Tangenti ai politici 10 mila miliardi

Ecco quanto è costato al Paese il sistema del finanziamento occulto smascherato da Di Pietro Ecco quanto è costato al Paese il sistema del finanziamento occulto smascherato da Di Pietro Tangenti, ai politici 10 mila miliardi Le mazzette contribuiscono al 15% del debito pubblico «Sciocchezze», «episodi isolati», «errori dei magistrati». Rileggendo i quotidiani del marzo-aprile 1992, quando l'inchiesta «Mani Pulite» si impose di prepotenza sulle prime pagine dei giornali, si incontrano sovente queste affermazioni da parte di esponenti politici magari anch'essi finiti successivamente sotto inchiesta. Quando non si negava sdegnosamente tutto, si ammetteva, con una certa sufficienza, che tra la miriade degli iscritti al partito o alla «corrente» qualche mela doveva pur essere marcia. I fatti successivi hanno rivelato che il marciume, ossia la pratica delle tangenti, è ben più diffuso e costituisce anzi una componente abituale della vita politica italiana. L'estensione del fenomeno ha colto di sorpresa gli scienziati sociali, i quali non sospettavano intrecci così vasti. Vi è una sola eccezione, alla quale dobbiamo tutti toglierci il cappello: Gino Martinoli, presidente del Censis. Un suo studio, dal titolo «Il peso dell'illecito nell'economia italiana», già nel 1985 aveva denunciato, lasciando tutti increduli, l'entità del problema. Grazie all'opera della magistratura, ora sappiamo che Martinoli aveva santamente ragione. E diventa importante, anche per una corretta impostazione istituzionale, valutare l'entità, il tipo e gli effetti delle tangenti. Nessuno ha fatto un conto preciso, ma quelle accertate dai magistrati, nel corso delle varie inchieste, ammontano già a centinaia di miliardi, sia pure riferite a vari anni e hanno la tendenza ad aumentare vorticosamente, man mano che l'inchiesta si allarga da Milano all'Irpinia, dalle autostrade agli stadi. - - .- x <* II totale è quindi decisamente più alto. Per cercare di stimarlo occorre chiarire innanzitutto'che cosa si vuole effettivamente misurare. Si scoprirà allora che le tangenti costituiscono un mosaico composito e che i vari tipi producono effetti diversi. Le tangenti più cospicue, e forse anche quelle con maggiore rilevanza politica, sono quelle che si traducono in maggiori costi per lo Stato e per gli altri enti pubblici. E' ovvio che una tangente pagata su una fornitura, per esempio le famose «lenzuola d'oro» delle Ferrovie, oppure su un'opera pubblica, per esempio lo Stadio Olimpico, deve intendersi come un maggiore costo per il committente. Meno ovvio, ma purtroppo vero, come insegna la cronaca, è che si possono fare investimenti pubblici almeno parzialmente inutili allo scopo di lucrare o far lucrare tangenti. Le tangenti non si limitano a gonfiare gli investimenti, li distorcono e li stravolgono. Il lettore può calcolare da sé l'ammontare delle tangenti del 1992 sapendo che gli acquisti complessivi di beni e servizi dell'amministrazione hanno superato in quell'anno i 70 mila miliardi e gli investimenti, effettuati direttamente o indirettamente dall'amministrazione stessa, si sono collocati all'incirca a quota 65 mila miliardi. A questo punto basta applicare una «tangente media», che tenga conto che, per fortuna, esiste una quota superabile di transazioni oneste oppure, come per le bollette dell'energia elettrica o del telefono, sulle quali le tangenti non sono possibili. Ciascuno può stimare come vuole, a seconda del suo grado di pessimismo. Si vede subito, però, che l'ordine di grandezza più probabile è quello delle migliaia di miliardi l'anno. Se, per esempio, si ammette che mediamente su tutte le forniture si paghi il 2-3 per cento di tangenti e su tutti gli investimenti il 5 per cento (tenendo conto anche del costo degli investimenti distorti cui si accennava prima) si otttengono valori attorno ai 5-6 mila miliardi per il 1992. Forse qualcuno riterrà che la cifra sia complessivamente piccola, rappresentando appena lo 0,4 per cento del prodotto interno lordo italiano. Essa non rappresenta che una parte delle tangenti, come si vedrà più avanti, ma ha particolari effetti perversi, tenendo conto che un flusso annuale di queste dimensioni relative si verifica da un numero indefinito di anni. Ogni anno, lo Stato italiano, che già sopporta un forte disavanzo nei suoi conti, ha visto il suo disavanzo aumentare grazie alle tangenti. Una parte dei titoli del debito pubblico sono stati emessi (e rinnovati alla scadenza, con l'interesse consolidato al debito) per pagare il costo delle tangenti. Per conseguenza, una parte non piccola del .debito-pubblico italiano è^oggi certamente dovuta alla pratica delle tangenti. Quanto è grande questo «effetto tangenti» sul debito pùbblico? Ha provato a calcolarlo, a partire dal 1980, il Centro di Ricerca e Documentazione «Luigi Einaudi» di Torino; nella sua «Lettera» economica di febbraio. Applicando un'ipotesi ritenuta ragionevole (1,5 per cento sui consumi intermedi e 7 per cento sugli investimenti pubblici, compresi i sopra accennati effetti distorsivi) giunge alla conclusione che l'effetto tangenti equivale a 110 mila miliardi su un debito pubblico superiore a un milione e seicentomila miliardi di lire. Una quota ragguardevole, dunque. Lo studio nota altresì che la velocità di crescita della quota dovuta alle tangenti è superiore a quella del debito e quindi la percentuale tende ad aumentare: nel 1992, la somma degli interessi sulle tangenti passate e delle tangenti dell'anno si colloca tra i 15 e i 25 mila miliardi (a seconda delle ipotesi di partenza), ossia il 10-15 per cento del disavanzo complessivo del Tesoro. Il che certamente non può fornire una consolazione al cittadino che potrebbe subire nei prossimi mesi un ul- teriore inasprimento fiscale o un taglio della spesa pubblica proprio di tale importo. Purtroppo, però, la storia non finisce qui. Dal calcolo sono escluse altre due importanti varietà di tangenti: le prime sono analoghe alle precedenti, ma sono pagate sugli investimenti delle imprese pubbliche o controllate dal settore pubblico che non fanno formalmente parte dell'amministrazione pubblica, come per esempio l'Enel e le Partecipazioni statali. Le seconde sono costituite da forme di corruzione che, almeno direttamente, non comportano costi per lo Stato ma sono indizio di degrado civile; si va dalle grandi somme pagate da imprese per ottenere un'autorizzazione edilizia alle poche centinaia di migliaia di lire in¬ cassate da un impiegato pubblico disonesto per favorire l'assegnazione di un alloggio, un ricovero in ospedale o qualche altro atto discrezionale. In questi casi si ha un trasferimento diretto dalle famiglie e dalle imprese a quella che si può chiamare la «classe politica», intendendo con questo termine l'insieme di coloro che fanno della politica la loro attività prevalente, come i burocrati di partito, coloro che ricoprono cariche elettive o sono di nomina politica o che comunque incidono a qualunque livello sulle decisioni del settore pubblico o da esso condizionate. Il calcolo di questi trasferimenti è difficile da valutare ma, considerata l'estensione del fenomeno di corruzione che viene alla luce con le inchieste giudiziarie - che tocca pressoché tutte le regioni e pressoché tutti i settori di attività pubblica - è ragionevole aggiungere alcune migliaia di miliardi al totale precedente. I pezzi del mosaico cominciano così a comporsi. Possiamo valutare in 5-6 mila miliardi le tangenti sulla spesa pubblica del 1992 e nell'ordine di grandezza di 10 mila miliardi l'insieme delle risorse finanziarie complessivamente affluite in forma tangentizia (se è ammissibile questo neologismo) alla classe politica sia attraverso i maggiori costi pubblici sia attraverso trasferimenti diretti dei privati che richiedevano decisioni e provvedimenti a loro favorevoli. Si noti che questa stima, necessariamente congetturale, ma confortata dai fatti che vengono via via alla luce, non tende affatto al sensazionalismo ma anzi risulta basata su valutazioni piuttosto prudenti, si può essere inclini a considerarla una valutazione per difetto, un limite minimo dell'entità del fenomeno. Ugualmente un limite minimo è la valutazione fatto sopra del peso delle tangenti attuali e pregresse sul debito pubblico. Se ammettiamo che la «classe politica» sia approssimativamente composta da 250 mila persone, otteniamo che le tangenti incassate nel 1992 equivalgono teoricamente a 40 milioni per addetto. Non si tratta di una somma iperbolica se si considerano le «spese di funzionamento» della macchina politica: viaggi, convegni, alberghi, automobili, telefoni(ni), uffici costano moltissimo e, considerando l'esiguità dei finanziamenti ufficiali, questa cifra appare coerente con le spese di funzionamento della classe politica senza neppure mettere in conto grandi arricchimenti da parte di politici disonesti. La gran parte del ricavato delle tangenti risulta perciò spesa nell'acquisto di beni di consumo e servizi. Questa spesa agisce sull'economia stimolando la crescita di particolari settori; un'improvvisa caduta delle tangenti, oltre agli effetti indiretti (per esempio la paralisi dell'industria delle costruzioni), ha anche effetti diretti nettamente negativi, come di¬ mostrano i tavoli vuoti in ristoranti romani fino a poco fa affollatissimi. Le tangenti, infatti, rappresentano più dell' 1 per cento dei consumi delle famiglie italiane. I redditi incassati dai fornitori stimolano, a loro volta, altri consumi. Liberarsi senza danni di questa componente dell'economia non sarà quindi tanto facile. La tangente è un po' come una droga con effetti economici debilitanti e distorcenti nel lungo periodo; nel breve termine, però, «fa girare il soldo» ed è quindi vista con favore. L'accelerazione imposta dalle tangenti a certi comparti della domanda di beni e servizi di consumo trova la sua contropartita in minori risorse in mano alle famiglie per consumi di altro tipo e in mano alle imprese per investimenti. Se, per ipotesi, l'intero ammontare delle tangenti su forniture e investimenti pubblici fosse stato investito in impianti e macchinari, il livello di questo tipo di investimenti risulterebbe aumentato del 10-20 per cento. Siccome i soldi delle tangenti sono stati largamente spesi nel funzionamento della «macchina politica», risulta difficile pensare a una sorta di «indennizzo» per le tangenti con versamenti adeguati da parte dei componenti della classe politica, come è avvenuto del caso del funzionario milanese Mario Chiesa. Sarebbe probabilmente realizzabile, al massimo, un trasferimento di qualche migliaio di miliardi, in gran parte sotto forma di immobili, dall'alto valore simbolico ma del tutto inadeguato rispetto all'ammontare complessivo assorbito dagli Anni Ottanta in poi. Se ci deve essere una punizione per i percettori e i beneficiari di tangenti, questa non può che essere comminata prevalentemente sul piano personale, per esempio con l'esclusione dai pubblici uffici. Per evitare un effetto congiunturale depressivo che, scaricato tutto in una volta, sarebbe, di notevole entità, occorre sostituire gradualmente le minori spese di cui l'attenuarsi delle tangenti farà beneficiare il settore pubblico (se ciò si verificherà davvero) con sgravi fiscali relativi a investimenti o altre forme di stimolo all'economia. Dal punto di vista economico, ed escludendo perciò ogni valutazione politica o morale, il vero problema è il costo della classe politica: occorre domandarsi se le decisioni che essa produce possono giustificare un simile livello di spesa. Guardando all'andamento dell'economia, alla gravità della crisi che ci ha colpito - ben maggiore di quella dei Paesi a noi vicini si è inclini a una riposta nettamente negativa. Affrontare il problema tangenti significa ridisegnare il ruolo dei politici: da economico il problema si trasforma in istituzionale. Mario Deaglio I soldi sporchi rappresentano oltre l'I percento dei consumi delle famiglie italiane e vengono spesi in auto viaggi e lussi Una parte dei titoli di Stato sono stati emessi per pareggiare i conti del «pizzo» richiesto dai partiti LE TANGENTI RAPPRESENTANO L'1% DEI CONSUMI DELLE FAMIGLIE ITALIANE $8? 10.000 LIRE OGNI MILIONE RISORSE FINANZIARIE AFFHIITENEL1992 INFORMATANGENTIZIA . ■ ^ 10.000 TANGENTI MILIARDI 5-6.000 MILIARDI Irol LE MANI SPORCHE UN ANNO DI TANGENTOPOLI A sinistra, Mario Chiesa Sopra, il giudice Antonio Di Pietro

Persone citate: Antonio Di, Di Pietro Tangenti, Gino Martinoli, Luigi Einaudi, Mario Chiesa, Mario Deaglio, Martinoli

Luoghi citati: Milano, Torino