastiano Sorbello, giudice per le indagini preliminari, protagonista di indagini pesanti, tutte sul fronte politico-amministrativo. E Vittorio Corsi (di Bosnasco, conte), piglio anglosassone, tutto Barbour e giacche di tweed. Pubblico ministero nel maxi processo per lo scandalo petroli, fra gli imputati i vertici della Guardia di Finanza. A chi gli dice «ma allora è proprio lei, il Di Pietro di Torino», risponde con un'alzata di spalle: «Io? Ma vorrà scherzare?». Brunella Giovare Nino Pietropirrto
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