Borghini abbandona Milano senza giunta

L'arresto dell'assessore psdi ha innescato la crisi. Due mesi di tempo per evitare le elezioni L'arresto dell'assessore psdi ha innescato la crisi. Due mesi di tempo per evitare le elezioni Borghini abbandona, Milano senza giunta Lascia nell'anniversario di Tangentopoli MILANO. Kaputt. Ottanta righe per dire addio alla giunta e alla poltrona di sindaco, dopo 395 giorni di govèrno terremotato da tutto: carabi di maggioranza, dimissioni, arresti. Si arrende Piero Borgbini e ai suoi 80 consiglieri scrive: «Non mi pare esista più una reale volontà da parte dell'intera maggioranza di portare a compimento l'esperienza - che continuo a considerare unica e positiva - della giunta di "responsabilità civica"». La maggioranza (42 consiglieri) messa insieme da Borghini, dopo una crisi a metà percorso, aveva l'eclettismo dell'emergenza: democristiani (ma non tutti), socialisti (ma non tutti), liberali, pensionati. Lega Nuova, mur (movimento di unità riformista), un paio di indipendenti, un socialdemocratico. Cinque giorni fa, proprio quest'unico socialdemocratico, Pierfranco Giuncaioli, assessore al Commercio, spedito a San Vittore dai giudici (tangenti), ha innestato la nuova valanga, l'ultima. Aprono il fuoco - 48 ore fa - i liberali che fanno sapere di «essere favorevoli a elezioni anticipate». Egidio Sterpa, l'ex ministro liberale, rincara: «Che la giunta Borghini sia arrivata al capolinea non c'è dubbio alcuno». Seguono (per disorientamento o nervosismo) i socialisti. Pino Cova, capogruppo psi, mette le mani avanti: «Non ci sarà caccia al quarantunesimo consigliere». I de si accodano. Il più radicale è Diego Masi, uomo di Segni. Convoca i giornalisti per annunciare che negherà il proprio voto a Borghini. «E' venuto il momento di far capire ai politici romani che non si può più andare avanti così». E ancora: «Lo scontro non è più sulle cose da fare, ma tra chi vuole rompere con la partitocrazia e chi tenta disperatamente di salvarla». Lo spago che tiene insieme la maggioranza si slega. Rifondazione, pds, missini hanno una sola parola d'ordine: «Andatevene». Spuntano soluzioni improbabili, veri neologismi da crisi irreversibile: «giunta calendario», «governo di garanzia consiliare». Ma il clima, fuori da Palazzo Marino, si fa pesante assai. L'altra sera i consiglieri vengono accolti (da giovani missini) con uova marce e pomodori. I repubblicani - sollecitati in extremis ad appoggiare una maggioranza che non c'è più dicono no a qualsiasi collaborazione. Detta Zorzoli: «Non daremo il voto politico a Borghini. Se non ce la fa, tanto vale che venga il commissario». Dunque è proprio finita. Piero Borghini - mandato da Bettino Craxi a sostituire Paolo Pillitteri - prende carta e penna e alle 18 consegna il suo addio: «Ho presieduto questa giunta nella con¬ vinzione profonda che essa rappresentasse una risposta positiva alla gravissima crisi aperta dagli sviluppi dell'indagine giudiziaria sul sistema delle tangenti». Qualcosa è stato fatto, dice l'ex sindaco, in questi mesi di burrasca: «Per la Fiera, per le dismissioni del patrimonio comunale, per lo sviluppo della metropolitana». Ma il tempo e gli eventi (giudiziari) hanno viaggiato troppo in fretta. «Credo allora che continuare in queste condizioni, senza un chiarimento politico di fondo, sia impossibile. Se esiste nel Consiglio qualcuno capace di indicare una soluzione più valida», «si faccia avanti». Da oggi inizia il conto alla rovescia dei 60 giorni. Poi arriverà il commissario. Poi le elezioni. Tangentopoli ogni giorno fa pranzo e cena con le sue vittime e nessuno sa quanto resterà di Palazzo Marino, il giorno delle urne. [p. e]

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