«Ormai lavoro 20 ore al giorno» di Giovanni Cerruti

«Ormai lavoro 20 ore al giorno» «Ormai lavoro 20 ore al giorno» «Ma non mi piace quest'aria da ghigliottina» LA STANCHEZZA DEL GIUDICE SMILANO TANCO, sempre più stanco, spesso intrattabile. Urla di più, sorride di meno, vive blindato: ormai quasi solo, lui e la scorta, la scorta e lui. Interroga, arresta, interroga: chi li vede più i figli, da quando non passa una domenica con la famiglia, su a Curno, appena fuori Bergamo, nella trattoria accanto al maneggio? Un anno fa, di questi tempi, altra vita e altra Italia. Ma adesso, ora che è il giudice più amato dai cittadini, e chi lo vuole ministro e chi lo vuole sindaco, Antonio Di Pietro si sfoga. «Non vedo l'ora che tutto finisca, non ne posso più, non se ne può più». Ieri mattina, quando ha visto i titoloni dei giornali, si è stupito: «Ma come? Non l'avevo detto a nessuno che andavo a parlare a Bergamo». E poi, lascia intendere, cosa ho detto di speciale? Che i politici devono trovare la via d'uscita? E' ovvio, no? Questa mattina, quando leggerà i commenti, probabile che si diverta: chissà le dietrologie, le interpretazioni di ogni frase, le ipotesi. Una è scontata, la solita, quella che si ripete da quasi un anno: ah!, questi giudici protagonisti, che danno interviste e vanno in televisione. Di Pietro e chi lo conosce bene questa proprio la rifiutano. L'altra sera a Bergamo, platea di Guardie di Finanza e consorti, Di Pietro come sempre è andato a braccio, con quella parlata che non piace a Vittorio Sgarbi, la solita Mont Blanc nera in mano. Non c'era un cronista di Tangentopoli e neppure una telecamera: solo quella amatoriale di un giovane finanziere. Ad ascoltare anche Susanna Mazzoleni, la moglie che lo vede sempre meno. Di Pietro si è raccontato, e la sintesi è la confidenza fatta ad un amico: «Lavoriamo anche 20 ore al giorno, non c'è più spazio per i figli, per gli affetti familiari... Neanche cinque minuti per un caffè al bar con gli amici». E' il Di Pietro stanco, affati- cato, appesantito. Protagonista suo malgrado, è stato descritto nei minimi particolari, compresa la mania delle scarpe perfettamente lucide. Adesso, i rari e fortunati che lo intercettano nei corridoi del Palazzo di giustizia, possono notare che non ha tempo neppure per una lustrata alla scarpa. Se non è blindato in ufficio, ad interrogare l'ultimo tizio che ha deciso di confessare, è nell'auto blindata che va ad interrogare l'ultimo arrestato. Il massimo della giornata è appunto il caffè, al self service «La Toga», davanti al Tribunale. Scortatissimo, si capisce. Da Bergamo, nella notte, Di Pietro ha mandato nel caos i giornali. Poi si è stupito degli effetti: li avesse calcolati avrebbe ceduto alle quotidiane richieste di interviste. Frasi che, dette da Di Pietro, sembrano sottolineate tre volte in rosso, colore dell'allarme: «Occorre un chiarimento politico che vada oltre la magistratura, altrimenti ogni giorno può succedere qualcosa con grave rischio per il sistema economico». «Noi continueremo ad andare avanti, ma occorre dare un termine». «E' ingiusto e illusorio che i giudici possano risolvere i problemi. Sarebbe un abuso. Si muovano gli altri». Sarà anche vero che non sono novità assolute, ma arrivano nel momento più delicato, a poche ore dalla caduta di Bettino Craxi e mentre tra Milano e Roma corrono voci, come dicono in tv, di «nuovi e clamorosi sviluppi». E' un Di Pietro che parla di elezioni e legge elettorale: «Non seguo questa materia e non sono in grado di disquisire sul sistema maggioritario o proporzionale: mi riferisco al problema che sta a monte, alla moralità che ci rappresenta». Che tra le responsabilità dei politici e degli imprenditori non fa classifiche: «Non voglio fare il Pilato di turno, ma a me pare che la responsabilità sia di entrambi». La sera delle dimissioni di Craxi, chi ha determinato la fine del craxismo per via giudiziaria ha speso parole di garantismo: «L'avviso di garanzia non è una condanna, e i cittadini aspettino i processi e le sentenze prima di condannare. Non si può fare di ogni erba un fascio e io non sono certo d'accordo con chi lancia uova in faccia agli indagati. Fra le persone sotto inchiesta ci sono anche galantuomini ed è sempre doveroso il rispetto della persona umana. E qui c'è aria da ghigliottina». Comunque sia, come nello spot di Funari, il giudice va avanti. Ma un altro anno così e Di Pietro s'ammazza di lavoro (e solitudine). Da Palazzo di giustizia la conferma: ogni giorno arriva almeno un avvocato e dice: «Il mio cliente vorrebbe incontrarla...». E allora Di Pietro fissa l'appuntamento, che poi diventa interrogatorio, che poi diventa verifica, che poi diventa un altro arresto, un altro filone, da ieri ecco quello sui rapporti d'affari italo-somali. Ogni giorno una nuova inchiesta. «Ogni giorno - come ripete il giudice Italo Ghitti - apriamo una porta che dà su una stanza e poi c'è un'altra porta e un'altra stanza...». L'inchiesta senza fine per un giudice sfinito. Oggi leggerà che magari i politici «prendono in considerazione il suo appello», ma quante volte l'ha già letto? Gherardo Colombo, l'altro giudice di Tangentopoli, per la sua proposta di condono si era preso solo critiche: protagonismo, impraticabilità e poi più niente. Di Pietro in questi mesi è andato a parlarne a Monza, a Roma, a Bologna, ai giovani industriali a Santa Margherita Ligure... Intanto sta riempiendo il Parlamento di richieste di autorizzazione a procedere. L'altra sera, a Bergamo, ha voluto aggiungere amarezza e delusione. Giovanni Cerruti A fianco Italo Ghitti giudice delle indagini preliminari dell'inchiesta Mani Pulite