Sui macelli incombe la scure della Cee

Per Portafrutta un record di «marchi» Nel mirino delle severe norme comunitarie molti stabilimenti ritenuti in condizioni disastrose Sui macelli incombe la scure della Cee Un migliaio di impianti, soprattutto al Sud, non sono in regola Arriverà solo a marzo, informano fonti ministeriali, l'atteso decreto legislativo di recepimento delle direttive Cee (91/497 e 498) su macelli e laboratori di lavorazione delle carni. Slitta così l'applicazione delle norme comunitarie, che dovevano scattare il 1° gennaio 1993, con l'entrata in funzione del Mercato. Unico, e che consentiranno la commercializzazione sul territorio comunitario solo per le carni provenienti da impianti in possesso del famoso bollo Cee. Si tratta di un riconoscimento ufficiale che viene concesso solo agli stabilimenti in possesso di requisiti, strutturali ed igienico-sanitari, conformi a severe regole internazionali. Ed ottenere questa classificazione di eccellenza non è facile: allo stato attuale, infatti, gli impianti italiani (macelli, laboratori di sezionamento e lavorazione, depositi frigoriferi) in possesso della qualifica Cee sono solo 187. C'è poi la pletora dei circa 2000 stabilimenti che hanno presentato domanda di deroga, cioè la richiesta di poter continuare ad operare fino al dicembre 1994, assicurando formalmente, entro tale data, il completo adeguamento alle norme comunitarie. Gli esperti del ministero della Sanità e delle Regioni hanno recentemente completato l'esame delle pratiche, accogliendo subito 892 richieste di deroga ma bocciando senza appello ben 1082 impianti. Adesso la parola passa a Bruxelles, che dovrà avallare l'operato della Commissione italiana. Per i tecnici incaricati di vagliare le pratiche si è trattato di un lavoro non facile: la messa al bando di centinaia di impianti penalizza soprattutto l'Italia meridionale ed insulare, dove i macelli, in prevalenza pubblici, sono in condizioni disastrose. D'altra parte il problema dei macelli esiste anche a Nord. Le gravi insufficienze di queste strutture, aggravate da costi di gestione ormai proibitivi per i disastrati bilanci dei Comuni, lasciano poche illusioni sul loro recupero. Una soluzione valida può essere il concorso, negli interventi di risanamento e nella gestione, di privati, in questo caso le cooperative di macellatori. E' quanto sta facendo il Comune di Asti e questo tipo di decisione consentirà di salvaguardare, in questi impianti, anche alcune funzioni di interesse collettivo, difficili da mantenere in strutture private. Il macello rappresenta infatti un osservatorio epidemiologico di rilevante interesse non solo per la sanità animale ma anche per la patologia comparata, in particolare per le valutazioni degli effetti biologici dell'impatto ambientale. Inoltre può essere utilizzato per macellazioni diagnostiche o, in caso di emergenza, per l'eliminazione di capi contaminati. Una schiarita si registra invece per i macelli a capacità limitata. La Cee ha infatti accolto la richie¬ sta italiana di innalzare a 1000 grossi capi ed a 5 tonnellate di carne i tetti annui massimi per essere inclusi in questa categoria, che potrà comunque operare solo in ambito nazionale. La notizia è stata accolta con favore non solo dagli interessati, ma anche dagli allevatori, che operano nelle aree marginali. Questi piccoli macelli svolgono infatti una funzione economica ancora importante per molte province agricole, assorbendo e valorizzando la produzione zootecnica locale. Rientrano nel gruppo dei macelli a capacità limitata tutte le sale di macellazione annesse agli spacci di vendita, oltre milletrecento in Piemonte. La necessita di rispettare le prescrizioni sanitarie indicate dalla Comunità ne farà contrarre drasticamente il numero, consentendo unicamente la sopravvivenza degli impianti più; validi. Mario VaIpreda

Luoghi citati: Bruxelles, Comune Di Asti, Italia, Piemonte