«Sinistra va in esilio trentanni di catacombe»

IL CASO. Dal «Che» alla «mediologia» passando per Mitterrand e De Gaulle: parla Debray, oggi esperto di tv IL CASO. Dal «Che» alla «mediologia» passando per Mitterrand e De Gaulle: parla Debray, oggi esperto di tv «Sinistra, va in esilio trentanni di catacombe» ROMA ONO quattro anni che non mi occupo di politica e non ho nessuna voglia di parlare di Castro, Guevara, o di Mitterrand e De Gaulle. Mi pare di aver già scritto abbastanza sulla successione delle mie scelte. Per quanto mi riguarda, ho chiuso». Così, un po' innervosito, Régis Debray reagisce oggi a domande che lo riportano indietro, ai primi Anni 60, quando poco più che ventenne credeva che in America Latina bastasse ima cinquantina di uomini per fare la rivoluzione e instau^ rare la giustizia. Alla tesi che Che Guevara aveva espresso in La guerre de guerrilla lui, allievo di Althusser e di Sartre all'Ecole Normale, aderì anima e corpo, diventando un modello per più di una generazione. Abbandonando i suoi agi di ricco borghese, partì infatti alla volta di Cuba come un nuovo Byron votato alla causa dei popoli oppressi. Ma l'iniziazione gli sarebbe costata cara. Divenuto amico di Castro e lanciatosi sulle tracce del Che, fu arrestato in Bolivia nell'aprile 1967 e, mentre in Europa i giovani manifestavano per la sua liberazione, a La Paz si chiedeva la sua testa. Il processo si aprì in settembre e si concluse con una condanna a 30 anni di galera. Intanto, il suo La revolution dans la revolution, era assunto insieme ai libri di Fanon, di Castro, di Guevara e di Mao come un testo sacro dagli studenti. Di anni di prigione, Debray ne ha scontati solo quattro. Tornato in Francia, si è dato alla letteratura e solo nel 1985 è entrato in politica, in qualità di consigliere di Mitterrand. Qualcosa però non ha funzionato e il guerrigliero pentito ha ripreso i suoi studi, indirizzandoli alla mediologia, disciplina che studia l'efficacia simbolica dell'immagine e i suoi effetti nei comportamenti privati e istituzionali. Oggi, a 53 anni e con una figlia di 16, preferisce lasciarsi il passato alle spalle. «Il mio ultimo libro politico è A demain de Gaulle del 1990 - dice -. La politica non mi interessa più, anche se le mie convinzioni restano le stesse». Régis Debray vive di scrittura: saggi, soggetti cinematografici, seminari universitari. Nel suo ultimo libro, Vie et mort de l'image, Une histoire du regard en Occident (Gallimard), traccia una storia dell'immagine in Occidente, mettendo in guardia dal pericolo della sua morte. La situazione è così grave? «Direi di sì. Siamo nell'era del visivo, dello sguardo economico che serve a reclamizzare i prodotti e identificare le merci. Una telecamera non ha né memoria né progetto. La tv dà l'impressione di accedere al mondo così com'è. Ma è solo un'illusione, perché quello che appare uno sguardo oggettivo in effetti è frutto di una selezione. Bisogna riappropriarsi del linguaggio, tornare alla poesia, alla filosofia, alla riflessione. Bisogna ritrovare le virtù della contemplazione e della preghiera. Contro il mondo della rapidità e dell'efficacia delle immagini che la tv ci propina, bisogna opporre la durata, la profondità del mondo interiore, il senso del trascendente e l'immaginazione, l'utopia. Anche la religione è utile per opporsi al materialismo e cinismo dell'uso immediato dell'immagine, della "videosfera". Recuperare l'immagine, per me significa ritrovare tutto ciò cui essa rimanda. Dio, uomo o oggetto, non ha importanza, è comunque un altro diverso da me». E' approdato alla religione? «Ah, no! Sono il laico di sempre ma ho molto rispetto per la religione cattolica». «Vie et mort de l'image» rivela che in lei l'impegno non s'è affatto spento. «C'è un Debray mediologo e un Debray intellettuale. Siccome credo che l'intellettuale sia un uomo impegnato che esprime la sua opinione privata su delle questioni pubbliche e interviene sull'attualità protestando, alla fine del libro ho preso la parola per dire: io sono per l'invisibile perché è da lì che sono nati i valori dell'umanesimo». Perché la sinistra è in crisi? «Il fallimento è morale e politico, per mancanza di coraggio e, forse, anche perché non c'è alternativa all'odierna economia capitalista. Credo che oggi il compito della sinistra sia di impedire che il mondo diventi un grande supermercato e tenere al riparo dall'ottica mercantile alcuni spazi della vita pubblica». Per la base socialista, la «vera sinistra» come lei la definisce, quale'futuro prevede? «Bisogna tornare nelle catacombe per trentanni. Siamo in un momento di restaurazione mondiale di controrivoluzione che è la conseguenza del fallimento del comunismo. Come la caduta del nazismo ha compromesso la destra tradizionale, oggi assistiamo a un fenomeno analogo ma contrario: ritorno delle forze reazionàrie che credono nel puro mercato. Dunque, la sinistra che punta su valori collettivi, di soli¬ darietà e spiritualità si trova in posizione di debolezza in tutto il mondo, tranne forse che negli Stati Uniti. Ed è assai curioso. Credo che la sinistra deve rifarsi una morale, una teoria e una visione della storia. Perciò è molto più saggio che abbandoni il potere al più presto!». Non è troppo catastrofico? «In attesa della ricostruzione della sinistra, la mia proposta è una morale provvisoria che consiste nel capovolgere l'oggetto della lotta. Fino a oggi abbiamo lottato per un'immagine di società perfetta, credendo nell'utopia di una società senza classi. Da adesso, dalle catacombe, si può e si deve lottare contro il peggio, contro l'insopportabile: xenofobia, pulsioni fasciste, manovre mercantilistiche e antilibertarie. Ma questi interventi non debbono essere sostenuti da un'ideologia totalizzante. Insomma, mettendo un po' da parte il progetto globale, la sinistra ha il compito di dire di no al cinismo e al nichilismo che sono moneta corrente». Un quarto di secolo dopo, qual è il bilancio del '68, per Debray? «Negativo. E' stata l'ultima rivoluzione del XX secolo, à cominciare dal marxismo, che di fatto ha provocato l'insediamento in Europa dell'America. E' stato l'ultimo fuoco d'artificio della mitologia della classe operaia che ha provocato due vittime: De Gaulle e Marx. E questo è avvenuto nel nome di Mao. C'è stato un momento di gloria, quello degli slogan, ma di fatto più che trasformare il mondo e la vita, abbiamo solo migliorato la nostra. Il '68 è stato l'inizio dell'integrazione di molti gauchistes nella politica ufficiale. La rivolta ha prodotto il contrario di quello per cui diceva di battersi e ha sotterrato l'idea di nazione e di classe operaia. Non è singolare che l'introduzione della pubblicità in tv sia avvenuta proprio nel dicembre di quell'anno?». Paola Decina Lombardi ) meta**. 4(Nr a e L'ex rivoluzionario: basta con la politica, rivalutiamo la preghiera e la contemplazione A destra, Che Guevara. Sotto, De Gaulle Nella foto grande, Régis Debray

Luoghi citati: America, America Latina, Bolivia, Cuba, Europa, Francia, La Paz, Roma, Stati Uniti