Zdanov vorrei averlo stampato

polemica. L'editore sotto accusa: chiese a Togliatti la prefazione al padre del «realismo socialista» polemica. L'editore sotto accusa: chiese a Togliatti la prefazione al padre del «realismo socialista» Zdanov, vorrei averlo stampato Einaudi si difende: «Era una provocazione» PROMA ROCESSO a Giulio Einaudi. Capo d'imputazione: stalinismo. Anzi: zda Inovismo, il poggio del peggio dello stalinismo, a parte s'intende le purghe e i gulag, perché il signor Zdanov era - come ormai si impara al liceo - il Grande Inquisitore della cultura sovietica negli anni stalinisti. Che fatti si addebitano al fondatore della casa editrice torinese? Il progetto di un libro: un'antologia degli scritti di Zdanov con prefazione critica di Togliatti. Reato - posto che lo fosse - tentato e non realmente perpetrato, perché Togliatti declinò l'invito, suggerendo all'editore di rivolgersi a Pajetta. Il libro non si fece. Ma negli archivi del pei (Fondo Togliatti, all'Istituto Gramsci) restarono due lettere che documentano il progetto abortito: la richiesta di Einaudi e la risposta di Togliatti. L'Espresso le ha tratte dall'oblio, pubblicandole come uno scoop. «Quando Einaudi tifava per Zdanov», dice lo «strillo» sulla copertina del settimanale. I documenti d'archivio, come si sa, possono essere molto ambigui, senza un'interpretazione. Davvero l'editore del Politecnico di Vittorini - la rivista che scherniva i pifferai della rivoluzione voleva diffondere in Italia l'opera e i dogmi di Zdanov? Sul Corriere della Sera di ieri, l'ex comunista Saverio Vertone, una delle firme di via Solferino, vede nelle due lettere la prova di una soggezione di Einaudi al pei e a Togliatti, aggravata dall'ignoranza politica, perché non avrebbe saputo del dissenso fra Zdanov e il Migliore. Per Vertone, Einaudi è «un editore-cortigiano»; e un conformista snob nel suo spregio per gli «intellettuali borghesi». In attesa che si pronuncino gli storici, diamo la parola all'imputato. Ecco, nell'intervista, come Einaudi risponde agli accusatori. Lei ricordava queste lettere o vederle pubblicate è stata una sorpresa? «Sono documenti già noti, visti dallo storico Gabriele Turi, che in un suo libro, Il fascismo e il consenso degli intellettuali uscito dal Mulino nel 1980, dà cenno delle due lettere, con il senso che realmente avevano». E quale senso realmente avevano? «Quello di chiedere a un nemico di Zdanov una prefazione agli scritti del medesimo Zdanov. Io sapevo benissimo che Togliatti era molto critico nei confronti di Zdanov. Volevo far uscire questo suo dissenso. Si trattava di creare un corto circuito, com'è nella tradizione della casa editrice. Ma Togliatti non intendeva esporsi: m'aveva abilmente risposto di no, indicandoci Pajetta. Naturalmente, noi a Pajetta non ci siamo rivolti. Perché il libro sarebbe diventato un'altra cosa». Ma in quel periodo la casa editrice aveva dei libri che fossero contro lo zdanovismo? «Su proposta, credo, di Delio Cantimori e Febee Balbo, avevamo pubblicato, nello stesso 1948, il saggio di un gesuita: // materialismo dialettico sovietico, di Gustav Andreas Wetter, S. J. Suscitò discussioni e venne attaccato dalla critica comunista». Qual era la vostra posizione nei confronti del segretario del partito comunista? «In casa editrice siamo partiti approvando la linea di Togliatti, quella della svolta di Salerno. Ma dopo la stretta del Cominform, non abbiamo chiuso gli occhi. Abbiamo accolto le critiche che si muovevano all'Unione Sovietica. Fino al 1956, quando io scrissi una lettera a Togliatti chiedendogli di condannare l'in¬ vasione dell'Ungheria. E lui attaccò la cellula eretica dei comunisti einaudiani. Ma sono tutte cose note». Lei fece a Palmiro Togliatti altre proposte editoriali? «Ero abituato a fargli richieste un po' provocatorie. Una volta gli chiesi - grazie al cielo non ne è rimasta traccia in alcun archivio, sennò chissà cosa scriverebbero - un libro di memorie sull'esperienza al Comintern. Lui nicchiava. La proposta di curare un'antologia zdanoviana aveva lo stesso senso provocatorio». Le viene rimproverato di usare espressioni - nella lettera incriminata - che suonano apologetiche nei confronti dello stalinismo. Per esempio: «Far capire agli intellettuali la enorme importanza di Zdanov». Erano indispensabili queste espressioni? «La lettera è infiorata di diverse considerazioni, anche diplomatiche, per la semplice ragione che era una lettera molto ufficiale, che sarebbe stata letta in una riunione della segreteria del partito». Ma lei, Einaudi, era comunista? «E' una questione controversa. Nel senso che io non ho mai avuto la tessera. Però ero considerato un compagno. Non hai la tessera, mi dicevano, ma sei compagno fin dal '43. Me lo diceva Eugenio Reale, un'eminenza grigia del partito, con un ruolo come quello di Rodano ai tempi di Berlinguer. Però formalmente non sono mai stato comunista, per cui non posso dirmi neppure ex comunista. Forse per questo non ho quel rancore verso i comunisti che hanno molti ex». Quel progetto Zdanov-Togliatti era stato condiviso da altri in casa editrice? «Questa è una domanda interessante, a cui non è facile rispondere, perché la memoria mi falla. In genere c'era una certa autonomia nel fare le proposte. Uno chiedeva qualcosa a qualcuno e solo dopo aver avuto una disponibilità di massima portava il progetto in discussione per l'approvazione. Forse su Zdanov poteva esserci l'accordo di Balbo, che in quel momento era molto interessato a creare discussioni e provocazioni sui testi marxisti». Vertone la definisce cortigiano e snob. Che cosa risponde? «Non me ne importa niente. Io difendo la casa editrice se l'attaccano. Per la casa editrice divento una iena. Se attaccano me, acqua fresca. Vertone è uno di quegli ex comunisti pieni di livore per il loro ex partito». Cambiamo domanda: lei è stato stalinista? Oppure, ha peccato di stalinismo? «Io sono stato stalinista, maoista, castrista, perii Vietnam, con gli studenti americani, con Malcolm X, col Sessantotto. Non sono stato solo con le Br che ammazzavano. Però sono io, con il mio estremismo, che magari è soprattutto verbale. La casa editrice è un'altra cosa. La casa editrice è la ragione e la scienza di chi ci lavora, come Bobbio, come Venturi». Ma se quel libro di Zdanov a cura di Togliatti fosse nel catalogo dei sessantanni della casa editrice, lei sarebbe contento o no? «Era un'idea seria e bella. Togliatti non era un politico dozzinale. E' il più grande uomo politico italiano del dopoguerra. Se avessimo in catalogo quel libro ancora oggi uno se lo andrebbe a leggere. E ci troverebbe delle idee per capire cosa sono stati quegli anni, invece di trasformare la storia in pettegolezzo». Alberto Papuzzi E le sue espressioni apologetiche, in stile stalinista? «Ma no, solo considerazioni diplomatiche» L'editore Giulio Einaudi. Dagli archivi del pei sono emerse due lettere a Togliatti: voleva pubblicare un'antologia del burocrate staliniano «far capire agli intellettuali la enorme importanza di Zdanov». Nella foto piccola in alto, Palmiro Togliatti. Sotto, Andrei Zdanov

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